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ILCOVO ARTEFICE DI UNA SVOLTA STORIOGRAFICA EPOCALE!

 

“… 1938, quando il fascismo si apprestava a dare vita a una nuova civiltà nella quale gli ebrei  non avrebbero avuto il diritto di esistere. Alessandra Tarquini, “Storia della cultura fascista”, Bologna, edizione 2011, pp. 192-193.

“… 1938, quando il fascismo si apprestava a dare vita a una nuova civiltà nella quale gli ebrei non avrebbero avuto il diritto di fare parte.” Alessandra Tarquini, “Storia della cultura fascista”, Bologna, nuova edizione 2016, p. 200.

Carissimi lettori, sapevamo, per averne avuto prove dirette e tangibili, che come Associazione “IlCovo” abbiamo compiuto atti di enorme rilievo nell’ambito che ci è proprio, quello dello studio Storico-Politologico. Senza falsa modestia, possiamo dire con cognizione di causa di aver letteralmente sgretolato a suon di documenti, l’intera narrativa antifascista ufficiale, ossia la cosiddetta “vulgata pregiudiziale” di memoria Defeliciana, fondamento culturale e politico dell’intero apparato che dirige la vita del popolo italiano dal 1945. Abbiamo di già documentato (ad es. qui, qui e sopratutto qui), quali siano i presidi di tale ordine costituito, che noi riteniamo esser falsi ed oppressivi. Ma il Sistema imperante ne fa largamente uso, per evitare che la Verità (quella con la “V” maiuscola!) possa finalmente costituire il fondamento della Società italiana contemporanea, mostrando così direttamente ed a nostro avviso senza ombra di dubbio, come il suo vero scopo sia la soppressione del Pensiero pensante e con esso della Giustizia, checché ne dicano le roboanti dichiarazioni ufficiali di senso contrario. Ma, se ce ne fosse ancora bisogno, una ulteriore e clamorosa conferma rispetto a quanto scriviamo da anni, ci viene direttamente  da un Convegno antifascista, tenutosi in una data davvero non sospetta: il 28 gennaio del 2019, anniversario dell’ufficiale  “giorno della memoria”. Di tale particolare convegno non eravamo a conoscenza, anche perché, sappiamo già che di solito in occasione di tali “date solennemente comandate”, se ne tengono un numero inverosimile, tutti sotto l’alto patrocinio dell’antifascismo ufficiale, tutti all’insegna della medesima “linea politica autorizzata” monocorde, ovvero quella dogmatica della “memoria selettiva ed a senso unico”, priva di dibattiti e contraddittori autentici e seri (qui). Ma noi vogliamo analizzare, a livello storiografico e politologico, gli Atti di tale particolare convegno, poiché essi rivestono concretamente una importanza decisiva, in quanto vi si ritrova la prova della ricezione ufficiale di quei temi che per primi e unicamente noi fascisti de “IlCovo” (sfidiamo chiunque a mostrarci il contrario!) abbiamo sviscerato e dimostrato, documenti alla mano. In più, proprio dalla lettura di questa nostra analisi, che sommariamente assume così la forma di una critica storiografica delle relazioni di quel convegno, ne mostreremo le parti salienti, che a nostro avviso palesano delle evidenti contraddizioni espresse dai ricercatori partecipanti. Allo stesso tempo, rileveremo come l’obiettivo aprioristico del suddetto convegno sia stato meramente politico (e di già presente nelle sue conclusioni finali …addirittura fin dalle “Note Introduttive”!) ovverosia mostrare, sempre e comunque, ancorché indagando molteplici aspetti, concetti e fatti prima sconosciuti (sarebbe il caso di dire “occultati” volutamente per decenni, ma oggigiorno ormai non più negabili, poiché portati alla ribalta nei NOSTRI scritti!), che il “Fascismo” si deve considerare e confermare necessariamente quale “male assoluto”, poiché senza tale assunto dogmatico (quantunque logicamente indimostrabile, come abbiamo ampiamente provato, qui), tutto l’edifico su cui è imperniato l’intero sistema di potere vigente, crollerebbe rovinosamente! Ad ogni modo alleghiamo al presente articolo il volume che raccoglie integralmente gli atti del convegno summenzionato ed invitiamo i nostri lettori a leggerlo con attenzione (qui). Procediamo, dunque, cercando di focalizzare gradualmente l’attenzione su alcuni brani (da noi di già evidenziati direttamente nel documento ufficiale), che riteniamo siano dirimenti rispetto all’interpretazione storiografica che abbiamo fornito a suo tempo come Associazione “IlCovo” (qui) e che risultano essere stati evidentemente elaborati in relazione ad essa, nel palese (ma vano) tentativo di “manipolare i fatti”, affinché il “muro di falsità storiche” costruito in decenni di asfissiante propaganda unidirezionale, non venga giù tutto in una volta.

