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L’ENNESIMO SCHIAFFO MORALE AI COSIDDETTI “SOVRANISTI”!

Bue cornuto antifascista - Biblioteca del Covo

Cari lettori, in questi tempi tremendi, in modo direttamente proporzionale agli stessi, non poteva non essere più evidente, oltre ai rari quantunque onorevolissimi e specifici atti di coraggio in vari ambiti, anche la disdicevole tendenza al compromesso, al perseguimento del democristiano “male minore”, in una parola al “conservatorismo”.

I “campioni” di tale prassi, al di là delle apparenze, di fatto sono proprio i cosiddetti “sovranisti”, che riteniamo ormai chiaro rappresentino concretamente i “guardiani della porta” del Sistema vigente per eccellenza, il “quinto uomo” a sostegno dello “status quo”, l’irrinunciabile sentinella appostata sulla soglia, affinché nulla cambi davvero. Essendo essi la quintessenza del “democristianismo”, il loro comportamento politico non può che ricalcarlo in modo pedissequo, ma proprio in quanto democristiani nel midollo, non fanno che cadere nell’accusa di doppiezza e di falsa moralità. Benché da noi fascisti de “IlCovo” sollecitati più volte a “farsi avanti” e “disputare” come esemplarmente mostrato nella migliore tradizione Tomista, che pure essi stessi dicono di non disdegnare, non solo si nascondono, non solo perseverano nell’errore, ma senza il minimo coraggio, attaccano “per interposta persona”, tentando malamente di giustificare e negare la propria fattiva collaborazione col nemico esterno ed interno del popolo italiano, continuando a sguazzare nella retorica moralista di quart’ordine tanto cara a tutti i propagandisti del regime antifascista, quello che proprio tale nemico ha instaurato da quando “comanda a bacchetta” in casa d’altri (qui). E giù, quindi, con le accuse pretestuose di “regime autoritario” all’oligarchia imperante, in luogo, presumibilmente, della “santa repubblica fondata sulla resistenza”: come se tale oligarchia non fosse essa stessa massima espressione di “cotanta” pseudo repubblica e come se tale cosiddetta “repubblica”, a sua volta, avesse in animo un regime diverso da quello  odierno, a prosecuzione dell’ignobile farsa politica che essa stessa ha instaurato già all’indomani dell’occupazione militare permanente del territorio italiano e su mandato di quelle stesse potenze estere a cui detta “oligarchia” è ontologicamente sottomessa da 76 anni; al via, dunque, le intramontabili accuse pretestuose di “dittatura” e di “totalitarismo” di stampo fascista, buone per tutte le stagioni e sempre in bocca a tutti i pagliacci della “beata democrazia antifascista” travestiti da politicanti. Tutto ciò nonostante né l’una, né l’altro siano declinati in modo corretto nel loro significato originario e si siano confermati termini tanto generici quanto inapplicabili all’attuale assetto, che di fatto, come abbiamo ampiamente dimostrato, rappresenta invece una forma neo-feudale di Socialismo-Autocratico dominato dalla finanza speculatrice apolide (qui), a cui si è pervenuti GRAZIE all’operato istituzionale ufficiale della “santissima repubblica antifascista” di cui sopra, e giammai “nonostante” essa, come invece vorrebbero darci ad intendere i cosiddetti sovranisti. Ma abbiamo già documentato più volte come il dissenso sia abilmente pilotato, e come codesti soggetti costituiscano il più grande “Cavallo di Troia” predisposto dal sistema plutocratico-massonico per manipolare le opposizioni presenti nella società reale, rimanendo fedelmente ancorati a TUTTI e singolarmente i principii-cardine del (dis)ordine mondiale pluto-massonico vigente (es: qui).

Dunque, sembra proprio che lo sport più in voga al momento, tanto sui media del regime sanitario quanto su quelli della finta opposizione ad esso, è quello di “scovare il fascismo”: chiaramente là dove esso non solo non esiste, ma rappresenta l’esatto opposto di ciò che viene “scovato” dagli imbonitori di turno. Infatti, la retorica ridondante, abbiamo già visto che è relativa al solito stereotipo sulle “leggi del 1938”; le quali (nonostante OGGI – qualora venissero imposte esattamente nella stessa forma giuridica di allora ma applicate  relativamente ai “non marchiati” per come abbiamo mostrato [qui] – potrebbero letteralmente costituire la SALVEZZA della vita per i molti che hanno scelto di non inocularsi la terapia genica “targata” Big-Pharma), vengono continuamente chiamate in causa a sproposito, soltanto per continuare a servire la propaganda antifascista dei padroni occupanti, sempre alla faccia della “sovranità popolare”!

