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ITALIA RAZZISTA? – Il regime fascista capro espiatorio della plutocrazia contro il popolo italiano – Parte II

Proseguendo l’analisi incominciata nel precedente articolo (vedi QUI), arriviamo così alla proverbiale “causa prima”, dalla quale, teoricamente, traggono spunto i “gendarmi della memoria distorta ed a senso unico” per avvilire da quasi ottanta anni l’esistenza del popolo italiano, tentando con tutti i mezzi di alimentare degli immotivati sensi di colpa e di rinchiudere per sempre la vita politica nazionale all’interno del corrotto circolo vizioso partitocratico, impostoci dagli occupanti angloamericani al termine della Seconda guerra mondiale.

Dobbiamo domandarci, dunque, in che modo l’Italia di Mussolini fu concretamente razzista, tanto da incarnare, secondo quanto ci danno ad intendere da decenni, l’archetipo del cosiddetto “male assoluto”! Ciò al fine di capire se il continuo sbandierare ai quattro venti tale questione, da parte del sistema di potere antifascista, come se si trattasse di un  pericolo realmente incombente, costituisca davvero un pericolo reale, o piuttosto solo un mero espediente di bassa propaganda, sotteso a giustificare la lunga serie di provvedimenti di guerra ideologica diramati da decenni in Italia e in Europa a beneficio di determinate oligarchie parassitarie, desiderose soltanto di mantenere stabilmente precisi equilibri di potere e particolari privilegi.

L’Italia … razzista?

Storicamente, l’accusa ricorrente di razzismo nei confronti di una parte degli italiani, in specifico quelli appartenenti alla parte sconfitta nell’ultima guerra mondiale (in particolare nei confronti dei loro “eredi politici”, veri o presunti, ossia i vituperati fascisti!) si basa essenzialmente sulla promulgazione delle famigerate “Leggi per la difesa della razza italiana”, emanate dal Governo Fascista nel novembre del 1938 (1). Tali leggi, sono state addirittura definite dalla propaganda antifascista di Stato, in modo tanto roboante ed assillante quanto fazioso e falso, come “l’indispensabile premessa dello sterminio degli ebrei” in Italia, che ha riguardato in totale la morte di circa settemila nostri connazionali, deportati in Germania dai Nazionalsocialisti tedeschi dopo l’8 settembre del 1943. Ma concretamente, in realtà, la responsabilità  storica oggettiva derivante da quelle leggi, non verte affatto sullo sterminio degli ebrei, un fatto che non era nemmeno lontanamente ipotizzato dal legislatore fascista (lo stesso Mussolini affermò ufficialmente che l’obiettivo era “separare, non perseguitare gli ebrei”), bensì è relativa a due fatti, cioè, alla separazione della maggior parte di questi dalla cittadinanza italiana ed alla concomitante divisione cagionata all’interno della stessa comunità ebraica italiana (che contava, in totale, circa 50.000 membri  su di una popolazione complessiva di circa 44.000000 di italiani), tra gli ebrei fascisti italiani, discriminati, cioè trattati diversamente, ai sensi della legge, e gli altri appartenenti alle comunità giudaiche della penisola. Infatti, le “leggi per la difesa della razza italiana”, non prevedevano l’organizzazione di una persecuzione razzistica; non concepivano affatto una definizione di ebreo quale appartenente ad una cosiddetta “razza inferiore da perseguitare ed eliminare”, come in malafede vorrebbe dare ad intendere l’antifascismo di stato, bensì – dopo la deliberazione del Gran Consiglio del Fascismo dell’ottobre 1938 nella quale era affermato che « l’ebraismo mondiale specie dopo l’abolizione della massoneria, era stato l’animatore dell’antifascismo in tutti i campi e che l’ebraismo estero o italiano fuoruscito era stato, in taluni periodi culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica, unanimemente ostile al Fascismo » – definivano la speciale situazione politica di due categorie particolari in seno alla società italiana, dividendole in due distinte e separate tipologie, di cui una giudicata come nemica politica “tout court” dello Stato e l’altra come potenzialmente assimilabile alla comunità nazionale, pur essendo ambedue  appartenenti a quella che veniva qualificata come “razza ebraica”. Ciò avvenne distinguendo in primis tra italiani ed ebrei, poi, tra ebrei italiani fascisti e gli altri ebrei. In presenza di un tale criterio politico, ossia, “l’italianità” intesa come adesione sincera ai valori etici del Fascismo, lo ripetiamo, stabilito arbitrariamente dalla legge su basi esclusivamente di natura politica, il cittadino ebreo fascista, dietro apposita richiesta, veniva parzialmente esentato dai provvedimenti volti a separare il resto della comunità ebraica (giudicata in quanto tale, ideologicamente e culturalmente incompatibile con il Fascismo e la Civiltà italiana), dalla comunità nazionale; con la possibilità concreta (su ulteriore apposita richiesta dell’interessato da valutare da parte di una commissione ministeriale ad hoc, valevole per sé e la famiglia) di venire successivamente “arianizzato”, cioè, di divenire pienamente cittadino italiano con tutti i diritti e doveri derivanti da tale status. Invece, nei riguardi della restante parte degli ebrei presenti sul territorio nazionale, a fronte delle limitazioni economiche e sociali previste dalla legge nei loro confronti, tali soggetti acquisivano lo status di apolidi, ossia stranieri senza patria. Questo perché l’ebraismo, dopo i fatti descritti nella Dichiarazione dell’Ottobre 1938 dal Gran Consiglio, venne giudicato dal regime mussoliniano, di per sé, potenzialmente conflittuale dal punto di vista politico con la morale fascista, in quanto esso, tra i propri precetti, contempla il vincolo di fedeltà esclusiva al cosiddetto “Israele eterno”, entità che nell’interpretazione del sionismo, oltre a rivestire un carattere di natura spirituale, lo è anche di natura etnica e politica, con un forte valore identitario di tipo nazionale, rientrando con ciò nel campo di quella mondanità la cui potestà non risulta condivisibile con nessun altro soggetto politico, tanto nel nazionalismo ebraico quanto nella concezione spirituale fascista dello Stato. Dunque, la legge del 1938 (integrata con successivi provvedimenti ad essa relativi) si distingueva essenzialmente proprio per queste caratteristiche politiche, tutte desumibili in modo innegabile. Tutto ciò, da parte fascista, non prevedendo alcuna possibilità di “doppia fedeltà” morale e politica, si traduceva nella responsabilità di aver separato, di diritto, la comunità ebraica locale dalla nazione italiana e di averla suddivisa in due categorie: quella degli “ebrei italiani fedeli al Regime”, potenzialmente in grado di esservi riammessi e tutti gli altri, cioè gli apolidi, considerati non più italiani. Proprio riguardo questi ultimi, al regime fascista va ascritta la responsabilità storica di aver realizzato un regime di separazione definitiva (2), preludio ad una loro futura espulsione dal territorio nazionale metropolitano (ma non, eventualmente, dai territori dell’Impero in Africa Orientale Italiana, dove lo stesso Regime aveva preso in esame anche la possibilità di creare un proprio territorio-protettorato popolato maggioritariamente da ebrei). 

