Carissimi lettori, chi ci segue (amici e nemici!), sa perfettamente che, grazie a Dio, essendo NOI fascisti de “IlCovo” guidati dalla retta ragione e dotati di una chiara coscienza critica, esprimiamo la nostra legittima contestazione all’imperante concetto di “Democrazia”, in maniera evidente ed in modo serrato. Lo facciamo partendo da una critica “filosofica”, che analizza l’origine “moderna” del principio e la sua “genesi”, usando al riguardo sempre il termine virgolettato. Ovviamente tale critica si basa su un preciso fondamento filosofico, diverso nella sostanza e opposto nei fini a quello della concezione presa in esame nella nostra critica. In proposito, per amor di chiarezza, giova però sintetizzare alcuni punti fermi, al fine di non incorrere in possibili fraintendimenti, così come in distinguo “capziosi” o bizantinismi legalistici. Partiamo dal principio in sé: che significa “Democrazia”? La definizione brevemente dice ( qui ): “Forma di governo che si basa sulla sovranità popolare e garantisce a ogni cittadino la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere pubblico.” Si pone subito una domanda: da dove trae origine il modello politico della forma “attuale” di governo più diffusa presso i popoli del cosiddetto occidente, che genericamente viene definita come “democrazia”? Il termine stesso “Democrazia” è evidentemente di origine greca ed è formato da due lemmi, Demos e Kratos. Il primo significa “Popolo”, il secondo allude all’ “Autorità”, al “Potere”. Dunque, il termine indica una partecipazione popolare al Potere, alla gestione della “Polis”, che era la “Città” Greca (le Città greche erano di fatto mini-stati). Ebbene: la “Democrazia” vede i suoi natali in Atene. Nella Polis per antonomasia, dove i partecipanti DIRETTI alla sua gestione erano solo gli Ateniesi che obbedissero a certi criteri (quindi non era sufficiente essere Ateniesi). La loro partecipazione era subordinata alla loro cittadinanza e la definizione di “Cittadinanza”, anticamente, identificava un certo tipo di Civiltà (a Roma, ad es., il “Civis Romanus”). Dunque, NON CHIUNQUE risiedesse sul suolo di Atene, ma chi, da CITTADINO, obbediva alle leggi Ateniesi, poteva partecipare alla gestione della Polis, secondo precise modalità. Come si può notare, questo concetto di Democrazia ha ben poco o nulla a che vedere con la concezione che noi contestiamo apertamente e direttamente, che è incarnata per l’appunto dalla modalità borghese, individualistica e materialista espressa dalla rivoluzione Inglese prima, e dall’Illuminismo francese poi e che viene spacciata nel presente quale “democrazia strictu sensu”. In tutti i casi, sappiamo come la forma di governo greco-ateniese, era molto criticata dagli stessi filosofi dell’antichità classica (secondo Platone, ad esempio, la democrazia rappresenta il regime peggiore, poiché essa degenera sempre nell’anarchia!). Si riteneva, cioè, fosse un “abbassamento” e una defezione rispetto al concetto cardine della partecipazione alla vita della Polis, rappresentato non dal numero o dal gruppo sociale di appartenenza ma dal MERITO. Ad ogni modo, posto che la “Democrazia” era ATENIESE, dunque fondata su un certo tipo ben definito di CULTURA E CIVILTA’, si riteneva potesse essere la “meno cattiva tra le forme cattive”. Sempre in relazione al significato originale del termine “Democrazia”, osserviamo che nella Civiltà Romana, già in epoca repubblicana, il concetto diviene più esteso e dalla “Democrazia” si passa alla “RES PUBLICA” (la “cosa pubblica”, il “bene comune”), il cui il perno è l’Autorità designata dal Cittadino Romano.Sempre tenendo bene a mente che il Cittadino che gode della “plenitudo facultatis” politica, è solo il civis ROMANUS, il quale obbedisce ed attua la Legge di Roma! Tale concetto è del tutto ASSENTE nella declinazione “moderna” del termine “Democrazia”. In tal modo, il concetto di “partecipazione popolare” si impernia stabilmente sulla “partecipazione del cittadino”, che indica un soggetto atto ad esercitare ed incarnare l’Autorità dello Stato nella sua pienezza. Nel mediterraneo Romano, quindi, non si è MAI pensato di poter ritenere come “superiore” una forma di governo che fosse fondata o privilegiasse la componente numerica nella rappresentanza degli interessi dello Stato. Infatti, come riportato nell’enciclopedia “Treccani” “…la democrazia dei moderni si organizza in uno Stato territoriale esteso a vastissime collettività. Rispetto alla democrazia antica, che si configura essenzialmente come diretta, quella moderna si connota quindi in primo luogo come democrazia rappresentativa. Più in particolare, la democrazia moderna identifica quella specifica forma di Stato in cui i principi del costituzionalismo liberale si sono fusi con il principio della sovranità popolare.”