I. Gli “Aspetti Universali del Fascismo” e le differenze col NazionalSocialismo.

Uno degli aspetti peculiari di tale Convegno, risulta essere l’ostentato tentativo di non riconoscere  chiaramente e fino in fondo la “specifica identità” del Fascismo Mussoliniano, che lo rende inequivocabilmente altro  rispetto al nazionalsocialismo hitleriano, pur non potendo più negare la vistosa presenza di elementi che certificano  tale dato di fatto. Impossibile non notare fin da questo primo particolare una evidente rispondenza tematica in rapporto diretto coi nostri studi originali (sebbene orientata in senso opposto!), poiché già a partire dal 2006, tale è esattamente l’ambito cui ci siamo dedicati, dimostrando incontrovertibilmente l’esistenza di quella peculiare ed inconfondibile “Identità Fascista” che rappresenta il cuore stesso delle ricerche portate avanti dalla nostra Associazione. La posizione ufficiale della storiografia antifascista, però, finora si era sempre fondata sulla negazione aprioristica dell’esistenza di una tale specifica identità. Nelle “scuole” storiografiche antifasciste, in specifico quella Liberale, si era arrivati al “massimo” a riconoscere la differenza esistente, all’atto pratico, tra i vari “regimi totalitari”, giammai però a riconoscere l’esistenza di una dottrina politica chiara ed originale nel pensiero fascista. Lo storico E. Gentile, ad esempio, è giunto a considerare il fascismo come “ideologia della prassi”, o addirittura a definirlo, generando una contraddizione in essere, “ideologia anti-ideologica”. La storiografia ufficiale, dunque, di fatto si è limitata a riconoscere alcune peculiarità proprie nella “attuazione del male assoluto” fascista, differenziandosi rispetto all’enfatizzazione di questo o quell’aspetto, oppure ridimensionandone uno, per ingigantirne un altro (è il caso della scuola defeliciana, che ridimensiona la vulgata marxista del “male assoluto sterminatore”, generando quella del “male assoluto liberticida”). In ogni caso, si è creato in un ambito scientifico quale è la storiografia, un unicum logicamente insostenibile: l’elevazione del criterio etico-soggettivo-moralista, antifascista, in relazione ad una specifica dottrina e prassi politica, ossia il Fascismo, quale unico ed assoluto parametro “oggettivo” di valutazione storica. Invece, la speculazione storiografica seria, al riguardo dovrebbe avere un unico criterio: l’analisi spassionata dei fatti. Ma dal momento in cui è stato introdotto dalla storiografia antifascista il concetto morale di “male assoluto” e il criterio etico-soggettivo per l’interpretazione dei fatti storici, si  è così inficiata la possibilità tanto di comprendere che di ricercare la verità. In ossequio alla logica di una condanna morale aprioristica, frutto di scelte politiche interessate, si è persino arrivati a creare a tavolino categorie storicamente inesistenti, quali ad esempio il cosiddetto “nazi-fascismo”, oppure la categoria onnicomprensiva dei “totalitarismi“, assegnando a questi termini significati tanto molteplici quanto arbitrari ed oggettivamente privi di riscontri storici, frutto esclusivamente di calcoli politici opportunisti. Il nostro lavoro, fin dagli esordi (cioè a partire dall’edizione del 2007 del nostro libro, “L’Identità Fascista”), ha invece mostrato, tornando all’asciutta documentazione dei fatti, da cui imprescindibilmente devono dipendere le interpretazioni (contrariamente a quanto fatto dalla storiografia antifascista, che ha ribaltato l’ordine logico del metodo, partendo da interpretazioni precostituite per arrivare a manipolare convenientemente i fatti storici), che il Fascismo mussoliniano ha una precisa ed originale identità ideologica, la cui peculiarità non è riscontrabile nè assimilabile  a nessun altro movimento politico precedente, coevo e successivo, ivi incluso il nazional-socialismo tedesco; ebbene, abbiamo constatato che nel convegno che prendiamo in esame, tali elementi vengono ormai clamorosamente recepiti, sebbene solo per essere attaccati nel tentativo infruttuoso di inficiarne il valore! Inseriamo di seguito alcune citazioni al riguardo:

“…la Nuova Italia, come ebbe a scrivere un benevolo osservatore britannico, avrebbe indicato la strada verso un mondo nuovo. Non un’Europa democratica, dominata dai conflitti sociali e laica – come la volevano i federalisti alla Aristide Briand o i «paneuropei» alla Coudenhove-Kalergi –, bensì, gerarchizzata, corporativa, cristiana…La Roma di Mussolini, avrebbe quindi ricoperto il ruolo di faro di civiltà al quale tutte le altre Nazioni europee – deluse dal capitalismo abbandonate dalla socialdemocrazia, tradite o minacciate dal bolscevismo – «avrebbero presto o tardi voltato lo sguardo» (cfr. pag 138)…. L’azione era impellente, e doveva essere intrapresa prima che giungesse qualcun altro a ricoprire il ruolo di “locomotiva” della nuova Europa…Si trattava di contrastare con ogni mezzo l’ascesa di un pericoloso concorrente interno alla famiglia fascista. In Germania, Adolf Hitler si era trasformato da oscuro agitatore regionale in un leader politico di primo piano. I suoi seguaci non erano più ridicoli «buffoni», come li aveva apostrofati Mussolini all’indomani del fallito putsch di Monaco (cfr. Pag. 145)…Preoccupato, Mussolini reagì da principio sostenendo i movimenti politici tedeschi che riteneva essere concorrenti ai nazionalsocialisti e più orientati verso il fascismo italiano: il Partito tedesco-nazionale (Dnvp) di Hugenberg, gli ex combattenti dello Stahlhelm, alcune associazioni di ex membri dei Freikorps, piccoli movimenti che si dichiaravano fascisti…Era necessario distinguere fascismo e nazismo, dare al fascismo non solo il privilegio di primogenitura del vasto movimento nazional-rivoluzionario europeo, ma anche strumenti identificativi e discriminanti che lo potevano distinguere dal nazionalsocialismo…All’impero carolingio, centralizzato e dominatore evocato dai leader nazisti, Mussolini e i suoi universalisti avrebbero contrapposto la Roma imperiale, civilizzatrice di popoli, i quali sarebbero stati arricchiti e non annullati dalla dominazione latina…Una comunità imperiale romana contro un impero integrale e germanizzato sarebbe stata la formula di questa sorta di «Brennero ideologico», spartiacque tra l’Italia fascista e il Terzo Reich (cfr. Pag.146)…  Il 15 luglio 1933, contestualmente alla firma del Patto a Quattro (riproduzione del concerto europeo che avrebbe dovuto gravitare attorno all’Italia mussoliniana), nascevano i «Comitati d’azione per l’universalità di Roma» (cfr. Pag. 151).”