Come ebbe a scrivere il biografo del Duce, Yvon De Begnac, …”Di qui, prendeva le mosse il nostro razzismo, improntato non alla persecu­zione del piccolo Giudeo, ma alla enucleazione di tendenze internazionalisticamente dannose alla direzione politica delle cose del Paese. Ciò appare provato dal lungo diritto d’asilo concesso da Mus­solini ai semiti fuggiti di Germania e dalla sua volontà di sistemare la Nazione ebraica in ubertosa zona somala. I colloqui che il Pre­sidente ebbe in proposito con Chaim Weizman, capo dei sionisti di tutto il mondo, documentano simili intenzioni. Ma v’è di più: mentre il giornalismo di punta prendeva animosamente posizione sul problema della razza e — per varie ragioni d’ordine culturale, spirituale, rivoluzionario — assaltava con veemenza l’apparato ebraico italiano, Mussolini personalmente interveniva a moderare quel linguaggio: e, direttamente, provvedeva ad « arianizzare » quando a ciò lo consigliavano casi particolari, disperati, legati alla storia od al dramma della nuova Italia. Non ci furono, presso di noi, campi di concentramento o forni crematori. Il Presidente delle comunità ebraiche italiane, l’ex-prefetto Almansi, discuteva diretta­mente — in piena polemica razziale — a Palazzo Venezia, i pro­blemi dei propri correligionari. Il generale del genio navale, Pu­gliese — in piena guerra — tirava a galla le nostre due dread­-noughts appoppate dai siluri inglesi nel porto di Taranto. I gior­nalisti ebrei continuavano a lavorare, magari senza firma. Uomini come Giorgio Del Vecchio si ritiravano nell’ombra senza recri­minare” (3). Lo stesso Mussolini riguardo tale questione ebbe a dire parole alquanto chiare, che in pochi negli ultimi decenni hanno avuto il coraggio di ricordare. Già alla fine del 1936, cioè dopo l’occupazione dell’Etiopia da parte italiana, che era stata avversata da tutte le nazioni occidentali più ricche (e per di più in possesso di vasti possedimenti coloniali!) che a causa di ciò avevano applicato delle sanzioni economiche verso l’Italia fascista, isolandola diplomaticamente, Mussolini scorse in tali manovre lo zampino della potente lobby finanziaria giudaica internazionale, pur essendo egli, fino ad allora, sempre stato non aprioristicamente contrario alle richieste del sionismo. In quel frangente, comunque, lanciò un chiaro avvertimento: “La gente distratta, o che finge di esserlo, si domanda come fa a nascere l’antisemitismo, come e perché si diventa antisemiti, pur non avendo avuto dalla natura speciali indicazioni in materia. La risposta è semplicissima: l’antisemitismo è inevitabile laddove il semitismo esagera con la sua esibizione, la sua invadenza e quindi la sua prepotenza. Il troppo ebreo fa nascere l’antiebreo”… (“Il Popolo d’Italia”, 31 dicembre 1936). Più tardi, nell’ottobre del 1941, dopo tre anni dalla promulgazione dei provvedimenti per “la difesa della razza italiana”, in piena guerra mondiale, avrebbe ricordato al suo biografo che… “Mi accorsi dell’ostilità ebraica verso il Fascismo allorché, in economia inco­minciò a svolgersi la nostra politica di emergenza. La campagna verbale antisemita è stata forte. Personalmente, sono contrario a simili eccessi. Ho avuto conoscenti affezionati tra gli Ebrei. Ne ho avuti tra i Sansepolcristi, tra i caduti per la Rivoluzione. A Ferrara, Balbo li ha difesi con estremo coraggio civile. Nessuno ha potuto torcere un capello al comm. Ra­venna. L’Ebreo patriota perde le caratteristiche polemiche della razza. Quando si è trattato di soccorrere la Patria in crisi, il generale Pugliese, del Genio navale, senza chieder reintegrazioni di grado, ha rimesso a galla le navi affon­date a Taranto dagli aviatori inglesi. Ho arianizzato questi uomini di gran cuore. Eguale provvedimento ho preso nei confronti di una eroica medaglia d’oro di Spagna, il ten. Jesi, e nei riguardi del figliastro di un generale che accanitamente si batte in Africa Settentrionale. Nessuno mi ha chiesto interventi del genere. Sto favorendo al massimo gli espatri. Il ministero Scambi e Valute ha avuto disposizioni per facilitare le operazioni finanziarie di simili emigranti. Molti sistemano la loro posizione in sede di magistratura competente. La prassi segui­ta è quella che: ognuno è padrone di usare della legge nei limiti del consentito. L’ex-prefetto Almansi, che è a continuo contatto con me, diventerà ariano ne prendo l’impegno — non appena avrà risolto il grave problema allo studio del quale è stato da me destinato. Sarà questione di una generazione. I matri­moni misti stanno stemperando lentamente le caratteristiche ebraiche. Una pic­cola percentuale di quello non farà del tutto male nelle vene di alquanti Italiani futuri. Preziosi ha preso la mano a Farinacci. Roberto ancora non sa quanto sia funereo Streicher in Germania. Nulla di tragico, ad ogni modo, tra noi. Ero un ammiratore di Formiggini e non posso dimenticare che quattro dei sette fondatori del nazionalismo italiano erano ebrei. I miei figli hanno protetto spietatamente i loro amici israeliti. Minaccia­vano di ceder loro un letto nella loro camera se non li si poneva in condizioni di espatriare o di sistemare stabilmente e giuridicamente la loro situazione. Io personalmente non consento con le posizioni dialettiche assunte in proposito da tutti i giovani estremisti fascisti”.