LA DEMOCRAZIA DEI LIBERALI!
Risulta evidente, quindi, che di “Democrazia” propriamente detta, in riferimento alla declinazione del termine di matrice illuministica, da cui scaturiscono gli odierni regimi liberal-parlamentari, NON SI PUO’ PARLARE AFFATTO! Quella attuale DEVE essere definita quale “Democrazia rappresentativa di interessi particolari” o “Liberal-democrazia”, con tutto ciò che questo significa e che NON CORRISPONDE alla “Democrazia” espressa in senso letterale dall’originale termine greco. Per quanto riguarda specificamente le Liberal-democrazie odierne, dunque, esse prevedono fondamenti particolari, relativistici, razionalistici, giusnaturalistici, tali da costituire una forma di governo assai diversa. Addirittura, alcuni giuristi ritengono che la Liberal-democrazia non poggi sul principio di “Uguaglianza”, quale fondamento, ma primariamente su quello di “libertà”, motivo per cui spesso il termine “democrazia” viene usato come sinonimo di “libertà” (ovviamente tale concetto declinato sempre secondo l’interpretazione fornita dal costituzionalismo liberale).
In quanto fascisti, la nostra critica alla “democrazia”, pertanto, rappresenta una critica alla filosofia ed al concetto Liberale della società di marca anglo-franco-illuministica. Noi, filosoficamente, intendiamo come “democratico” esclusivamente un sistema di rappresentanza che prevede una reale partecipazione popolare di tipo “organicistico”, in cui il cittadino è partecipe della “cosa pubblica” secondo un rigido modello gerarchico e meritocratico, con ciò sviluppando il concetto Romano della RES PUBLICA. RIFIUTIAMO CATEGORICAMENTE l’analogia tra “democrazia e libertà” (come del resto fanno molti giuristi moderni, definendo “democrazie totalitarie” quei governi in cui vi sono vari limiti posti dalla legge all’esercizio della “democrazia”), così come l’uso dei due termini quali sinonimi; con ciò neghiamo altresì in modo reciso che chi si dovesse trovare a criticare la Liberal-democrazia, possa per questo essere accusato in modo più o meno subdolo di voler costituire chissà quale Leviatano politico per sottomettere l’umana società! Noi fascisti de IlCovo, al contrario, come abbiamo detto più volte ( qui ), rivendichiamo il nostro accordo totale con il concetto di “Democrazia Organica”, Autoritaria, Centralizzata. Il nostro ideale – e sfidiamo chiunque a produrre DOCUMENTI che ci smentiscono – non ha mai previsto quale obiettivo politico la costituzione di una “DITTATURA”, così come viene, invece, concepita e declinata dalla filosofia Liberale, per la quale, in modo univoco e pretenzioso, DITTATURA è tutto ciò che non obbedisce alla propria visione politica del mondo, della società e dell’uomo!
Anzi, a dirla tutta, andando a rileggere tra la documentazione della numerosa pubblicistica fascista degli anni del Regime (senza alcun bisogno di scomodare il testo ufficiale della Dottrina del Fascismo, che pure riportava testualmente la considerazione di Mussolini secondo cui la rivoluzione in camicia nera era una “democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria”) non è affatto raro imbattersi nella descrizione in quella che ufficialmente veniva qualificata come DEMOCRAZIA FASCISTA:
1. — Aspetto fondamentale della dottrina fascista è la concezione unitaria del popolo, concezione che si differenzia, al tempo stesso, da quella individualistica e da quella collettivistica. Il « popolo », punto di partenza da cui muovono tutte le dottrine democratiche, mentre si fraziona e si moltiplica negli individui, circoscritti nella loro singolarità, nella concezione atomistica, supera, in quella collettivistica, il fattore nazionale, per perdersi in una vaga ed astratta universalizzazione. Solo con la concezione unitaria, che noi sosteniamo, avviene la perfetta fusione dell’individuo (elemento umano) con il popolo (elemento collettivo) e di questo con la nazione (elemento spirituale) e lo Stato. Si ha, così, la nozione di «popolo», come individualità nazionale collettiva, cioè come entità umano-sociale-morale. In questo modo, viene risolto anche il problema dei rapporti fra Stato e individuo, poiché l’individuo, come parte indissolubile del popolo, verrà automaticamente e necessariamente, con il popolo, immesso nello Stato, dove l’ individuo stesso troverà, come essere sociale, la completa attuazione della propria libertà. Lo Stato potrà, così, essere, al tempo stesso, Stato sovrano autoritario e Stato democratico, e, soprattutto Stato etico, nel senso che suo scopo ultimo è quello di realizzare una morale collettiva e individuale sempre più elevata. La funzione normativa dello Stato sarà, allora, un potere di imperio e, al tempo stesso, una garanzia per la collettività e per gli individui ; e la realtà giuridica diverrà, una « realtà morale, in quanto lo Stato, impersonando i fini della collettività e ponendosi come protagonista e soggetto nel proprio ambito, delle finalità umane degli individui, è l’ente che, superando la contingente realtà individuale, si traspone in un piano superiore. Ora lo Stato non è al servizio dell’individuo, anzitutto perchè soggetto… ad esso superiore, ma anche perchè lo Stato risponde in proprio delle finalità che sono pure dell’individuo, ma che, per ineluttabile e provvidenziale necessità non possono da questi essere realizzate se non nello Stato e per lo Stato. Se, d’altra parte, lo Stato non è al servizio dell’individuo, « è bensì al servizio di tutti gli individui, cioè della collettività organizzata, il che significa semplicemente che è al servizio di sè stesso». La nozione unitaria del popolo e della sua funzione nello Stato, ci pare possa risolvere in modo più aderente alla concezione fascista i rapporti fra Stato, popolo e individuo e ci pare, anche, che porti più facilmente a capire in che senso, nel Fascismo, si possa parlare di democrazia. Il Fascismo, abbandonando ogni concezione atomistica, in cui il concetto democratico trovava la sua stessa negazione, superando quel senso di diffidenza e di ostilità che tutti i sostenitori del liberalismo hanno avuto verso le forme associative, specialmente più evolute, e quel senso di riluttanza a far disciplinare il fenomeno associativo dall’ordinamento statale, il Fascismo, dicevamo, ha considerato questo fenomeno in tutta la sua importanza ed ha non soltanto proceduto al riconoscimento dell’individuo e dei gruppi, ma ha anche ordinato lo Stato in modo che i gruppi, giuridicamente riconosciuti, diventino essi stessi parte dello Stato. Lo Stato, cioè, ha ordinato corporativamente ed ha rivestito di funzioni giuridiche le organizzazioni, che sono diventate, così, « strumenti» dello Stato e del popolo, al tempo stesso. Gli individui stessi vengono ad assumere, nello Stato fascista, una nuova fisionomia, che va oltre la funzione sovrana sostenuta dalle dottrine democratico-liberali, perchè essi, in quanto cittadini, vengono portati sul piano dello Stato, con tutti i loro interessi, materiali e morali, riconosciuti e tutelati, e con tutti i loro doveri, che si risolvono in un aumento di responsabilità. Abbiamo anche parlato di Stato etico fascista, appunto perchè lo Stato tende a sviluppare, al massimo, la naturale eticità degli individui, permearli di una politicità e di una responsabilità morale, che sono gli unici attributi che possano consentire una valorizzazione dell’individuo nella società e nello Stato. È questo ultimo, infatti, il punto di partenza e il punto di arrivo, intorno al quale si agitano tutti i problemi filosofici ed etici dello Stato.