A questo proposito, visto che evidentemente i nostri contributi Storico-Politologici non sono più facilmente ignorabili (qui), la retorica del sistema antifascista fa un passo in “avanti” (si fa per dire !) e sorvolando sul terreno minato della cosiddetta “persecuzione razzista e lo sterminio“, i “democristiani de’ noantri” preferiscono calcare la mano sull’immarcescibile “discriminazione giuridica”, che viene ad essere equiparata da questi ultimi, con evidente supponenza, a quella dell’odierno “marchio verde”! A cotali “democristiani”, di tutte le sigle, vogliamo dare l’ennesima sveglia, anche se l’anestetico sturziano che hanno ingurgitato in quantità industriale evidentemente è duro da smaltire. Pubblichiamo di seguito un famoso e importante (per chi ha occhi, ovviamente) articolo comparso su La Civiltà Cattolica“, nell’anno del Signore 1940 – XVIII dell’Era Fascista. L’estensore di tale articolo, al di sopra di ogni sospetto di fascismo, è proprio un “Democristiano”: Padre Antonio Messineo, SJ (gesuita!). Egli, tra l’altro, figura tra gli “intellettuali” che hanno contribuito a quel “capolavoro” di ambiguità e di compromesso che è la cosiddetta “costituzione più bella del mondo” (alcuni spunti biografici sono: qui). Ebbene, il Sacerdote, i cui biografi trasformano in “oppositore” del Fascismo, mentre durante il “terribile regime” fu solo un critico, che invece valorizzò i principii cardine della forma di Stato concepita proprio nella Dottrina Fascista (almeno era un “democristiano” equilibrato: non un trinariciuto “resistenzialista” come quelli  odierni!), scrisse proprio in merito ai presupposti teorici della “famigerata legge del 1938”, a seguito della pubblicazione del libro “I fondamenti della dottrina della Razza” (redatto dal gerarca fascista, Ministro e membro del Gran Consiglio del Fascismo, Giacomo Acerbo) di cui produsse una ampia recensione che merita di essere pubblicata in forma di documento Storico-Politologico e letteralmente sbattuta sotto il naso dei coraggiosissimi “sovranisti” senza sovranità. Chi ha occhi per vedere e orecchie per ascoltare, anche alla luce dell’apposito convegno antifascista del 2019 che noi abbiamo commentato (qui), non può più ignorare quanto lo stesso Padre Antonio Messineo certificava. Ma ciò avviene ugualmente, purtroppo, perché i cosiddetti “oppositori antifascisti” sono solo delle tragiche comparse etero-dirette nelle mani della plutocrazia massonica, ormai padrona del mondo…

I FONDAMENTI DELLA DOTTRINA FASCISTA DELLA “RAZZA”

di Padre Antonio Messineo, in La Civiltà Cattolica , Roma, 2 novembre 1940, a. 91, vol. IV, quad. 2169, pp. 216-219