Evidentemente, come ribadì anche al suo interlocutore, per Mussolini l’incompatibilità di fondo tra ebraismo e Civiltà italiana era di natura etica e spirituale: “Missiroli tocca il punto giusto allorché parla di valori spirituali dell’ebrai­smo in netto contrasto con quelli sostenuti dalla civiltà romana e dalla civiltà cristiana. Sì, in Israele v’è veramente il dramma dello sdoppiamento della vita. Una parte tende al sublime, l’altra paurosamente al reale, specie dopo la Croci­fissione del Messia” (4). Tutto ciò va adeguatamente rimarcato, anche se, riteniamo che la campagna politica anti-giudaica orchestrata dal Governo fascista si sviluppò prevalentemente a causa di motivazioni attinenti la politica estera, cioè in relazione all’isolamento politico patito dall’Italia e attribuito all’ostilità verso di essa da parte della influente finanza internazionale ebraica. Proprio in relazione a ciò, fu conseguente per l’Italia la necessità di un avvicinamento alla Germania, unica nazione a cercare in quel frangente la collaborazione italiana nello scacchiere europeo, ma che, in relazione all’ebraismo internazionale, pur attribuendo alla questione un valore essenziale, a differenza del regime fascista, però, aveva a proprio fondamento non tanto la polemica politica anti-sionista, quanto piuttosto il determinismo razziale, proclamando, cioè, la superiorità biologica ancestrale della razza tedesca in quanto tale su tutte le altre, considerando gli ebrei un vulnus per l’integrità etnica germanica, dunque semplicemente una piaga da eliminare anche fisicamente. In tal senso, un’altra particolarità delle leggi italiane del 1938 è definita chiaramente dal fatto che persino dopo la loro promulgazione, continuarono ad esistere e ad essere riconosciuti ufficialmente degli “ebrei fascisti”. Dalle stesse colonne di alcune riviste dell’ebraismo italiano, quali il “Davar” o “La nostra bandiera”, tali ebrei fascisti sostennero essi stessi la campagna di separazione messa in atto dal Regime, attaccando il sionismo e rifiutando qualsiasi vincolo con l’ebraismo internazionale, sempre fiduciosi nel senso di giustizia dell’Italia fascista. Ad ulteriore conferma della sostanziale differenza di vedute rispetto alla questione ebraica tra Italia fascista e Germania nazista, durante tutto il corso della successiva Guerra mondiale e fino al 1945, seguendo varie modalità in relazione alle differenti circostanze, l’Italia fascista attuò scientemente un’azione  estesa e continuata di salvataggio delle minoranze ebraiche presenti nella propria area di influenza geopolitica, tesa ad ostacolare le direttive tedesche. Tale azione, mirante a salvaguardare l’incolumità degli ebrei italiani (e non solo italiani) presenti oltre frontiera, è ormai documentata in modo incontestabile da più studiosi (5). Con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, ulteriore responsabilità storica da addebitare all’Italia fascista, nel tragico frangente seguito all’invasione concomitante del territorio nazionale da parte dei Tedeschi e degli Alleati angloamericani – dopo la firma da parte del Re e del Governo Badoglio (che avevano posto termine al regime mussoliniano con un Colpo di Stato militare, arrestando il Duce e i principali gerarchi fascisti) dell’armistizio e della resa incondizionata nel settembre 1943 con questi ultimi – fu l’aver emanato nel novembre di quell’anno una ordinanza di polizia per la confisca dei beni degli ebrei “non esentati dalla legge” (sempre in riferimento alle precedenti norme del 1938), con la formale necessità di permettere di beneficiarne agli italiani sfollati ed ai sinistrati a causa delle operazioni belliche, nonché l’aver definito l’internamento in campi o strutture provvisorie italiane degli ebrei soggetti al provvedimento di confisca. In tale modo, la R.S.I. ottenne, tra le altre cose, la smobilitazione da parte tedesca della precedente occupazione dei campi di prigionia posti in territorio italiano, avvenuta dopo l’8 settembre.