2. — Sia che si tratti di esaminare le varie forme di governo, sia che si affronti il problema dell’autorità e della libertà od ogni altro aspetto riguardante i rapporti fra individuo e Stato, la naturale tendenza alla sintesi e all’unità, propria dello spirito umano, ci propone sempre la soluzione dello stesso problema: cercare di conciliare l’antico dualismo fra l’uomo e la società e di superarlo. I teorici della democrazia pura, fondano tutte le loro elucubrazioni sul popolo, individualisticamente concepito, e, in nome di esso, costruiscono il loro sistema, prettamente meccanico, che tende alla conquista del suffragio universale. Il quale raggiunto, la democrazia, per tale dottrina, è in atto, può essere applicata in qualunque paese civile, e può condurre alla meta desiderata: la libertà assoluta dell’individuo, ottenuta mediante il suffragio universale. Una volta realizzato questo ideale, se ideale si può chiamare, tutto si risolverebbe nel cercare di mantenersi sulle posizioni conquistate, per il massimo soddisfacimento degli interessi materiali individuali. Non è qui il caso di fare la critica a un sistema, su cui si è già ampiamente discusso; ripeteremo, perciò, che, parlando di democrazia, è necessario intendersi. La democrazia non è tutta nè esclusivamente nei sistemi e nelle dottrine democratico-liberali, ma è un’ idea che si svolge e si attua in molteplici modi e con fini diversi. È da escludersi un concetto democratico-liberale, com’ era precedentemente inteso, è da accettarsi un concetto di democrazia in un senso più vasto e più morale, come « partecipazione del popolo al governo», partecipazione che non esclude l’autorità dello Stato e non nega la libertà del singolo, come parte del popolo, inteso in senso unitario. Il Fascismo non è, dunque, attaccato alla vecchia formula democratico-liberale, che si riallaccia alle teorie rivoluzionarie francesi, nè a quella socialistica ; ma, anzi, è irriducibilmente contrario ad esse, poiché sono strettamente connesse ad una concezione materialistica della vita, che il Fascismo rinnega, e sono sostenitrici di uno Stato, di cui l’unico scopo è quello di salvaguardare gli interessi individuali, senza assolvere nessun compito morale e educativo. Il fascismo pone, quindi, il problema della democrazia in tutt’altri termini, poiché si basa sugli individui, ma soltanto ed unicamente in quanto essi costituiscono il popolo, unità organica materiale e spirituale. Perciò, nella democrazia fascista, a base popolare, e, contemporaneamente, gerarchica, il popolo è concepito come investito di una missione, che sta al di sopra dell’individuo atomisticamente inteso. Lo Stato è, sì, il realizzatore della volontà comune, ma in un senso etico, senza perdere la sua sovranità e la sua autorità; e tanto meno avrà bisogno di esercitare il suo potere coercitivo, quanto più avrà assolto la sua funzione educativa. Nello Stato fascista, dunque, non è il sistema che risolve il problema democratico, ma è lo spirito; e, perciò, educare il popolo significa portarlo ad attuare, gradualmente, quella missione, alla quale è chiamato nella storia. Perciò ogni diaframma che divida il popolo dallo Stato è dannoso, mentre tatto ciò che lo avvicina a questo, attuando la immissione sua e, di conseguenza, del singolo nella vita statale, e tutto ciò che lo rende consapevole dei propri compiti, è necessario per quel processo sintetico-unitario, sommamente etico, a cui tende il Fascismo. In questo senso, dunque, lo Stato fascista è Stato democratico, in questo senso attua il principio democratico, immettendo, cioè il popolo nella propria vita, specialmente mediante le due grandi istituzioni nazionali: il Partito e la Corporazione. C’è chi ha parlato di democrazia corporativa, e c’è chi ha parlato, ancora, di democrazia reale, in contrapposto alla democrazia apparentedegli stati democratico-liberali. Ma nell’un modo o nell’altro, ciò che ha contribuito a questa radicale innovazione è stato l’elemento «popolo». E con la trasformazione del concetto di popolo si è trasformato anche il concetto di democrazia. Certo è che mai, come in questo periodo glorioso per la storia italiana, il popolo si è sentito unito e compatto intorno ad un Capo, e mai, come ora, ha avuto coscienza della propria missione e della propria grandezza, coscienza che egli ha dimostrato aderendo volontariamente e disinteressatamente al movimento fascista e dando prova di una disciplina e di una devozione che vanno fino al sacrificio. (1)
Con ciò è possibile formulare la risposta alla domanda se dal 1945 ad oggi l’Italia è in “Democrazia”. La risposta, ovviamente, è un sonoro NO! NON LO E’ MAI STATA! Il popolo italiano, infatti, da quella data non ha mai potuto esercitare liberamente la propria sovranità e partecipare chiaramente al processo politico-sociale della nostra Nazione quale effettivo protagonista, poiché le sue prerogative sovrane sono state minate irrevocabilmente dalla “Partitocrazia-parlamentare” instaurata dalle armate militari anglo-americane occupanti il territorio italiano. Gli atti concreti che manifestano tale tirannica situazione e le sue pratiche conseguenze fino ad oggi, parlano da sé ( come abbiamo ricordato anche di recente, QUI e qui ). Dunque, in un tale contesto politico, nessuna “istituzione” della cosiddetta “repubblica italiana”, che risulta oggettivamente non essere affatto “libera ab origine”, può permettersi seriamente di tacciare chicchessia quale fautore della “tirannide”, senza palesare con ciò il classico caso ridicolo del “bue che dal del cornuto”! Noi fascisti del Covo ci sentiamo e siamo democratici, molto più di chiunque sieda sugli scranni del “parlatoio” a Montecitorio. Noi fascisti del Covo aspiriamo a che finalmente in Italia si realizzi la vera DEMOCRAZIA FASCISTA!
RomaInvictaAeterna
NOTA
1) Augusto Fantechi, “Trasformazione del concetto di democrazia e di popolo”, Firenze, 1938, pp. 143-152.