(Una sintesi autorevole ed ufficiale della concezione fascista dello Stato, che con chiarezza illustra il tema in modo inequivocabile affrontandone succintamente i nodi salienti. NDC)
…Lo stato è spirito, afferma l’idealismo contemporaneo; pensiero che pone l’essere, essere che è pensiero, coscienza del processo onde si costituisce, autocoscienza; pertanto, libertà, e la sola vera libertà, quella dello spirito. La vita dello stato è dunque tutta vita dello spirito. Lo stato nasce nello spirito e in questo interamente si risolve, lasciandosi dietro ogni naturalezza. Non vi sono presupposti che occorra svolgere preliminarmente per intenderlo. I cosiddetti elementi essenziali, popolo, territorio, sovranità, acquistano senso determinante e costitutivo nello spirito che li conosce, epperò li assume ad aspetti di quella realtà per cui esso stesso si pone come stato. Le difficoltà dell’idealismo sorgono quando si voglia definire il processo stesso dello spirito in cui lo stato nasce. A quale momento dello spirito pratico appartiene lo stato? Una prima risposta, presentata dal Croce, ritiene lo stato non essere altro che processo di azioni utili di un gruppo di individui o tra i componenti il gruppo. Lo stato vive dunque nell’economia, essendo lo spirito pratico prima economia e poi etica, prima attività volta a fini particolari, poi attività volta a fini universali. Un primo dubbio sull’adeguatezza della dottrina si ha quando se ne deducano alcune conseguenze. Risolvendosi lo stato in un complesso di azioni utili, rinvia all’agente, al governo, epperò con questo coincide: stato che è governo, governo che è stato. Nella nuova identificazione l’azione si rivela forza, forza spirituale si dice, ma sempre forza, anzi aggiungiamo forza quale può essere intesa nel momento della pura economia. Non mancano tentativi di temperamento, tuttavia è evidente da ciò che si è detto che la dottrina o si accetta tutta o altrimenti, escluso che si possano accogliere le premesse e respingere le conclusioni, tutta è necessario respingere, in una revisione radicale dell’intero processo speculativo cui si appoggia. Se lo stato non è economia è etica, risponde Giovanni Gentile, e con lui molti altri. Lo stato è la stessa realtà etica; lo stesso universale immanente nella vita di relazione. Si costituisce nell’individuo, ma nell’individuo in quanto susciti ex sese i valori assoluti, costruendolo e in uno portandolo ad abbracciare gl’infiniti gruppi sociali in cui quei valori si sustanziano. Individuo e stato coincidono in un processo di mediazione, nel sempre nuovo medio dei gruppi sociali. Le stesse aporie hegeliane sono superate. Nulla è presupposto naturalisticamente allo stato, se la società coincide con esso. Nulla parimenti è sopra lo stato, valore più alto di questo. Universale autocoscienza, riassume tutto il processo dell’assoluto. Contro la dottrina svolta sono state sollevate le più fiere critiche, soprattutto accusandola molti di indifferenza etica. Genuflettendosi dinnanzi a tutte le forme di stato, consacrando tutti gli stati, adeguerebbe la moralità al fatto. Ove bisogna che i critici dimostrino che lo stato cui compete l’appellativo di etico sia fatto e non il processo invece per cui il fatto è lasciato dietro come naturalezza e lo spirito sorge e s’impone nel mondo della pratica. Lo stato non solo è nell’ethos, ma in questo tutto si risolve, in completa coincidenza. Organismo etico, ignora la naturalezza. I suoi fini sono quelli stessi dello spirito, la più profonda costituzione del soggetto nella sua eminente dignità umana. Pertanto, assolve una missione altissima. Prodotto dell’ethos, avente in sé l’ethos, ne promuove ed attua quegli ulteriori sviluppi, che poi novellamente comprenderà. Non v’è fatto grande nella vita del genere umano che esso ignori. Nonché indifferente nelle lotte che dilacerano la società, di continuo prende partito, suscitando i più alti valori di umanità. Se la precedente filosofia, soprattutto col Kant, poteva concepire uno stato limitato ad assicurare la paritaria coesistenza esterna dei soggetti, la esclusiva tutela giuridica, il nuovo stato il diritto vedi forma del più vivo contenuto umano e questo nelle infinite sue guise fa suo. Tutti i fini divengono il fine dello stato, il quale, trasportandosi su un piano che travalica le generazioni, le sottrae alla contingenza. In questo senso lo stato, si è detto, non solo è presente, ma sopra tutto passato, storica tradizione, e futuro, vale a dire speranza e fede di vita nuova. Economia, morale, arte, religione, sono per lo stato, sicure nello stato. La vita stessa nei più nobili tratti, quelli per cui l’uomo più si avvicina a Dio, Dio può celebrare, è condizionata dalla sublime realtà dello stato. Non senza ragione un grande pensatore, lo Spinoza, parafrasando il detto di Hobbes, ebbe a dire solennemente: homo homini deus. L’uomo sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è vicino a Dio, certo di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa suoi per celebrarli ogni giorno.