Tutto ciò bloccò, temporaneamente, le deportazioni degli ebrei da parte dei tedeschi in Germania, già avviate nell’ottobre di quell’anno in assenza di uno Stato italiano legittimo riconosciuto dal Reich germanico. In seguito, il Governo italiano della R.S.I. si attribui esclusivamente la gestione dei cittadini ebrei, sia prigionieri che non. In questo modo, vennero create commissioni provinciali che si occupavano, tra l’altro, di esentare specifiche categorie di ebrei dai provvedimenti di polizia summenzionati (gli anziani, le donne i bambini), e di rilasciare gli ebrei di alcune nazionalità, come i turchi, i romeni o gli svizzeri, presenti sul territorio della Repubblica (6). Per quelli a cui sarebbero stati confiscati i beni, invece, era previsto che fossero “concentrati” anche in edifici delle stesse comunità ebraiche, adibiti provvisoriamente a tale occorrenza. Lo stesso Campo di internamento di Fossoli, quello più importante presente sul territorio della Repubblica, sarebbe stato attrezzato quale temporaneo luogo di internamento degli ebrei non esentati dai provvedimenti legislativi, in attesa della fine prossima della guerra. Pochi sanno che la deportazione ebraica direttamente gestita da parte dei nazisti tedeschi in Italia, fu scatenata da questi ultimi proprio perché le autorità della R.S.I. non vollero consegnare spontaneamente gli ebrei all’alleato germanico. Fu così che il Campo di Fossoli venne ri-occupato manu militari dai tedeschi e che dalla metà del 1944 la polizia tedesca deportò gli ebrei che riuscì a catturare. Ma, di fatto, le autorità italiane intralciarono ufficiosamente anche tali deportazioni. Nel suo libro intitolato “Mussolini, Graziani e l’antifascismo”, l’antifascista Carlo Silvestri,  documenta tali fatti inoppugnabilmente (7).

L’utile ed eterno capro espiatorio del sistema pluto-massonico !

Quindi, riassumendo, la responsabilità storica dell’Italia Fascista, in relazione alla questione ebraica, fu in primis quella di aver emanato nel 1938 delle leggi politiche che dovrebbero essere più correttamente definite “anti-sioniste” (qui) , rimarcando cioè il loro valore polemico di senso politico ed etico nei confronti dell’ebraismo messianista-politico, piuttosto che l’elemento etnico-razziale, pur avendo esse utilizzato strumentalmente il termine “razza” per motivi di cinico opportunismo (tra l’altro, in quelle leggi vi era una parte dedicata alla politica di discriminazione coloniale; una separazione che, come mostrava il caso della Libia, non pregiudicava la possibilità di estendere gradualmente, nel tempo, la cittadinanza italiana anche ad altre genti che, secondo una prospettiva ideologica fascista, avessero dimostrato di essere degne di appartenere alla Civiltà italiana); successivamente, dall’autunno del 1943 (ossia nella drammatica contingenza della nazione invasa e occupata da più truppe straniere e abbandonata  in balia di se stessa dalla monarchia e dai golpisti badogliani) dopo aver rimesso in piedi lo Stato dal caos assoluto nel quale era stato colpevolmente precipitato, quella di aver emanato una ordinanza di confisca dei beni degli ebrei “non esentati” dalle precedenti leggi, e disposto per essi (con le eccezioni di cui si è detto), fino alla fine della guerra, un temporaneo internamento in strutture provvisorie a ciò preposte in territorio italiano e gestite da autorità italiane (8). Dunque, in relazione al contenuto delle leggi fasciste, stante quel che abbiamo scritto, tale “eredità giuridica” non può essere correttamente definita in nessun caso come foriera di alcun “razzismo sterminatore”, tantomeno come “razzista in senso stretto”, ovverosia finalizzata ad escludere in tutti i casi dalla cittadinanza uno specifico gruppo etnico-religioso (9), o almeno non più di quanto possano essere ugualmente definite razziste le norme legislative dell’attuale repubblica antifascista rivolte ad escludere dalla vita politica italiana ed a perseguitare tutti coloro che vengono tacciati di voler riorganizzare il disciolto P.N.F., di fare apologia del Fascismo o più generalmente manifestano pubblicamente il proprio essere fascisti o di simpatizzare per il Fascismo. Così come l’innegabile provvisorietà dell’attribuzione della qualifica di “nemici per la durata di quel conflitto” agli ebrei, specificamente evidenziata e dichiarata anche dal Partito fascista repubblicano nel celebre “Manifesto di Verona” (10), non autorizza nessuno a definire il Fascismo italiano quale ideologia intrinsecamente razzista, nè ab origine né ex post; in nessun caso, poi, è ascrivibile ad esso alcun intento premeditato di sterminio rivolto ad alcuna categoria etnica o religiosa, poiché tale definizione contraddice gli stessi fatti storici. Il caso emblematico del fascista ebreo Ettore Ovazza, è paradigmatico. Egli fu sempre fascista, e fu eliminato insieme ai suoi familiari dalle SS naziste! Dunque, se riguardo le leggi emanate dallo Stato Fascista non si può desumere affatto alcun intento né volontà di soppressione o cancellazione “in tutto o in parte” di alcuna specifica categoria di persone e se risulta ugualmente innegabile che lo Stato Fascista, stando alla stessa definizione di “genocidio” e persecuzione emanata dalle Nazioni Unite (11), non può essere definito in alcun modo uno Stato razzista e sterminatore, a maggior ragione ciò vale per la  Dottrina del Fascismo (12),  in riferimento all’eredità ideologica specifica in essa contenuta, che non si fonda affatto sull’odio razziale né sul razzismo, fermo restando che, nessun gruppo politico, dal dopoguerra, ha mai veracemente professato e sinceramente fatto propria tale insieme organico di idee! (13)