(Cfr. relazione Marco Cuzzi, Il “quarto tempo” del fascismo: universalismo e velleità internazionaliste)

Il lettore attento non mancherà di scorgere nel brano in questione le “contraddizioni in essere” ivi presenti rispetto alla teoria del cosiddetto “nazi-fascismo”, che, sebbene sporadicamente rilevate nel corso degli anni in alcuni rari casi, da qualche tempo la stessa storiografia antifascista sembra ormai tendere maggiormente a mettere in risalto; contraddizioni alle quali i relatori sono “costretti” a causa della costante etica del “male assoluto” cui le loro ricerche sono ideologicamente vincolate, un fattore assolutamente irrinunciabile per il fine politico precostituito degli “storici” ufficiali del sistema di potere vigente. Infatti, all’inizio di tale relazione (che risulterebbe altrimenti molto interessante!), non a caso, si ritrova la seguente premessa, dove viene evidenziato un particolare che riteniamo sia stato sottolineato alla luce dei temi che abbiamo di continuo portato universalmente all’attenzione dei lettori nei nostri scritti: “La storia delle suggestioni europeiste del fascismo italiano dovrebbe essere fatta risalire a quella corrente di pensiero, l’«Universalismo fascista», che Renzo De Felice ha considerato […] forse l’unico discorso ideologico culturale che per un certo tempo riuscì ad attivizzare un vasto settore della gioventù fascista e ad offrire ad essa la speranza che la ‘rivoluzione fascista’ potesse riprendere il suo cammino e proiettarsi, come una sorta di ‘rivoluzione permanente’ verso obiettivi sempre più avanzati e universali” (cfr. Pag. 138). Una introduzione preconcetta del genere, vorrebbe così far pensare che l’ “universalismo Fascista” sia stata una mera prassi contingente (ritorna la scuola defeliciano-gentiliana, come del resto anticipato dall’estensore), legata ad un breve momento storico, non avendo così nessuna attinenza a livello ideologico-dottrinario e nessuna radice politica profonda. Ma, sostenere ancora una teoria del genere nel 2019, cozza con la stessa disamina documentale presentata all’interno della relazione, che riferisce di basi ideologiche mostrate dallo stesso Duce del Fascismo (ma anche in questo caso si ricorre all’espediente della categoria morale del “trasformismo” di Mussolini, che noi invece abbiamo correttamente identificato con la “gradualità” dell’applicazione del modello fascista, sempre proclamata dagli ideologi ufficiali del Regime) nonché dai suoi collaboratori, e quindi di una sostanziale “radice identitaria” dell’Universalismo fascista, presente sino alla fine del “regime in camicia nera”, sebbene non manifestatasi pienamente fin dal principio (del resto la stessa citazione dei “tempi” di attuazione del Fascismo, riportata dal  relatore, fatta correttamente risalire ad Arnaldo Mussolini, conferma la nostra tesi). Nella stessa citazione di cui sopra, il relatore dovrebbe però spiegare come si può allora conciliare la corretta definizione di “Brennero ideologico” instaurato dal Fascismo nei confronti del nazionalsocialismo, con il contemporaneo utilizzo della categoria di appartenente alla cosiddetta “famiglia fascista” in relazione al partito di Hitler. Infatti, a rigor di logica, o si tratta di un movimento inserito all’interno di tale “famiglia”, dunque di una dottrina assimilabile nei suoi elementi cardine al Fascismo Italiano (la qual cosa fu sempre negata in campo ideologico fascista ufficiale, motivo per cui politici e storiografi antifascisti hanno negato per decenni qualsiasi valore teorico al Fascismo, fedeli all’adagio che se la teoria non corrisponde alla realtà, tanto peggio per la realtà!) oppure si tratta di un movimento con differenze sostanziali con il Fascismo, per cui la costruzione di una diga ideologica, talmente grande da poter essere qualificata come un “Brennero” (addirittura!), risulta perfettamente coerente. Dunque, la definizione di “concorrente interno al Fascismo“, stante tale situazione, sembra palesemente cozzare con la volontà già manifestata a suo tempo proprio dal fascista Benito Mussolini, ossia di contrapporre (= porre contro) al nazionalsocialismo di Hitler, il PRORIO modello di Impero fascista, di estrazione Romano-Cattolica, che rispetto al Reich Tedesco, risultava inconciliabile. Ordunque, o i due modelli ideali possono armonizzarsi, o non possono. Tertium non datur!