La questione della razza, pur tra l’incalzare di avvenimenti di grande importanza storica, forma l’oggetto di studi seri, diretti a chiarire i concetti e ad illuminare i fondamenti ideologici, ai quali si ispira la politica del Regime. Fra questi studi riveste un’importanza particolare il libro scritto da S. E. Giacomo Acerbo e pubblicato sotto gli auspici del Ministero della Cultura Popolare, con presentazione di S. E. Pavolini (“Giacomo Acerbo, I fondamenti della dottrina fascista della razza, Roma, Ministero della Cultura popolare, 1940-XVIII, pp. 95.”). L’autore, la presentazione e il fatto che il libro è il primo di una collana di volumi, iniziata dall’ufficio Studi e Propaganda sulla Razza, legittimano la persuasione che le idee in esso espresse rivestono il carattere di una interpretazione molto autorevole del difficilissimo problema.
L’iniziativa merita l’adesione incondizionata degli studiosi, in quanto, dando da una parte il bando alle elucubrazioni di gente improvvisata e incompetente, causa del diffuso disorientamento prodottosi nella questione della razza, tende a contenerla entro i limiti scientifici e a risolverla secondo le più oggettive indagini antropologiche, biologiche e storiche. In questo modo molte prevenzioni possono sparire, molti dissensi appianarsi molte ansie essere assopite per il raggiungimento di una maggiore unità anche in questo campo particolare. Al conseguimento di questo scopo, crediamo concorra molto la pubblicazione, di cui trattiamo.
La questione preliminare da risolvere come non abbiamo mancato di rilevare altre volte, consiste nella determinazione del concetto di razza, e più specificamente in qual senso debba intendersi il termine, quando si riferisce alla politica inaugurata dal Regime. Notavamo, infatti, che se al termine si conserva il senso naturalistico, bio-antropologico, la dottrina costruirebbe sopra un dato infido, scientificamente non fissato, e arriverebbe, per necessaria conseguenza, alla piena svalutazione dei valori veramente umani, con un pericoloso scivolamento verso il materialismo. Ora su tale questione l’Acerbo porta dei chiarimenti, che noi riteniamo di particolare importanza. Egli avverte, in primo luogo, come il concetto di razza, dopo tante indagini, sia rimasto oscuro e diventi ancora più vago a mano a mano che progrediscono le nostre cognizioni. Un contributo ad una maggiore concretezza hanno apportato le dichiarazioni dei giuristi italiani al Convegno di Vienna, dove venne affermata l’essenza spirituale dell’idea di razza, che non poteva essere confinata, secondo la concezione del Fascismo, unicamente alla bio-antropologia. Tuttavia, aggiunge l’Acerbo, «siamo ancora lontani dalla meta, anzi forse ce ne allontaniamo sempre più sia perché si vede tutt’altro che probabile l’accordo tra gli scienziati sui caratteri somatici, fisiologici, psichici che dovrebbero assumersi a criterio di distinzione dei gruppi umani; sia perché dal rivendicare che i sociologi e i politici fanno, com’è giusto, l’efficacia formativa e selettiva degli elementi spirituali sui detti gruppi, segue che il concetto di razza, trasferito in quest’altro campo, dà luogo a confusioni e a interferenze con una quantità di concetti più o meno affini» (p. 15). Né il concetto comune di razza, egli afferma ulteriormente, né quello storico e naturalistico possono servire come fondamento a una dottrina, che si proponga di mettere nella loro giusta luce i provvedimenti razziali del fascismo. Il concetto comune è troppo comprensivo e quindi equivoco per se stesso, pigliando esso come criterio di distinzione sia le proprietà somatiche, sia quelle linguistiche e culturali e dando il primato ora all’una ora all’altra, in maniera tale che spesso la razza viene a confondersi con la nazionalità o ad estendersi tanto da abbracciare vasti complessi etnici.
In quanto al concetto storico, fondato prevalentemente sulla comunità di lingua, la scienza si trova di fronte a dati contrastanti. Mentre le razze storiche, secondo il Le Bon, non sono altro se non formazioni artificiali, causate dalle conquiste e dalle immigrazioni e composte da un miscuglio di stirpi fusesi insieme, alle quali la lingua ha imposto il sigillo dell’unità raggiunta, dall’altra l’osservazione dimostra l’esistenza di popoli aventi la stessa civiltà e che parlano lingue diverse. Così «nel Caucaso, che ospita più di cento gruppi etnici, si parlano oltre sessanta lingue e dialetti, benché i popoli che abitano quel territorio appartengano in genere alla stessa forma di civiltà». Pertanto, ovviamente conclude l’A., «le frontiere antropologiche mesologiche linguistiche costituiscono altrettante linee che raramente coincidono» (p. 18). Né fondato su più solide basi è il concetto naturalistico, non essendo ancora stabilito quale sia il criterio antropologico, che deve servire per la classificazione dei gruppi umani. Indice nasale, morfologia del cranio, colore della pelle e dei capelli, statura somatica sono altrettanti criteri, di cui gli studiosi si giovano, secondo le loro preferenze; che se poi a questi si aggiungono i caratteri psichici e si lascia a ciascuno di scegliere quale di essi debba guidarlo nella divisione degli uomini in razze, l’effetto sarà una estrema varietà di sentenze, quale è dato, in realtà, di riscontrare confrontando i risultati finora raggiunti dalla così detta scienza. Questo confronto dimostrerà non troppo esagerata l’affermazione di un illustre etnologo, secondo il quale un tipo razziale non sussiste se non nella nostra mente» (p. 21). Da quanto è detto segue che né il concetto comune, né quello storico e naturalistico possono fornire