Ma l’evidente creazione artificiosa a tavolino di tali archetipi negativi, fondati su di un evidente cumulo di falsi stereotipi e menzogne storiche, con il valido supporto di gruppi intra od extra-parlamentari, tutti collegati più o meno ufficialmente alla repubblica antifascista e agli “occupanti a stelle e strisce”, risulta appositamente predisposta per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica il varo di iniziative e provvedimenti liberticidi straordinari, tutti finalizzati ad etero-dirigere le masse, con lo scopo di assoggettarle meglio. Persino tra coloro che, per loro stessa ammissione, sono ben lontani da qualsiasi rivalutazione politico-dottrinaria del Fascismo in chiave attuale, ma che comunque non rifuggono dall’analisi spassionata dei fatti storici in quanto tali, risulta assolutamente palese che la categoria ideologicamente inesistente e storicamente fasulla del cosiddetto nazi-fascismo è nata…“perché bisognava criminalizzare una volta per tutte, insieme al nazismo, anche il fascismo, prendendo, per così dire, due piccioni con una sola fava: da un lato, trovare un capro espiatorio per la tragedia degli ebrei in Italia […] dall’altro “saldare” la colpa imperdonabile dell’antisemitismo con quella di aver creato in Italia un regime antipopolare e liberticida. Ed ecco perché non si arriverà mai, finché perdurano le presenti condizioni, non diciamo a una riabilitazione di Mussolini e del fascismo, ma anche solo a render loro giustizia: se render giustizia a qualcuno è riconoscere quali furono i suoi meriti e i suoi demeriti, e non caricarlo di tutte le colpe del mondo senza riconoscergli, per principio, d’aver fatto nulla di buono. Vi si oppone l’ebraismo internazionale: la cultura italiana, e non solo quella, è sotto ricatto. Rendere giustizia a Mussolini vorrebbe dire, nella percezione comune, mancare di rispetto alle vittime della Shoah: anche se, con quelle vittime, Mussolini e il fascismo – il quale, fin dal 1919, era pieno di ebrei – non c’entrano nulla, assolutamente nulla” (14).

In proposito, basta osservare l’estensione del significato che si opera a proposito di termini quali “odio, razzismo e violenza”. Andando evidentemente ben oltre il senso proprio di tali termini, “razzista” (ad es.) ormai è diventato persino colui che fa nette distinzioni tra le nazioni e le culture (senza, ovviamente, stabilire superiorità o inferiorità); oppure razzisti si diventa se si vuol porre un freno agli sbarchi incontrollati di clandestini in Italia, se si vuole che le leggi limitino la concessione della cittadinanza agli stranieri o se si interpretano in senso più restrittivo quelle vigenti (da qui l’accusa speciosa di ritornare alle leggi del 1938); oppure se si ritiene doveroso che in Italia la Civiltà italiana vada anteposta alle altre culture e salvaguardata, sottolineando come il retaggio spirituale di essa risulta incompatibile con alcune specifiche tradizioni politiche e religiose e che pertanto questi fatti non vadano nascosti o minimizzati. Anche questo modo di sentire è ormai classificato pretestuosamente, da chi gestisce servilmente  l’informazione per conto del sistema pluto-massonico, quale razzismo! …e di per sé, vista la deformazione della realtà storica attuata dall’oligarchia affaristico-politica al potere, ciò risulta sufficiente per costoro a qualificare tale atteggiamento come eredità razzista, quindi fascista, quindi nazista per apparentamento, dunque antiumana! Ed ecco il motivo per cui le istituzioni della repubblica antifascista proclamano la necessità inderogabile dell’intervento del nuovo Ministero dell’Amore…che tutto e tutti ci vuole seppellire nell’abbraccio mortale della U.E. che, a sua volta, (lo hanno già deciso da anni!) ci deve traghettare verso l’incubo infernale degli Stati Uniti d’Europa! (QUI) Ma a dispetto delle loro macchinazioni, a dispetto del fumo negli occhi gettato in faccia alle masse con grande dispendio di mezzi ed energie, a dispetto di tutti i burattini di destra, centro e sinistra, di cui il sistema antifascista si è continuamente servito e continua ad avvalersi… ebbene, grazie a Dio ci sono ancora dei fascisti veri che rigettano in faccia ai mittenti il loro cumulo di menzogne interessate, lottando con tutte le loro energie per la Giustizia e affermando la Verità… che per antonomasia è sempre rivoluzionaria! Se lorsignori antifascisti si erano illusi di aver seppellito definitivamente il Fascismo vero e di averlo sostituito col surrogato fasullo creato dalla loro repubblica della banane Italy-ota a “stelle e strisce”, quello patetico e ridicolo fatto di beceri tifosi da stadio urlanti e tartarughe evoliane rasate di borgata sbraitanti; di svastiche, croci celtiche e paccottiglia raccattata nei mercatini rionali, di gitanti  necrofili in costume della domenica, tutti insieme capaci solo di atteggiarsi a patriottardi e di sbraitare contro un comunismo inesistente poiché morto e sepolto da decenni… ebbene, ve la diamo noi fascisti de IlCovo una bella sveglia! …la Dottrina e gli ideali del Fascismo sono più vivi e conosciuti oggi che negli ultimi 70 anni! …e se permettete, noi il perché di questo piccolo prodigio lo sappiamo bene!

