
Cari lettori, amici ed avversari, negli sviluppi ultra decennali dei nostri studi, abbiamo dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio (qui), che la legittimità politica dell’ente governativo per conto terzi denominato “repubblica antifascista nata dalla resistenza”, si fonda essenzialmente su di una serie ininterrotta di falsi storici o di manipolazioni mendaci degli avvenimenti politici, che distorcono la lettura della Verità e ne mostrano una sua scimmiottatura, ovviamente ad usum delphini. Il primo e più importante segno di debolezza, nonché di volontà oppressiva, è rappresentato proprio dalla stringente necessità di dover mentire che essa manifesta ininterrottamente da quasi 80 anni. Se il falso ideologico si rende necessario per la sopravvivenza politica istituzionale di uno Stato, allora esiste un problema; anzi IL PROBLEMA: quello dell’esistenza stessa di una qualche legittimità delle “istituzioni” dominanti. Andando al fondo della Storia nazionale e delle questioni Politologiche come dalle colonne di questo blog abbiamo fatto negli ultimi 10 anni, si scopre quindi che la narrazione sul “Fascismo male assoluto” costituisce esattamente questo: una narrazione stereotipata falsa, elevata ad archetipo menzognero ed imposta istituzionalmente alla popolazione come religione civile mendace. Il legame con la realtà storica dei fatti, in ultimo, non è nemmeno necessario in questo scenario, poiché conta maggiormente la “potenza” di persuasione della propaganda, che fa leva sul bombardamento mediatico continuato, sull’utilizzo dei “simbolismi” e nelle reiterate (ancorché menzognere!) esecrazioni pubbliche, corredate di gogne mediatiche e sociali scandite su tutti i media ufficiali e grondanti ipocrisia. Tanto basta alla macchina istituzionale della vera oppressione per poter funzionare, senza ovviamente trascurare l’immancabile apporto essenziale fornito dall’aiuto dei soliti noti, ossia i burattini di regime per antonomasia, gli pseudo-fascisti (qui). Ebbene, è risaputo, che uno dei capisaldi fondamentali di codesta macchina del fango storico-politologico, è costituito dall’accusa aberrante di genocidio fatta ricadere sul “fascismo” ed i “fascisti”. La millantata equivalenza dei termini “fascismo-razzismo-sterminio” strombazzata da decenni in campo antifascista come verità assoluta, risulta a livello propagandistico potente come una bomba nucleare. Solo l’artificiosa esecrazione morale costruita a bella posta dall’apparato istituzionale italy-ota permette di ghettizzare da decenni chi si dichiara fascista; senza un tale ignobile espediente non si riuscirebbe in nessun modo, (sottolineiamo: in nessun modo!), ad ostacolare l’affermazione universale della dottrina fascista dello Stato. Precisamente a questo scopo serve la cosiddetta Legge Scelba (es: qui) così come tutto l’impianto mediatico a corollario. Dietro la scusa della “protezione della società contro il male assoluto”, si cela la necessità inderogabile di ostacolare la conoscenza e diffusione del pensiero fascista verace (qui), che se emergesse in modo universale spazzerebbe via definitivamente tutto il menzognero castello politico di carta costituito dal globalismo mondialista. La necessità vitale dell’antifascismo, dunque, è quella di perorare i sillogismi fascismo=nazismo; fascismo=razzismo; fascismo=genocidio. A questo scopo è perennemente mobilitata tutta la cosiddetta “società democratica liberale”, in ogni suo settore, che ovunque impone tali “dogmi”. Ma siccome la confutazione dei pilastri ideali di tale pseudo-religione è stata di già ampiamente realizzata nel corso degli anni dall’Associazione “IlCovo” (es: qui, qui, qui), il tentativo di mantenere comunque vivo lo stereotipo antifascista, viene sempre più spostato verso quello che, in gergo, i pennivendoli del regime italy-ota qualificano come il “biennio repubblichino collaborazionista“, facendo di questo presunto “tragico epilogo”, l’altrettanto teorico corollario del “precedente regime liberticida“. Esponenti di punta tra i teorici di tale “vulgata antifascista di stato” sono i membri della comunità ebraica S.L. Sullam e prima di lui M. Sarfatti (di già ampiamente confutati dal Covo, ad es. qui, qui, qui) secondo i quali, il Regime Fascista deve essere rappresentato come un “collaboratore” subordinato del Nazismo, nella persecuzione per lo sterminio delle cosiddette “razze inferiori”, prima fra tutte quella ebraica. Ecco che allora la Repubblica Sociale Italiana, viene così interpretata come “stato fantoccio” (ma ovviamente, tale non fu: qui) che avrebbe favorito il nazionalsocialismo al fine di poter attuare la “soluzione finale” anche sul suolo Italiano. A questo scopo, il Partito Fascista viene da costoro rappresentato come lo strumento principale che avrebbe garantito la consegna degli ebrei nelle mani dei nazionalsocialisti, per poi eliminarli definitivamente. Tale “impianto accusatorio” propagandistico, risulta totalmente falso proprio alla luce dei documenti che nel corso degli anni abbiamo portato all’attenzione del pubblico tramite scritti ed articoli appositi, arricchiti da ulteriori conferme che ne certificano correttezza e validità, come di seguito riportiamo.