LA CONCEZIONE FASCISTA DELLO STATO. – Alcune delle dottrine che noi abbiamo riassunto ci portano nel clima storico dei fascismo, alla formazione ideale del quale hanno fortemente contribuito, come hanno contribuito esigenze e motivi pratici vivi nella coscienza del popolo italiano nel nostro secolo. L’alto senso dello stato che il fascismo caratterizza deriva certo anche dalla rivalutazione speculativa che dello stato l’idealismo ha operato, ma più ancora trae origine dalla necessità di una integrazione relativa allo stato, che, se nell’ordine teorico era già stata intravista, praticamente non aveva avuto quelle realizzazioni che erano da attendersi. Di ciò il fascismo fino dall’inizio ebbe viva coscienza, donde il carattere prammatico della sua dottrina dello stato, che non deve però farci dimenticare l’idealità di esso, al fascismo, come a nessun altro movimento politico, sempre presente. Uno scritto di Benito Mussolini per l’Enciclopedia Italiana ha definito mirabilmente l’argomento e posto soluzioni rigorose dell’arduo tema, convinto non solo dell’utilità, bensì più veramente dell’essenziale sua necessità. « Non c’è concetto dello stato che non sia fondamentalmente concetto della vita ». « Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità ». Innanzi tutto ci preme di rilevare come la concezione fascista dello stato, pur innovando profondamente rispetto al passato, non rappresenti un ritorno a dottrine superate, teocratiche o assolutistiche che siano. Lo stato fascista, sebbene ricco di vita religiosa, che la religione in genere, e nella sua forma storica cattolica in ispecie, assume per mediare in essa come nella morale dei cittadini la sua superiore essenza etica, non è per ciò teocratico, non crede di essere portatore di un trascendente volere, interprete autorizzato di una verità rivelata da imporsi anche coercitivamente. Parimenti non è assoluto, poiché, mentre esclude il personalismo sovrano, non solo nelle forme estreme patrimoniali, ma anche in quelle attenuate del dispotismo illuminato, non disconosce la libertà come tale, sebbene ritenga « la sola libertà che possa essere una cosa seria la libertà dello stato e dell’individuo nello stato », vale a dire una libertà nei termini della sua legge e delle sue eminenti finalità. D’altra parte la nuova dottrina si ricollega pure al passato, da cui assume nell’originalissima sintesi più di un elemento. Opponendosi a due posizioni tradizionali del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale e il socialismo, da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta. Abbiamo visto il giusnaturalismo, da cui derivano le più esasperate tendenze liberali (v. LIBERALISMO), presupporre l’individuo e i suoi diritti allo stato e fare di questo il custode di quelli, e nulla più. Contro di esso il fascismo giustamente afferma l’individuo concreto e storico, essere sociale, anzi statuale, lo stato realtà insopprimibile degl’ individui associati, epperò nega esservi diritti fuori dallo stato, che lo stato non configuri e renda efficienti ai fini di una vita non atomisticamente, bensì unitariamente e organicamente intesa. Con che, d’altra parte, si oppone al socialismo (v.), il quale l’individualità soffoca nella burocrazia di uno stato detentore dei mezzi di produzione (lo stato « organizzazione a fini puramente materiali »), in genere ad ogni statualismo che ignori comunque l’iniziativa privata. Se l’individuo fuori dallo stato è una chimera, lo stato non ha senso che per l’individuo. Si comprende quindi il superiore equilibrio della concezione fascista, che alfine compone speculativamente il dualismo di individuo e stato dal pensiero precedente esasperato, come avvia a pratiche soluzioni i dissidi sociali a quell’antinomia ideale corrispettivi. La composizione del dualismo di individuo e stato è stata possibile, in quanto l’individuo appaia vivo nella famiglia, nell’associazione professionale, nella nazione, lo stato sia inteso non più astratto potere, bensì sintesi organica di tutte le determinazioni sociali dianzi dette. Se individuo e stato ipostaticamente definiti non possono mai incontrarsi, si incontrano, tendono processualmente a coincidere, quando siano assunti su un piano di socialità. L’individuo, nonché negato, viene organizzato in « corpi » sociali ognora più comprensivi, come lo stato, sottratto all’isolamento del despota, è sospinto ad adeguarsi ai corpi sociali in cui l’individuo si organizza. Tutta una serie di « corpi » sociali, aventi le più diverse finalità sociali, si costituisce tra l’individuo e lo stato, e in quei corpi l’uno e l’altro si riconoscono una medesima cosa, individuo « corporato », stato « corporativo ». L’essenza dell’individuo vuole che esso tenda alla corporazione, a spiegarsi nell’organizzazione corporativa; l’essenza dello stato ad essere corporativo, a costituirsi unità di vita sociale nelle corporazioni. Entrambi tanto più compiutamente saranno, quanto più promoveranno il reciproco incontro, adeguandosi nei corpi intermedi, vale a dire costruendo una disciplina corporativa. Se sempre, in certa misura, lo stato è corporativo e si fonda sull’esigenza corporativa dell’individuo, poiché il bisogno di una mediazione sociale dei termini individuo e stato è perenne e nella