IlCovo

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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NOTE


1) Per un approfondimento esaustivo su fascismo e questione ebraica, cfr. “L’identità Fascista – Edizione del decennale 2007-2017” di Marco Piraino e Stefano Fiorito, 2018, LuluPress, pp. 308 / 364; oppure qui per quanto riguarda il testo della legge (Centro di documentazione Ebraica).

2) La questione non è stata ancora molto studiata, giacché di solito le storie dell’antisemitismo fascista passano rapidamente sull’argomento: ai limiti intrinseci al carattere confidenziale di alcune fonti si aggiunge probabilmente la divaricazione tra memoria e storia, nonché la volontà di ignorare quelle disposizioni che ebbero l’effetto di dividere di fatto gli ebrei: questo silenzio è la conseguenza di una posizione storiografica che negli ultimi anni ha soprattutto cercato di mettere l’accento sulla severità delle persecuzioni. La legislazione infatti distingueva due categorie di individui di «razza ebraica», i cosiddetti «discriminati» e gli altri: la divisione era fatta in base a criteri politici e «patriottici». Potevano ottenere la categoria di «discriminati» gli ex combattenti delle guerre nazionali e le loro famiglie (la definizione giuridica vi includeva i congiunti, ascendenti e discendenti fino al secondo grado), e i fascisti di lunga data. Queste persone potevano presentare per loro e per le loro famiglie una richiesta di «discriminazione» cosiddetta ordinaria, esaminata da una commissione ad hoc. Inoltre la legge prevedeva la possibilità di discriminare per «meriti eccezionali», la cui natura non era precisata: in questo caso decideva una commissione presieduta dal sottosegretario agli Interni”. Anche in questa situazione l’esito della domanda era arbitrario e strettamente dipendente dalle relazioni di cui godeva il diretto interessato. Il principio della discriminazione nella discriminazione, e in particolare la procedura per «meriti eccezionali», derivava dalla volontà di un potere che, ancora una volta, rifiutava di essere sottomesso all’onnipotenza del diritto, anche se ne era stato l’artefice. D’altra parte la legge cercava di conciliare un obiettivo politico principale — costruire un razzismo all’italiana — con alcune posizioni presenti nelle élite fasciste, che si erano espresse durante la discussione delle leggi razziali, come la concezione della nazione ereditata dal Risorgimento o la sensibilità cattolica“. … Un’analisi della Demorazza del 1942 stimava che la discriminazione era diventata una distinzione con valore politico e morale: «provvedimento di favore che nello stesso elemento ebraico differenzia ed eleva chi possa rivendicare concrete benemerenze verso la Patria».” (Cfr. M.A. Matard-Bonucci, “L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei”,Bologna, 2007, Il Mulino, p. 144)

3) Yvon De Begnac, Palazzo Venezia – storia di un regime, Roma, 1950, pp. 632-633.

4) Idem. pp. 642 – 643. Tutto l’atteggiamento manifestato da Mussolini dopo il 1938 nei confronti dell’ebraismo, pur all’interno di un quadro polemico e conflittuale, denota una innegabile e totale differenza rispetto al comportamento avuto dagli alleati tedeschi al riguardo degli ebrei. Lo stesso De Begnac, in un altro dei suoi lavori biografici dedicati al Duce, ne annotò con precisione le confidenze, descrivendo un personaggio che risulta assolutamente inedito ed in contrasto con l’immagine fuorviante diffusa dall’antifascismo :

…”Io, premeditatamente, contro gli ebrei? Ma, se lo fossi stato, avrei portato in parlamento i Dino Philipson, i Gino Arias, i Guido Jung , i Riccardo Luzzatti, i Gino Olivetti, la cui azione ha addotto normalizzazione in un paese — che, privo di stabile equi­librio economico — si sarebbe avviato a sicura catastrofe? Teodoro Mayer, da me nominato senatore e ministro di stato, non sarà danneggiato dalle disposizioni fasciste in tema di difesa della razza. Lo considero il massimo esponente dell’italianissima intelligenza triestina. Di questa città, di cultura tipicamente mitte­leuropea, l’ebraismo nazionalisticamente italiano è una gagliarda componente storica e sentimentale.

Il caso Formiggini

In questo triste finir di novembre, la morte di Formiggini2, tragedia nella generale tragedia delle distorsioni che la storia va imponendo al problema degli ebrei, mi ha profondamente rattri­stato. Formiggini era stato tra gli umani maestri della mia giovi­nezza. Una tra le sue preziose collezioni di opere classiche, «Pam­phlets», antologie minime, si era aperta nel 1927 con la raccolta dei miei articoli tra il 1918 e l’ottobre 1922, cui l’aveva sollecitato il mio compagno di battaglia socialista Alberto Malatesta. Ed ora la morte, la morte di Formiggini getta — pesante — il cupore della sua ombra su una stagione al cui realizzarsi giustizia e ingiu­stizia tristemente vanno collaborando. Il professor Gentile, che non ha avuto certamente grandi prove di amicizia da Angelo Formiggini, al quale, del resto, ben poche que­sti ne aveva fornito, mi ha riferito del dolore arrecatogli dalla notizia del suicidio di Formiggini, «l’italiano che ha elevato la critica bonaria al livello della più sferzante tra le filosofie». Il professor Gentile ha aggiunto: «Formiggini non chiude una questione politica. Ne spa­lanca le porte. Oltre queste, è il buio dell’ignoto». Il caso Formiggini mi induce a meditare sulla responsabilità di cui sono lo sfondo. Quando, in politica, si prende una decisione, si ha mai la possibilità di riservarci un margine di discrezionalità nel restarle fedeli? È una domanda che dovremmo sempre porci. Essere giusti non vuol dire sempre saper bene distinguere. Do­vrebbe consistere nel saper bene, ma tempestivamente, distinguere tra quel che può accadere e quel che non deve accadere. [novembre 1938]