I) “…In questa guerra sono nemici”
Come abbiamo già detto, l’accusa di genocidio nei confronti dei fascisti repubblicani, ad iniziare da Mussolini ovviamente, deriva dall’articolo 7 del preambolo alla assemblea costituente, detto “Manifesto di Verona”. In tale articolo viene riportato quanto segue: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.” (qui). A questo articolo segue una ordinanza di polizia, la n.5 (30 novembre 1943), diramata dal Ministero dell’Interno. In seguito, il 16 dicembre dello stesso anno, viene emanato un provvedimento (decreto) di confisca dei beni dei cittadini ebrei. I cittadini precedentemente appartenenti alla comunità ebraica, ma definiti “ariani” per speciali benemerenze nei confronti dello Stato Fascista (ovverosia pienamente “italiani”, secondo la “mens” del legislatore di allora), dovevano essere sottoposti a una speciale sorveglianza. Mentre gli altri, di qualsiasi nazionalità, avrebbero dovuto essere spostati in appositi “campi attrezzati”, con la possibilità di ri-utilizzo di edifici civili, religiosi o di edifici già in uso dalle comunità ebraiche. Il sequestro dei beni era destinato agli indigenti, ai sinistrati, agli sfollati e alle famiglie italiane vittime della guerra. A questo riguardo ci si rifaceva ad una Legge del 1938, che regolava la situazione degli stranieri, definiti nemici durante la guerra. Gli ebrei da avviare al domicilio coatto, o ai campi attrezzati, erano di pertinenza dei Capi delle province, ossia delle autorità italiane. Il Capo della Polizia, Tamburini, a questo proposito, emanò una norma attuativa della precedente ordinanza n.5, dove specificò che lo spostamento dei cittadini ebrei non sarebbe dovuto avvenire per gli anziani, i malati, i piccoli, i “misti”, per non “frantumare l’unità familiare” (testuale) (1). La domanda dunque risulta spontanea: perché gli ebrei assumono tale status nella R.S.I.? Le risposte sono davvero molte e tutte possono avere la loro validità. Quella più immediata, risiede in due motivi principali: il tradimento della Monarchia e dei circoli militari infiltrati dalla massoneria, che aveva portato prima all’arresto di Mussolini ed alla messa al bando del fascismo e poi al successivo crollo dello Stato verificatosi con la proclamazione ufficiale della resa incondizionata agli Anglo-americani avvenuta l’8 settembre del 1943, tutte mosse politiche attribuite al livoroso complotto antifascista dell’ebraismo internazionale, di casa a Londra e Washinghton; le mutate dinamiche a tutto svantaggio della parte italiana nei rapporti con l’alleato tedesco in Patria, ormai da mesi presente in forze sul territorio nazionale non occupato dagli alleati anglo-americani e con il quale vi erano abbondanti frizioni, una delle più importanti (oltre la crisi per il rientro degli italiani prigionieri in Germania) era stata quella per lo stanziamento dell’esercito tedesco nella “zona di operazioni prealpina”, che, di fatto, si stava traducendo in una vera e propria occupazione. Della storia di quella fascia di territorio si potrebbe scrivere davvero molto, e tanto fu scritto. Proprio l’atteggiamento delle autorità italiane nei confronti degli ebrei, e dei concittadini italiani ivi residenti, fu motivo di grandi scontri tra Governo fascista e Reich germanico. L’identificazione