La conclusione della relazione, che andiamo subito a citare, mostra così, ancora una volta, tutta la fallacia interpretativa della teoria politica antifascista, che riconduce pervicacemente tutto il discorso verso la categoria etica del “male assoluto”, avvalendosi nuovamente di tale pregiudiziale ideologica (quindi, continuando ad utilizzare una categoria moralistica e politica quale base indiscutibile di quella che dovrebbe, invece, essere una interpretazione storiografica, cioè scientificamente ancorata solo ai fatti, analizzati in modo complessivo ed esaustivo, risultando pertanto scevra, se non da giudizi, quantomeno da pre-giudizi), e così si arriva ad affermare quanto segue: “La «scuola dei dittatori» della Roma mussoliniana, fulcro di un continente illuminato dagli ideali universali del fascismo italiano, si sarebbe trasformata nel mero apprendistato dei servitori di un’altra Europa, quella di Adolf Hitler” (cfr. Pag. 152). Dunque l’Universalismo del Fascismo, le differenze ideologiche tra Fascismo e Nazismo, le differenze finanche degli obiettivi politici tra i due movimenti, pur venendo rilevate, vengono però tutte derubricate a mera tattica temporanea, che, nel gioco delle egemonie, sarebbe stata “sostituita” volutamente dalla subordinazione all’egemonia tedesca, sia ideologica che politica, entrambe accettate dal “trasformista Mussolini”, proprio perché tale attitudine, stando alla pregiudiziale antifascista, “doveva necessariamente” essere “insita” nella categoria dei movimenti presenti nella cosiddetta “famiglia fascista”. Così si sceglie di ricondurre ugualmente al “tatticismo”, sempre in ossequio alle categorie etico-politiche esplicitate dall’antifascismo, persino tutti i fatti relativi alla stessa II Guerra Mondiale (che non è stata scatenata dall’Italia Fascista; un conflitto al quale detta Nazione partecipò solo dopo un congruo periodo in cui cercò di condurre ancora una volta la propria politica europea “conciliativa”, volendo differenziarsi ancora, sia ideologicamente che politicamente, con l’inaugurazione della “Guerra Parallela” nel momento in cui decise di intervenire, proprio per non subordinarsi agli obiettivi del Reich germanico), così come i continui tentavi volti a rimarcare da parte del Partito Fascista le differenze con il nazional-socialismo (gioverà in proposito la lettura del capitolo del nostro libro, nella nuova edizione ampliata del decennale, che tratta in specifico proprio delle riconosciute differenze ideologiche, proprio da parte dei teorici fascisti ufficiali, fra i movimenti di Mussolini ed Hitler, qui), presenti in tutti gli anni di guerra, in tutta la pubblicistica fascistadurante tutto il periodo dell’alleanza con la Germania, tentativi da noi puntualmente documentati (la ovvia differenza rispetto al periodo precedente, sta nella sospensione della polemica sull’insuperabilità delle difformità). In breve, risulta evidente che, piuttosto che far parlare i fatti storici, si continua a manipolarli in ossequio a precise pregiudiziali politiche, anche se ormai non è più possibile occultare certi elementi, portati prepotentemente all’attenzione di un pubblico sempre maggiore proprio dalla caparbia azione culturale intrapresa negli ultimi quindici anni da noi fascisti de “IlCovo”.

II. Le “radici” delle “Leggi per la difesa della Razza Italiana” e le contraddizioni di Michele Sarfatti.

Ma la parte più clamorosa del suddetto convegno, è sicuramente quella relativa al capitolo attinente le “radici” delle “Leggi per la difesa della Razza italiana”, in riferimento sia alla dimensione “coloniale” di tale legislazione che al rilievo dato dal Partito Fascista al “problema ebraico quale risvolto metropolitano” della “difesa della razza”. Proprio in questo ambito, viene svolta un’analisi incredibilmente “nuova”, se messa in relazione alla “parte politica” da cui proviene. Certamente sappiamo già che altri ricercatori antifascisti si erano soffermati su tale aspetto inerente lo studio della “particolarità unica” della legislazione fascista, ma dando ad esso comunque un risalto secondario, “spiegato” immancabilmente alla luce del solito “opportunismo di Mussolini” (sempre in ossequio alla volontà tutta politica di utilizzare delle categorie morali soggettive che devono assurgere a “fonte oggettiva” di interpretazione dei fatti storici!), come nel caso dello stesso Renzo De Felice, ma anche, più di recente, in quello della professoressa Bonucci (qui). Soltanto noi fascisti del Covo, però, avevamo evidenziato, partendo proprio dalla pubblicistica ufficiale del Partito Fascista e dalla posizione espressa in materia da parte degli stessi Ebrei Fascisti (qui), la “fonte” nonché l’inquadramento politico-ideologico coerente della legislazione fascista per la “difesa della razza italiana”, insieme ai motivi complessi per cui essa fu emanata. Naturalmente, non bisogna mai perdere di vista l’obiettivo finale del convegno, che è stato stabilito fin dalle “Note Introduttive” degli Atti. Dunque, anche l’indagine intrapresa di “nuovi aspetti e fatti”, viene ricondotta necessariamente all’interno di quello che è l’obiettivo politico primario che sta a fondamento di tutto l’evento: ossia la corrispondenza del teorema “fascismo come male assoluto, razzista e sterminatore”. Ed infatti, il ricercatore ebreo Michele Sarfatti, che da sempre è letteralmente un “fervente apostolo” di tale interpretazione (sebbene contestata persino da alcuni studiosi suoi correligionari, come Hannah Arendt, Zeev Sternhell, Meir Michaelis, che si rifiutavano di equiparare Fascismo e nazionalsocialismo, come già rilevammo fin dalla prima edizione del nostro lavoro sull’identità fascista!) durante tutta la sua carriera, non ha fatto altro che ribadirla potentemente in tutti i modi possibili ed in tutte le sedi, non ultima quella del suddetto convegno. Ma constatiamo al riguardo che, ancora una volta, vi sono delle importanti ed evidenti contraddizioni, clamorose, scaturite dall’impossibilità di negare alcuni fatti come quelli resi di pubblico dominio in virtù dei nostri scritti e che andiamo subito a citare. Scrive infatti il Sarfatti:

“…Va precisato che nel periodo 1938-1943 – così come nel successivo periodo 1943-1945 – il governo fascista scelse di non disporre la revoca formale della cittadinanza italiana alla generalità degli ebrei (cfr. Pag 157)… Tuttavia, sulla base delle vicende del ventennio precedente, io ritengo che il fascismo italiano decise di intraprendere la persecuzione generalizzata degli ebrei perché essi costituivano un gruppo il cui comportamento era ormai giudicato (dal regime e rispetto alle sue finalità) pericoloso, antagonistico, alternativo, incoerente o anche inutile. All’interno dell’ebraismo infatti si era sviluppato a metà degli anni Trenta un contrasto tra fascisti e antifascisti, al termine del quale gli ebrei fascisti si erano dimessi dagli incarichi di rappresentanza (e ciò mentre tutta la popolazione della penisola veniva chiamata a festeggiare unita la conquista d’Etiopia e a combattere unita le sanzioni economiche deliberate dalla Società delle Nazioni)… Tutto questo rendeva ancora più difficile la loro presenza differente nella nazione sempre più caratterizzata come cattolicista, nella dittatura sempre più impegnata a revocare e calpestare i diritti, nello Stato totalitario in costruzione. In buona sostanza, a mio parere Mussolini decise di perseguitare gli ebrei proprio allo scopo di perseguitare gli ebrei (cfr. Pag 158)…Relativamente alla tipologia del razzismo fascista, possiamo osservare che nella stampa si espressero sia le concezioni razzistiche cosiddette “spirituali” o “nazionali”, connesse tra l’altro alla nuova esaltazione della “idea” di Roma e della “razza” latina, sia quelle di carattere “razzistico biologico” (cfr. Pag. 160)… (cfr. Le leggi antiebraiche: la prospettiva storica – Michele Sarfatti):

Sebbene risultino evidenti le tare dell’analisi interpretativa di Sarfatti, che si occupa di esaminare esclusivamente alcuni elementi della questione, senza considerare il quadro politico generale e complessivo delle vicende storiche in oggetto, appare ugualmente dirompente il suo riconoscimento sempre nei passaggi succitati di determinate peculiarità, che lo portano ad avvalorare l’uso di categorie specifiche. Ad esempio, egli suddivide quella che definisce comunque come “persecuzione”, in due “momenti”: prima la “persecuzione dei diritti”, dal 1938 al 1943, che certificherebbe per gli ebrei lo stesso status equiparabile a quello degli indigeni coloniali dell’impero, ovvero una “cittadinanza dimidiata” (ma la cittadinanza “speciale” coloniale, arrivò DOPO un periodo di “acculturazione” giudicato sufficiente dal Regime, che, per esempio in Libia, trasformò lo status degli indigeni da sudditi non-cittadini, in “cittadini speciali”, secondo modalità peculiari del colonialismo fascista. Dunque, detto esempio, doveva essere visto come una “fase” nel processo di graduale inclusione nel seno della cittadinanza, e soprattutto nulla impediva, se non fosse stato bruscamente interrotto dalla caduta del Regime nel 1943, che avrebbe potuto essere esteso in futuro alle altre colonie italiane); poi, quella che qualifica come la “persecuzione delle vite”, che attiene al periodo 1943-45. Ma, per questo periodo c’è una ulteriore affermazione di Sarfatti ancor più dirompente. Egli si chiede …”Quale relazione legò la legislazione del 1938 alla consegna degli ebrei a killers specializzati stranieri nel 1943-1945?“. La sua risposta, correttamente, ma mai contemplata nella sua interpretazione storiografica ufficiale, è: “Non vi fu alcun automatismo”. Di seguito, Sarfatti si affretta a considerare comunque tutto ciò come causa, anche se indiretta, della deportazione, poiché precedentemente gli Ebrei erano stati appositamente censiti dallo Stato fascista e di tali censimenti i tedeschi, dopo l’8 settembre del 1943, si erano appropriati (sic!). Inoltre, egli aggiunge una ulteriore considerazione, che però genera indirettamente l’ennesima contraddizione. Egli dice, infatti, che comunque gli ebrei erano considerati dalla autorità fascista come “perseguitandi“. Ora, se gli ebrei erano “perseguitandi“, significa che non erano “perseguitati“. Tra l’altro, Sarfatti rileva correttamente che gli assassini erano “stranieri”, ma poi conferma che la R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana) fu responsabile di tali deportazioni. I conti non tornano: o i responsabili erano stranieri, oppure era responsabile la R.S.I., Tertium non datur! Perché egli parla di responsabilità, e non, al limite, di corresponsabilità. In ogni caso, Sarfatti ammette la realtà di fatto di una polemica, addirittura condivisa dagli Ebrei Fascisti (!), rispetto all’accusa di “antifascismo” manifestato negli atti compiuti nel corso degli Anni 20 e 30 dall’ebraismo “internazionale”, emersa platealmente durante la campagna etiopica e sottolineata dal Partito Fascista. Sarfatti ammette così, indirettamente, che la vera polemica mossa dal Fascismo era con la posizione culturale e politica assunta da una parte consistente dell’ebraismo italiano, che non aveva scelto di dissociarsi irrevocabilmente dall’ebraismo mondiale in lotta col Fascismo e che tale polemica era pure condivisa dagli stessi ebrei vicini al fascismo o fascisti strictu sensu. Inoltre, Sarfatti esprime una importante considerazione sui “tipi” di “razzismo” presenti nella pubblicistica fascista, non rappresentati unicamente dalla concezione “biologista”. Le tare pregiudiziali interpretative di Sarfatti, che gli consentono così di non abiurare alla sua teoria e di mantenere la “barra a dritta” rispetto al “fascismo male assoluto sterminatore”, permangono però tutte e vertono sulla parzialità arbitraria della sua disamina, che ignora volutamente la peculiarità sostanziale della legislazione Fascista, che è essa stessa, come annunciato dalla Dichiarazione del Gran Consiglio del Fascismo dell’ottobre 1938, non razzista-biologista (con ciò rifacendosi esattamente a quell’universalismo più sopra citato nella precedente relazione di Marco Cuzzi) ma di tipo culturale e politico; per questo in essa vi erano inserite apposite distinzioni rispetto agli Ebrei Fascisti e non solo loro (nelle leggi si esentavano anche i semplici “benemeriti”), o addirittura la possibilità di “arianizzare” determinati soggetti o gruppi di soggetti, ovverosia, nell’ottica delle suddette leggi, di “italianizzare” anche Ebrei precedentemente riconosciuti come tali dalla legge. Ma tale impostazione non razzista in senso biologista della discriminazione Fascista, così come l’inserimento della stessa normativa nel quadro politico-ideologico della “civilizzazione imperiale” concepita dal Fascismo, costituisce la materia principale trattata nel successivo capitolo del Convegno, quello su “Le radici delle leggi razziali”, di Valerio Onida:

“…Ciò che si vuole prima di tutto non è tanto un processo di allontanamento o di esclusione degli appartenenti a una “razza” che si reputa diversa, ma scongiurare la “contaminazione”… Tutto ciò risulta più chiaro se si porta l’attenzione sull’altro documento di base del razzismo fascista: la “Dichiarazione sulla razza” votata dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938 . Questo è un documento senza pretese scientifiche, ma schiettamente politico (cfr. Pag. 193)…Un razzismo, quello fascista, che in realtà è una forma esasperata di nazionalismo, che pretende di difendere una “identità nazionale” cui si “prestano” pretesi caratteri “fisici e psicologici” riferiti alla presunta “razza italiana”. Sono davvero tanto diverse certe forme di razzismo odierno, pur certo assai più blande, quando si sostiene l’esigenza di salvaguardare l’identità degli “italiani” dal “pericolo” di invasioni di stranieri? Anche la dichiarazione del Gran Consiglio, naturalmente, arriva al “problema ebraico”: ed è molto significativo il taglio con cui l’affronta. Il problema vero non è la differenza di “razza” degli ebrei, ma quello che viene considerato il ruolo politico dell’ “ebraismo mondiale”. Questo, afferma la “Dichiarazione”, « – specie dopo l’abolizione della massoneria [dunque si introduce un elemento cultural-politico del tutto estraneo al “problema” razziale] – è stato l’animatore dell’antifascismo»; «l’ebraismo estero o italiano fuoriuscito» è stato in certi periodi (si ricorda la guerra etiopica) «unanimamente ostile al Fascismo»; l’immigrazione di stranieri «ha peggiorato lo stato d’animo degli ebrei italiani nei confronti del Regime, non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la psicologia, la politica e l’internazionalismo d’Israele»; «tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei». Come si vede, la questione “razziale” cede apertamente il campo alla questione politica (cfr. Pag. 194)”

A fronte di queste citazioni, viene spontaneo domandarsi come esse possano a rigor di logica conciliarsi con  tutte le altre di opposto tenore, pur presenti nello stesso convegno, che rimarcano a loro volta in modo ossessivo l’interpretazione del “razzismo fascista” quale elemento fondante sia la deportazione che lo sterminio degli ebrei italiani. Lo stesso Onida, ricorda che, oltre a evidenziare inoppugnabilmente l’aspetto politico della discriminazione presente nelle leggi, sia per gli indigeni coloniali che per “l’ebraismo”, esistevano esenzioni, in presenza di provata fede fascista o semplice benemerenza (tali che così la “cittadinanza dimidiata” non era più applicata). Tale “discriminazione nella discriminazione”, la quale precedeva il secondo provvedimento, quello di “arianizzazione”, è un fatto che NESSUNO DEI RELATORI in quel convegno si è soffermato ad analizzare con dovizia o spiegare. Eppure, tale particolare, proprio nell’economia delle analisi riportate, riveste una importanza fondamentale. Se si vuole studiare seriamente la “questione razziale” fascista, non si possono obliare volutamente elementi essenziali della stessa. Così facendo, si manifesta soltanto l’etero-direzione pregiudiziale dei lavori, che dovevano obbligatoriamente portare a conclusioni preconcette di natura politica.