Gli ebrei della mia vita

Quanti, e quali, ebrei nella mia vita? Angelo Oliviero Olivetti, compagno della giovinezza mia e di Corridoni. La signora Sar­fatti, che all’«Avanti!» e al «Popolo d’Italia» ha recato il contri­buto della propria cultura. Giorgio Del Vecchio, amico mio e di Alfredo Rocco. Salvatore Barzilai, la cui stima mi ha sempre con­fortato. Xidias, con il quale Slataper ed io compivamo intermina­bili passeggiate nella Firenze vociana del 1911 e del 1912. E Mi­chaelstaedter, che ritengo esser stato di stirpe ebraica, e che mi di­ceva — presente Prezzolini — in anni remoti la verità preludente il silenzio di cui — realmente vivi, finalmente — romperemo un giorno il mistero. E Gino Olivetti, che più rivoluzionario di lui il mondo del profitto mai ebbe in Italia.

Weizmann e il sionismo

Il dott. Weizmann mi disse che nulla avrebbe potuto distrug­gere l’ebraismo, perché gli ebrei, resistendo a tutte le pressioni della storia, non sono mai usciti di scena. Tutti muovono loro guerra e nessuno può pretenderne la rinuncia alla nazionalità di cui la religione è soltanto un aspetto e l’integrità razziale il su­premo presidio. Mi assicurò che avrebbe sempre distinto tra ne­mico germanico e probabile avversario italiano. «Noi siamo ovun­que, mentre le altre nazioni sono nel caso più favorevole ai loro sogni, provincia nei continenti». Mi fece notare, anche, che il vero negatore del diritto della nazione ebraica a una sede era dall’inizio del secolo l’Inghilterra. «Io ho dato agli inglesi il mezzo per battere i tedeschi in Fran­cia, nei giorni più cupi della grande guerra. Ma Balfour ha pro­messo al mio popolo un focolare, sapendo bene che mai gli inglesi avrebbero dato seguito al suo impegno. Voi volete darci in pos­sesso ad amministrazione, non so bene sotto quale forma di con­cessione, una fertile zona della Somalia. Ebbene, vi dico che il po­polo di Abramo vuole gli sia restituita la sacra terra di Palestina, nella quale da quasi due generazioni i nostri agricoltori lavorano, traendo dal deserto le loro messi. Nessun ebreo sarà mai disposto a costruire il tempio della nazione in altra terra che non sia quella di Israele. Abbiamo contro il mondo, ma riusciremo sempre ad avere ragione. Nei nostri congressi parliamo la lingua dei nostri profeti, dei nostri giudici, dei nostri re, riscattata dall’oblio di ogni servitù. Potremo riprendere questo discorso tra venti anni, e anche voi dovrete darmi ragione. Voi, che più d’ogni altro, dimo­strate di averci capito». Questo fu il succo del discorso del dott. Chaim Weizmann. Io gli offrii la possibilità di risolvere il pro­blema del suo popolo. Una Somalia potenziata economicamente, agrariamente da una massiccia immigrazione ebraica era quanto di più desiderabile avrebbe potuto sperare il nostro paese. I ger­manici non gradirono molto il mio atteggiamento, ma la legge di Norimberga non era la mia legge. Il dottor Weizmann fu tradito da coloro che egli aveva benefi­cato. La rabbia degli ebrei cova sotto la cenere dell’attesa. Hitler la teme proprio quando intende distruggerla. Il suo errore sta nel­l’avere assunto il compito che, forse in modo più formalmente ac­cettabile, gli inglesi avrebbero dovuto assumersi. Ma, ormai, è troppo tardi. L’incendio è in atto. Spegnerlo è impossibile. Mi sembrò che il dottor Weizmann ne fosse perfettamente conscio. Egli, rifiutando la mia offerta, mi disse anche che gli ebrei dovevano tornare alla loro terra e che nulla avrebbe potuto distruggerne la speranza. Vedo che le vostre note dal congresso sionista di Zurigo con­fermano, nella sostanza di una corretta interpretazione del pen­siero del dott. Weizmann e di Jabotinskij, le tesi che il capo del sionismo ebbe ad espormi. Non vi sarà pace nel mondo finché gli ebrei non avranno pace. Ma noi non avremo pace sin che esisterà una questione ebraica. I tempi non sono maturi per risolverla. Hi­tler ha problemi propri da placare. Li placa, ne tempera l’acu­tezza, individuando nell’ebraismo il nemico. Occorre dire che tale idea deve essergli venuta dall’ostilità con cui i paesi a piena carica sionista gridano a pieno volume il loro odio verso il nazionalsocia­lismo. Anche noi abbiamo il nostro problema ebraico. Lo risolveremo nel profondo giuoco di una legge che, per gradi, renderà possibile agli ebrei italiani, che italiani sono a maggior titolo mo­rale di innumeri italiani che si dicono ariani, l’abbandonare alle ortiche sin l’ultimo barlume della loro formale appartenenza all’e­braismo mondiale”… in Yvon De Begnac, “Taccuini mussoliniani”, Bologna, 1990, Il Mulino, pp. 632 – 633.