degli Ebrei quali cittadini stranieri e nemici dell’Italia venne poi facilitata, propagandisticamente, dall’avvento del “Reggimento ebraico Palestina”, impiegato in Africa contro l’Asse e formato da volontari Ebrei al seguito di Sua Maestà britannica (1942). Tale reggimento, si trasformò in “Brigata” (con bandiera propria), e sbarcò a Taranto nel 1944, rendendosi protagonista di svariati scontri sul territorio nazionale. Di fatto, la legge della R.S.I., formalizzava, ovviamente pro domo sua, lo status di belligeranti degli ebrei “internazionali” (le truppe erano formate da cittadini di varie nazionalità) quali nemici, una situazione che oggettivamente aveva riscontri nella realtà. Detto questo, occorre comprendere a cosa erano destinati i prigionieri o i domiciliati in modo coatto. La “vulgata antifascista” condanna pretestuosamente la Repubblica Sociale Italiana proprio in base a questa operazione, che, ci viene detto in ogni occasione, “raccoglieva i prigionieri per avviarli allo sterminio, secondo le direttive delle leggi di Norimberga nazionalsocialiste”…ed invece storicamente la situazione stava in termini assai diversi.
II) “…Non devono essere consegnati ai tedeschi”
Il primo e forse il più importante documento, vista la provenienza di comprovata matrice antifascista, che smentisce tale assunto, viene dall’allora teste Carlo Silvestri che depose nel dopoguerra al processo Graziani. Egli, nel momento storico in cui il Reich tedesco veniva accusato di qualsiasi crimine sulla base delle accuse mosse dagli Alleati, dichiarava apertamente: “Identificare ancora oggi, febbraio 1949, in quest’aula di giustizia, nel fascismo italiano il nazismo tedesco, e mettere sulla stessa linea con Hitler e Himmler, Mussolini e Graziani, è fare il giuoco dei nemici del nostro Paese, è lavorare contro gli interessi storici dell’Italia. Nel 1944-45 i campi di sterminio tedeschi e le camere a gas ebbero il loro riscontro italiano nel campo di concentramento di Lumezzane, in provincia di Brescia, consistente in un buon albergo dove non si viveva affatto male: il paradiso rispetto all’inferno” (2). A proposito delle affermazioni di Silvestri, in anni recenti esse hanno trovato ulteriori riscontri, come riportato dallo studioso Lodovico Galli, che a sua volta cita la testimonianza di un internato comunista di un tale tenore: “Il Questore di Brescia mi fece portare al campo di concentramento di Lumezzane. Era un campo particolare. Si trattava di una bella villa con parco: il tutto circondato da filo spinato e guardato da fascisti, ma si dormiva in camere con servizi e si mangiava al ristorante dove si trovava ogni ben di Dio. Rimasi fino alla liberazione” (qui).
Nei nostri precedenti articoli, abbiamo anche riferito della varietà dei luoghi in uso per il concentramento dei prigionieri. Oltre agli alberghi, gli ex edifici di culto, gli stabili religiosi. Nel territorio della Repubblica, infatti, i campi attrezzati non erano molti e il più importante fu quello di Fossoli, di cui abbiamo già detto. Tale campo, non è definibile a rigore come esclusivamente campo di prigionia “strictu sensu”, tanto è vero che alla fine della guerra si trasformò prima in un luogo di missione, Nomadelfia, poi in un villaggio, il Villaggio San Marco, che accolse gli esuli Istriano Dalmati.