Inoltre, NESSUN RICERCATORE nel convegno si è soffermato a studiare la valenza della legislazione economica della R.S.I., in merito alla confisca dei beni degli ebrei non esentati dalle “leggi per la difesa della razza italiana”. Nessuno ha riportato il documento, pure citato da Renzo De Felice, che riferisce dell’ordine del Ministero degli Interni di NON CONSEGNARE alle autorità tedesche gli ebrei italiani che avevano subito il provvedimento di confisca, ed erano stati per questo spostati in appositi “centri” (qui). Nessuno, inoltre, ha ovviamente anche solo accennato al Salvataggio delle vite”  attuato dallo Stato fascista, pur riferendosi precedentemente alla “persecuzione” delle stesse. Salvataggio attuato in tutto il periodo bellico, dal 1940 al 1945 (compreso il periodo della R.S.I.). Salvataggio che non si concilia con la “persecuzione”. Tali omissioni gravissime, che attengono alla correttezza dell’analisi dei veri termini in cui storicamente si concretizzò tale questione, sono inspiegabili poiché i fatti omessi sono di rilievo massimo. Si spiegano, invece, se si sostituisce all’analisi storica, la propaganda politica.

III. Cui prodest? Il Fascismo, dopo l’opera culturale svolta da “IlCovo”, diviene “male assoluto” in quanto “idea della difesa dell’Identità Nazionale”. La manovra politica per equiparare il Fascismo al cosiddetto “Sovranismo”, quale nemesi eterna.

Giunti al termine di questa disamina, un interrogativo si pone prepotentemente: cosa si può dedurre in merito ai fini concreti di tale convegno? Anzitutto, come abbiamo anticipato, risulta inoppugnabile la discussione da parte dei relatori di alcuni temi particolari, già portati all’attenzione del pubblico non accademico proprio dalla nostra associazione; ciò si evince chiaramente mettendo in rapporto tra loro e confrontando i nostri scritti pubblicati precedentemente al 2019 con le relazioni presentate al convegno. Proseguendo, possiamo rilevare la “trasformazione” di alcuni temi dell’antifascismo di stato, che pare si sia adattato alla “nuova” situazione politica odierna, manipolando tali tematiche in modo da creare nuovi “tipi” politici da colpire, ampliando il “ventaglio” di “nemici” da accusare di rappresentare in forme mutate l’eterno “fascismo, male assoluto”.

Certamente si va progressivamente ammettendo, in modo corretto, che il termine “razza“, usato dal Fascismo in un dato periodo, non aveva lo stesso significato che aveva per il partito nazionalsocialista tedesco e nemmeno per la Liberale Inghilterra (troppo spesso ci si “dimentica” che le teorie eugenetiche e razzistiche diffuse in Europa in quegli anni, hanno il loro fondamento nella “cultura” anglosassone!), risultando differente persino in relazione all’odierno significato della parola. Così come, questo specifico fatto, palesa evidentemente l’ennesima contraddizione rispetto alle teorie della vulgata antifascista. Ma, invece di svolgere il normale compito dello Storico, ovvero studiare e risolvere in generale le antinomie delle interpretazioni storiografiche, che nel caso specifico, in maniera sempre più crescente, si pongono proprio in relazione alla tenuta dei teoremi politici elaborati nei decenni dall’antifascismo di Stato; in ambito antifascista tali contraddizioni non solo non vengono studiate né risolte, ma per di più vengono deliberatamente ignorate restando irrisolte, in ossequio a precise direttive di ordine politico. In tal modo, pur ammettendo ora l’esistenza di talune peculiarità che mal si conciliano col dogma del cosiddetto “nazifascismo”, le si manipola e le si riconduce nell’alveo dell’interpretazione preconcetta dogmatica ufficiale. Dunque, il termine “razza”, che usato nel “modo inteso dai fascisti” generava ovviamente confusione (come correttamente evidenziato da Onida, esso era sinonimo del concetto di “identità nazionale“), ormai risulta abbastanza chiaro che sia stato volutamente utilizzato così dal regime mussoliniano, proprio per generare tale ambiguità. L’ambito storico in cui tale operazione di propaganda politica venne avviata nel 1938, fu la costituenda alleanza con la Germania e fu realizzata da parte delle autorità fasciste in tal senso proprio per mantenere due diversi e complementari obiettivi: l’acquisizione di “prestigio” in relazione all’interlocutore tedesco e la conservazione inderogabile della propria autonoma e specifica identità politica di matrice universalista (altro che aspetto contingente!), assai diversa da quella dell’interlocutore e alleato germanico. A tale scopo, venne sfruttata dal regime mussoliniano la controversia con l’ebraismo sionista internazionale, facendo allo stesso tempo leva sul “problema coloniale”, subentrato alla conquista dell’Etiopia. Così, mentre questa interpretazione, risolve, sulla base dei fatti storici, la contraddizione precedentemente evidenziata sul concetto di razza concepito in senso spirituale quale sinonimo di nazione italiana, pone però un problema enorme in merito alla narrativa ufficiale, che continua ad identificare il Fascismo quale prassi politica anti-ideologica che “Intrinsecamente” si proponeva di “sterminare in tutto o in parte” qualsivoglia categoria sociale, opportunisticamente identificata, volta a volta, in ragione di esigenze contingenti. Se si vuole (come in ambito antifascista abbiamo testé dimostrato si vuole ad ogni costo!), mantenere lo stereotipo del “fascismo come male assoluto”, insistendo sul fatto che esso avrebbe avuto come obiettivo il “razzismo sterminatore”, arguendo con ciò che proprio per tale motivo fosse “inevitabile” che venissero varate le “leggi per la difesa della razza italiana” nel 1938, pur non prevedendo esse in nessun caso la “persecuzione e l’uccisione” di chicchessia, ma essendo tale aspetto considerato comunque una “tappa obbligata” verso quell’obiettivo, ritenuto contro ogni logica e fatto storico quale elemento centrale nella concezione politica fascista; allora, in nessun modo sarà mai possibile prendere seriamente in considerazione in modo integrale i fatti che smentiscono tutta l’impostazione pregiudiziale suddetta, mentre risulterà sempre essenziale, in omaggio a tale impostazione preconcetta, elevare a “prova storica” quella che è solo una interpretazione aprioristica di parte, a conferma che per costoro non si deve affatto ricercare la Verità, ma orientare la pubblica opinione verso una dogma preventivamente stabilito in funzione di interessi politici settari.