un saldo fondamento a una dottrina della razza, che risponda alle esigenze più elementari della scienza. A quale concetto si ispira, dunque, la politica della razza del fascismo? A un concetto integrale, il quale, tenendo pur conto del dato bio-antropologico, non come cardine della sua concezione ma come elemento coordinato ad altri di maggiore importanza considera in modo prevalente i valori culturali e spirituali della nazione e questi si prefigge di preservare e di potenziare. Una diversa concezione non concorderebbe con lo scopo, che la politica razziale del regime prosegue e che consiste nella preservazione della «sostanza ideale e spirituale della nostra stirpe» (p. 23). Questo scopo manifesta che il concetto di razza non può essere inteso se non in senso integrale, nel quale « il dato puramente fisico o somatico, il quale preso da sé solo umilierebbe la nobiltà delle stirpi umane confinandola nel regno della zoologia e farebbe della politica della razza un capitolo della zootecnica », si coordina di necessità «col dato etnico e con quello culturale» (p. 26). Siamo così di fronte a un concetto di razza che anche il più meticoloso assertore dei valori spirituali e trascendenti potrà accettare senza riserve: l’unica difficoltà che può sorgere contro di esso consiste nella somiglianza e quasi identità che un siffatto concetto ha con quello di nazione, poiché tutti gli elementi oggettivi compresi in quest’ultimo si troverebbero presenti nel primo. La difficoltà, tuttavia, potrebbe suggerire di lasciar cadere il termine improprio di razza, per adottarne uno più appropriato, se non addirittura quello di nazione; ma nulla toglie alla nobiltà, spiritualità e elevatezza della concezione, come essa viene interpretata dall’Acerbo. Dopo queste delucidazioni sul concetto di razza, l’A. dimostra come in Italia fin dai primordi si sia costituito un gruppo etnico con una sua spiccata individualità e cultura, rimasto fondamentalmente omogeneo col sopravvenire delle migrazioni di altri popoli, i quali, invece di assorbirlo, furono da esso assorbiti e amalgamati entro quella compagine, dal cui seno sbocciò e fiorì la mirabile civiltà romana. Le sue deduzioni sono fondate su recenti studi, che, se non hanno del tutto dissipate le tenebre sulle origini delle genti italiche, hanno tuttavia chiarito di molto la preistoria della nostra penisola. Qui si innesta naturalmente la questione degli arii, e in qual senso debba intendersi l’appellativo di ariano attribuito recentemente anche al popolo italiano. A tale proposito, attenendosi ai risultati sicuri dell’indagine scientifica e rigettando le fantasie costruite da alcuni pensatori di oltre Alpe, l’A. scrive testualmente: «Tutte le scuole italiane e straniere sono oggi concordi nel riconoscere che quei popoli preistorici che si designano sotto il nome di ariani, oppure Indoeuropei, e che i dotti tedeschi ci compiacquero chiamare Indo-germanici, sono ben lungi dal costituire un’unità bio-antropologica, cioè una razza nel senso naturalistico, ma rappresentano invece un miscuglio di varie provenienze genetiche collegate fra loro dalla sola parentela linguistica. E l’opinione diffusa e accettata nel secolo scorso, che tale affinità linguistica presupponesse e dimostrasse l’unità della razza, è oggi totalmente abbandonata» (p. 53). Rammentate le teorie di Gobineau e dei suoi seguaci, contro le quali non tardò a sollevarsi l’opposizione degli studiosi seri, e come la civiltà aria sia la risultanza della mistione delle tre grandi razze venute a popolare l’Europa, egli conchiude: «Non si può dunque quanto all’Italia parlare di razza aria, bensì di accessioni più o meno copiose di gruppi delle genti nordiche e palafitticole, la cui congiunzione con le stirpi indigene avrebbe dato inizio nel nostro suolo alla cosiddetta cultura aria» (p. 55). Conseguentemente il termine ariano nella letteratura fascista della razza non può avere se non «un significato convenzionale e un uso provvisorio, giustificabili l’uno e l’altro per la duplice necessità di impostare in un primo momento la politica della razza in ragione e in funzione del prestigio che la Madre Patria deve assumere di fronte alle popolazioni del nuovo impero, e di separare dalle attività direttive e formative dell’organismo nazionale la minoranza giudaica» (p. 56).
Conveniamo pienamente con l’A., poiché tutte le ragioni storiche e scientifiche convergono in favore della sua tesi, e terminiamo questa nostra rassegna, esprimendo l’augurio che altri lavori simili al presente, ispirati ad un grande rispetto per la vera scienza e contenuti entro i limiti consentiti dal progresso della ricerca oggettiva, vengano ulteriormente a chiarire una questione, che ha bisogno di essere liberata da sovrastrutture fantastiche e risolta in modo conforme alle gloriose tradizioni della gens italica , propagatrice nel mondo intero delle più alte conquiste dello spirito umano.

… ebbene, o soloni democristiani? Ecco cosa vi insegna persino un vostro stesso compagno più equilibrato! Voi che cianciate di “tessera verde uguale a quella del P.N.F.”, di “leggi del 1938 parallele al marchio verde”, e di “scienziati che come nel 1938 davano legittimità all’oppressione”! Leggete, se ne siete capaci, e capirete anche perché fu usato, come abbiamo già documentato noi fascisti de “IlCovo” (qui e qui), il termine “razza” a quel tempo, in luogo di “Nazione”. Ma capiamo bene che per leggere e comprendere, bisogna in primis essere onesti intellettualmente. Ancora una volta, se pensate di esserlo, vi sfidiamo pubblicamente a DIMOSTRARLO!

IlCovo

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