Arrivati a questo punto è necessario rispondere ad una domanda: la R.S.I. ha collaborato, organizzato e approvato la persecuzione nazionalsocialista? Ha agito in accordo con il comando tedesco? La storiografia istituzionale antifascista risponde ovviamente che essa non solo ha collaborato, ma ha incentivato la persecuzione. Lo Stato Fascista viene accusato di aver consegnato i prigionieri in mano tedesca, di aver gareggiato in brutalità con gli alleati germanici. Ma tutto questo è profondamente falso! La Repubblica di Mussolini non solo non collaborò alla persecuzione, ma nemmeno la teorizzò, ostacolandola secondo le proprie possibilità. Al riguardo gli ordini di Benito Mussolini, diramati a mezzo del ministero dell’Interno, erano di non consegnare i prigionieri ai tedeschi. Ovverosia: l’esatto contrario di quanto viene propagandato dai megafoni dell’antifascismo di Stato. Esiste la prova documentale:
22.01.1944 – Ministero dell’Interno – Gabinetto – Ufficio telegrafo e della cifra – Capi provincie
1412 442 richiamando precedenti disposizione informasi che ebrei puri italiani e stranieri devono essere inviati campi concentramento. Verranno interessate autorità centrali germaniche per direttive intese assicurare permanenza ebrei campi italiani. Provvedimento è per ora sospeso per famiglie miste. Circa sequestro beni mobili e immobili saranno emanate ad iniziativa Ministero Finanze opportune norme regolamentari. CAPO POLIZIA TAMBURINI In ACS, Mi, Dgps, AGR, A4bis (Stranieri internati) B.6
MINISTERO DELL’INTERNO
DISPACCIO TELEGRAFICO
A tutti i Capi delle Provincie
Et per conoscenza al Vice Capo Polizia ROMA
316 Pregasi prendere accordi con Autorità locali germaniche alle quali vanno spiegate le disposizioni impartite per ordine del DUCE alt.
Conseguentemente fate affluire campo concentramento tutti gli ebrei anche se discriminati alt. Comunicate accordi raggiunti alt.
Tamburini Capo Polizia.
Maderno, 22 gennaio 1944/XXII°
Ebbene si, il 22 gennaio 1944, la R.S.I. aveva raggiunto un accordo con i tedeschi. Le deportazioni effettuate dai tedeschi e avviate nell’ottobre 43, di già diminuite alla nascita dello Stato Fascista repubblicano, diminuiscono ancora di più. Dunque, se esiste da parte italiana, come esiste, un accordo con il comando tedesco, esso è PER NON CONSEGNARE i prigionieri e non per il contrario. Inoltre, i documenti dimostrano come la Repubblica fascista, pur tra mille problemi di ogni genere, non fosse per nulla uno Stato “fantoccio”, “collaborazionista”, o assoggettato, bensì l’esatto opposto.
Lo storico antifascista Renzo De Felice, con un paragone assai infelice che trae spunto da quanto scritto dalla studiosa ebrea Hannah Arendt, descrive questo accordo come una “sufficiente soluzione finale” per la R.S.I., tale da non esporre lo Stato fascista alla invadenza tedesca. Se non che, alla fine del mese di gennaio, l’equilibrio così faticosamente raggiunto, purtroppo venne rotto. Proprio a causa di uno specifico episodio è da addebitare il cambiamento di atteggiamento del comando tedesco in Italia, che diventò da quel momento di aperto scontro con le autorità italiane fasciste. E così a Marzo, per “esigenze belliche”, verrà occupato manu militari dai nazisti il campo nuovo di Fossoli, dopo che le autorità italiane smobilitano dal vecchio, tutti temi da Noi già affrontati nel corso degli anni in alcuni articoli specifici e consultabili su questo stesso blog!

Ma al riguardo è proprio la stessa studiosa ebrea Hannah Arendt a smentire nel suo lavoro più famoso le interpretazioni false e tendenziose dell’antifascismo, riassumendo gli avvenimenti in questione in modo inequivocabilmente chiaro…

III) ll Caso Preziosi… “Fare giustizia di tutti i filo-semiti”!