Solo così, il senso profondo di tale presidio culturale si rivela in modo chiaro, risultando quanto mai necessario al disegno politico cui sottende, e tutto ciò appare in modo manifesto se si va a leggere proprio il capitolo conclusivo del convegno di cui sopra, che, guarda caso, verte proprio sulla critica alla “parziale” e non “radicale” applicazione della XII Norma della Costituzione antifascista. Siccome tale norma, che è applicata in base all’ormai famosa Legge Scelba del 1952 e successivi inasprimenti, si basa proprio sulla definizione del “fascismo quale concezione intrinsecamente razzista e sterminatrice, volta al male assoluto”, come potrebbe mai essere accettato di ricercare la Verità, qualsiasi essa sia, se essa rischia di mettere addirittura in crisi i fondamenti dell’intero ordinamento politico vigente? Come potrebbe mai essere accettato di ammettere, sia in ambito Politologico, che Storico, che la Dottrina Fascista esiste, e non può essere affatto annoverata nella categoria morale del “male assoluto”? Soprattutto, sempre alla luce dei fatti storici veri, come potrebbe mai essere accettato di confermarne la non “unicità” all’insegna della malvagità sia nella teoria che nella prassi, degli errori del Regime Fascista, ad esempio, in una prospettiva comparativa, in relazione ai regimi democratici odierni?

A questo punto, per dirla con Michele Sarfatti, in relazione alla XII Norma Costituzionale ed alla successiva Legge Scelba del 1952 (che potremmo definire, parafrasando Onida, “razzismo politico allo stato puro”, a differenza della discriminazione attuata dalle leggi fasciste, che, come abbiamo visto, prevedeva delle distinzioni e non prevedeva persecuzioni!) dovremmo tranquillamente affermare con cognizione e ragione che esse attengono all’ambito proprio della “Persecuzione del Pensiero”, il quale riassume in sé sia la “Persecuzione dei diritti” che la “Persecuzione delle vite”. Dunque, per rimanere nello stesso “piano morale” usato dall’antifascismo di Stato, dovremmo quindi ritenere che la “Persecuzione” sia qualificabile come “giusta” se chi la applica rappresenta la parte politica “vincente”? Perché, noi fascisti, moralmente riteniamo essere inaccettabile l’applicazione di differenti ed opposti metri di giudizio, variabili in ragione di convenienze politiche contingenti! Così come non è possibile ammettere che la “difesa dell’identità nazionale ” (tale la definizione che riteniamo corretta, avallando lo studio di Onida sopra riportato), se perorata dallo  Stato fascista italiano sia da considerare universalmente e di per sé “un male assoluto”, mentre quella perorata oggigiorno dallo Stato sionista israeliano (Cfr. ISRAELE. Knesset approva legge Stato-nazione ebraica. La discriminazione ora è ufficiale, 19 luglio, 2018.), ad esempio, ( elaborata in forma opposta a quanto teorizzato dallo stesso Fascismo, che non ne faceva affatto una questione “di sangue”), sia un “bene assoluto”! Oppure dovremmo ammettere che viviamo, a differenza di quello che vorrebbero farci credere gli auto-elettisi “moralmente elevati”, in un regime dispotico, intollerante e razzista, che copre sotto il velo di una “moralità ipocrita” ciò che normalmente sarebbe definito come un indegno sopruso? Noi fascisti de “IlCovo” siamo pronti da sempre al confronto storico su tutti questi temi, con chiunque abbia il coraggio e gli argomenti per farlo… da anni aspettiamo che anche gli altri lo siano!

IlCovo

 LA NOSTRA IDENTITA’FASCISTA!

LA NOSTRA IDENTITA’FASCISTA!

LA NOSTRA IDENTITA’FASCISTA!

LA NOSTRA IDENTITA’FASCISTA!

LA NOSTRA IDENTITA’FASCISTA!

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