5) Cfr. ad es: H. Arendt, “La banalità del male”, Feltrinelli; L. POLIAKOV – J. SABILLE, “Gli ebrei sotto l’occupazione italiana”; dichiarazione testimoniale della Prof.ssa Hilda Cassuto Campagnano: “(Il Popolo – Roma – 12 maggio 1961) – “Una pagina d’onore per l’Italia”, ha dichiarato il vice procuratore generale Bach. Tutti gli ebrei in Italia debbono la loro vita alla popolazione italiana’ ha dichiarato stamane, concludendo la propria deposizione al processo Eichmann, la professoressa Hilda Cassuto, vedova, Campagnano, comparsa come testimone sulle persecuzioni tedesche in Italia. La professoressa Cassuto vive ora a Gerusalemme con suo figlio ed insegna matematica alle scuole medie. Il padre era professore di lingue semitiche all’università di Roma ed ora a quella di Gerusalemme dove emigrò nel 1939 con una figlia. La professoressa Cassuto rimase a Firenze con un fratello che era rabbino capo di quella comunità. Ha perso nelle deportazioni tedesche il marito ed il fratello che furono portati allo sterminio a Bilkenau; sua cognata, moglie del rabbino, fu portata ad Auscwítz, ma fu fatta poi proseguire attraverso i campi di Belsen, Treblinka e infine a Theresienstadt dove fu salvata dai russi avanzanti. La professoressa ha iniziato la sua deposizione raccontando come malgrado la legislazione razziale varata dal governo fascista, gli ebrei italiani non ebbero in pericolo né la loro vita né la loro libertà; le loro restrizioni furono soltanto di natura economica’. Gli impiegati dello stato – ha detto la signora Cassuto – persero il loro posto ma potettero trovare altre sistemazioni onorevoli ed anche adeguatamente lucrative. Io già professoressa di matematica mi sistemai in una scuola ebraica che fu subito costituita. Non abbiamo avuto preoccupazioni fino al 10 settembre del 1943 ‘. La testimonianza della professoressa Cassuto Campagnano, che rimase impressa nella memoria di tutti per quello che affermò e per quello che negò, conteneva tra l’altro una frase molto interessante, che nessun giornale italiano si sognò di riportare: « …fino all’ 8 settembre 1943 » disse tra l’altro la signora Campagnano «gli ebrei di tutta Europa conobbero un solo rifugio sicuro: l’Italia fascista ». « Non abbiamo avuto preoccupazioni fino all’8 settembre 1943 »

6) Cfr. quiLa normativa antiebraica del 1943-1945 sulla spoliazione dei beni.

7) Carlo Silvestri, “MUSSOLINI GRAZIANI E L’ANTIFASCISMO”, Milano, 1949, Longanesi. “Identificare ancora oggi, febbraio 1949, in quest’aula di giustizia, nel fascismo italiano il nazismo tedesco, e mettere sulla stessa linea con Hitler e Himmler, Mussolini e Graziani, è fare il giuoco dei nemici del nostro Paese, è lavorare contro gli interessi storici dell’Italia. Nel 1944-45 i campi di sterminio tedeschi e le camere a gas ebbero il loro riscontro italiano nel campo di concentramento di Lumezzana, in provincia di Brescia, consistente in un buon albergo dove non si viveva affatto male: il paradiso rispetto all’inferno”.

8) Le norme di polizia, in merito alla detenzione degli ebrei, ordinavano esplicitamente che non dovevano essere consegnati alle autorità tedesche, o alla polizia tedesca: “… in conformità al criterio enunciato, debbono essere date disposizioni adatte affinché gli ebrei permangano nei campi italiani. I passi presso le autorità germaniche devono farsi in questo senso” (Cfr. Ebrei, sequestro beni, Il capo della polizia ai capi delle province e ai questori, 10 dicembre 1943; ministero dell’interno, dir. Gen. Demografia e R., Div. AG I al capo della polizia, 27 gennaio 1944 e al gabinetto del ministro, 1 febbraio 1944).

9) Lo studioso e politologo ebreo Zeev Sternhell, distingue nettamente fascismo e nazionalsocialismo; uno è lo spartiacque; il «determinismo biologico». Il razzismo non è un elemento essenziale del fascismo, sostiene Sternhell, gli elementi costitutivi sono altri (Cfr. Z. Sternhell, Nascita dell’Ideologia Fascista,1989, Baldini e Castoldi).

10) In un articolo si definiva chi era di “nazionalità ebraica” quale straniero e nemico “per la durata della guerra” (art. 7). Molti non sanno che la “nazione ebraica” fu costituita, di fatto, già durante la guerra, con l’appoggio inglese. La “brigata Palestina”, formata da ebrei internazionali e che invase l’Italia al seguito degli Alleati, batteva bandiera propria. La bandiera che poi divenne quella ufficiale dello Stato di Israele, nel 1948, differenziandosi rispetto a quella della brigata per le bande orizzontali, invece che verticali. Il P.F.R., giudicava gli ebrei quale “nazione nemica”, in modo propagandistico, fatto salvo quanto già espresso ad hoc nell’apposita dichiarazione del Gran Consiglio del 1938, anche in virtù di questi fatti.

11) Art. 6, Statuto della Corte penale Internazionale, qui.

12) Cfr. qui. Vi è in essa, invece, materia per definirla antirazzista; vedi cap I, par. 9

13) Cfr. Il dopoguerra: l’estrema destra contro il fascismo, in “L’identità Fascista – Edizione del decennale 2007-2017”, Op.cit., pp.365/389.

14) Cfr. Francesco Lamendola, “Quale nazifascismo?”, qui.

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