Giovanni Preziosi costituisce Il personaggio centrale attorno a cui ruota l’evoluzione in senso negativo dei rapporti tra autorità italiane fasciste e governo militare tedesco sulla questione degli ebrei residenti in Italia. Fu proprio il controverso ex prete, razzista, ai margini del Fascismo (come lo fu Evola) e che negli anni precedenti la guerra occupava un ruolo decisamente irrilevante, a compromettere il delicato equilibrio cui si era faticosamente giunti nella gestione del problema ebraico nel gennaio del 1944. Egli, dopo il 25 Luglio, si accreditò presso Hitler come un fanatico sostenitore delle “leggi di Norimberga”. A fine gennaio scrisse personalmente al Fuhrer (ed a Mussolini!) parole di fuoco sulla condotta delle autorità italiane della R.S.I. La lettera di Preziosi suscitò grande impressione presso il Capo di Stato tedesco. Nelle sue parole trapelano accuse circostanziate contro le istituzioni italiane e persino contro il Duce, definito “troppo buono”. Il nocciolo della requisitoria, ovviamente, è relativo ai rovesci militari patiti dall’Asse in guerra e che erano da addebitare agli ebrei e i loro amici… ovvero, i fascisti. Anche al Duce Preziosi scrive in termini simili, chiedendo di applicare anche nel territorio della R.S.I. le “leggi di Norimberga”, di cui prepara perfino una bozza, che però venne respinta da Mussolini. Dopo queste accuse, nel clima subentrato all’8 settembre, Hitler risultò furibondo, minacciando di fare giustizia di tutti i traditori filosemiti. Da quel momento in poi il comando tedesco al riguardo si scontrò puntualmente con le autorità italiane, quando si presentava per reclamare gli ebrei come propri prigionieri di guerra (3).
In quel frangente, venne avviata da parte delle autorità della Repubblica fascista, a partire dallo stesso Mussolini, quella strategia testimoniata anche da Carlo Silvestri per contrastare le mire tedesche. Essendo le due parti “separate in casa”, si poteva agire per ostacolare la prassi nazionalsocialista in modo indiretto. Per esempio stabilendo ufficialmente la pertinenza dei prigionieri, o nascondendoli in appositi luoghi sicuri, oppure favorendone in vari modi la fuga.
Un capitolo a parte, anche se correlato, è costituito dal metodo della rappresaglia in uso durante la guerra, e in specifico nel biennio 43-45. Ma ci riserviamo di trattarlo in seguito.
Ad ogni modo tali prove documentarie senza ombra di dubbio smentiscono totalmente lo stereotipo menzognero che vede i fascisti repubblicani qualificati indiscriminatamente come razzisti collaboratori zelanti di qualsivoglia sterminio, proprio a fronte dei documenti che invece ne mostrano la condotta animata da una chiara e precisa volontà di senso opposto. Ulteriore riprova del fatto che l’antifascismo istituzionale ribalta spudoratamente da sempre la realtà degli avvenimenti storici in nome delle proprie tesi politiche mendaci. Ma grazie a Dio la Verità non teme il tempo e prima o poi arriva sempre ad emergere!
IlCovo
NOTE
1). Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Categoria A5G (II Guerra Mondiale) Busta 151:
A TUTTI I CAPI PROVINCIA
N.5 Comunicasi, per la immediata esecuzione, la seguente ordinanza di polizia che dovrà essere applicata in tutto il territorio di codesta provincia:
“1° tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengono, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
2° Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, devono essere sottoposti a speciale vigilanza degli organi di polizia.”
Siano intanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati
IL MINISTRO
BUFFARINI – GUIDI
N. 57469/442 punto In applicazione recenti disposizioni, ebrei stranieri debbono essere assegnati tutti at campo concentramento punto Uguale provvedimento deve essere adottato per ebrei italiani esclusi i malati gravi et vecchi oltre anni settanta punto Sono per ora esclusi i misti et le famiglie miste salvo adeguate misure vigilanza
CAPO POLIZIA
TAMBURINI
2). Carlo Silvestri, “MUSSOLINI GRAZIANI E L’ANTIFASCISMO”, Milano, 1949, Longanesi.
3). Un esempio di questi scontri, presente nella busta dell’Archivio dello Stato da cui abbiamo attinto, è avvenuto a Vicenza. Il comando tedesco si presenta per prelevare prigionieri, al rifiuto del capo della provincia, fa diramare un ordine diretto.