mediazione è la vita storica del genere umano, il fascismo ha il merito di avere intesa più profondamente quella essenza e quell’esigenza, epperò di averla promossa, dispiegandola in originalissimi assetti istituzionali, quali l’Italia conosce attraverso una feconda legislazione dal 1922 in poi e che appaiono suscettivi di sviluppi e di integrazioni. Abbiamo parlato della corporatività. È questa la nota dominante dello stato fascista, che la nuova dottrina ha veduto nella sua assolutezza speculativa e di cui ha fatto quindi il centro vitale di un nuovo intendimento sociale e politico. Se all’inizio il principio corporativo è apparso vivo nelle relazioni economiche, in quanto nella corporazione, avendo riguardo al superiore interesse nazionale, si è voluto comporre il dissidio tra datori di lavoro e lavoratori, epperò eliminare la lotta di classe, in cui altri aveva creduto irrigidire il movimento storico, più veramente, in seguito, si è rivelato fecondo di determinazioni in ordine al diritto e alla stessa morale, configurando corporativamente la vita in tutte le salienti sue manifestazioni. Si può a rigore parlare non solo di una economia corporativa, ma altresì di un diritto corporativo e di una morale corporativa, e coestensivamente alla suprema realtà umana, lo stato, in cui sono economia diritto e morale, di una politica corporativa. Il corporativismo fascista costituisce la più affinata coscienza di questa essenza assoluta dello stato e lo sforzo più efficiente di una sua realizzazione sul piano storico. Intendiamo ora perché lo stato per il fascismo è etico, etico perché corporativo, corporativo perché etico. Se corporatività vuol dire promuovere la vita in forme sociali ognora più alte, esso non può non essere etico. Di questa sua eticità abbiamo più indici. Nulla di ciò che nello spirito e dallo spirito fiorisce è a lui estraneo, dalla filosofia alla religione, all’arte, che in esso sono perché ad esso dànno coscienza e valore. Lo stato non ritiene possibile alienarsi da nessun compito per sublime che sia, bensì tutti i compiti assume e fa suoi. Pedagogo, promuove la cultura in tutti i gradi e le forme, vive ed è presente nelle manifestazioni dell’artista e del pensatore, dell’apostolo e dell’uomo di fede, « ispirazione centrale dell’umana personalità », « anima dell’anima », come ha detto energicamente Benito Mussolini. Se teniamo presenti queste finalità largamente umane dell’azione dello stato, e quelle economiche sopra accennate, possiamo concludere che la dottrina fascista ha veramente portato lo stato ad adeguare la vita in tutti i suoi ordini. Esso « riassume tutte le forme della vita morale e intellettuale dell’uomo », la cui personalità vuol penetrare, sia come intelligenza sia come volere, elevare al suo principio, interiorizzando in tal modo la sua legge. « Lo stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo ». Comprendiamo, pertanto, il genuino significato della formula mussoliniana: « tutto nello stato, niente al di fuori dello stato, nulla contro lo stato », che significa posizione dell’universalità dello stato negl’individui, non elisione di questi rispetto a un volere ad essi ignoto. L’individuo, nello stato fascista, infatti, nonché oppresso, è tutelato e protetto, elevato dall’empiria alla sublimità dell’associazione, valorizzato. Questa tutela dell’individuo costituisce uno dei compiti che, assunto dalle vecchie dottrine, il fascismo ha arricchito, realizzandolo in forme nuove. La persona umana, definita in nuovi diritti, quelli relativi al lavoro, esige e ottiene nuove guarentigie. La tutela proclamata va oltre la vita individuale e riguarda l’uomo nella continuità della specie. Il rispetto della vita intrauterina, le provvidenze per l’integrità della razza significano rispetto non solo di quanti sono, ma soprattutto di coloro che saranno; tutela di quell’entità nazionale, che costituisce l’elemento vibrante di fede in cui si compone lo stato. In tal modo lo stato viene inteso non come coesistenza numerica di coloro che in atto ne sono i membri, ma come ente che nella sua organica spiritualità va oltre la generazione e comprende le generazioni. « Lo stato non è soltanto presente, ma è anche passato e soprattutto futuro ». Alla luce di tale concezione ricevono un senso pregnante i principi della Carta del lavoro, i quali certo anche riconoscono in eminente valore l’uomo e il cittadino, ed oltre veggono l’uomo in quanto produce per sé, per il tutto, per l’avvenire, epperò lo tutelano, lo assistono nella salute e nei beni, lo fanno cosciente del suo posto nello stato e quindi nel mondo. Il lavoro « con cui l’uomo vince la natura e crea il mondo umano » è inteso come strumento di elevazione, creatore di umana dignità, via alla morale, « valore essenziale ». L’individuo, uomo, cittadino, lavoratore, in una sempre più concreta qualificazione storica, viene, non già annullato, bensì moltiplicato nello stato dei cittadini lavoratori. Organizzazione della nazione, articolata nei gruppi sociali, dalla famiglia alla corporazione, lo stato attinge capillarmente la sua essenza etica nei singoli, che veramente ha fatto suoi, riconosciuti suoi attraverso la morale elevazione del lavoro, nelle nuove guise della tutela corporativa, onde le infinite forze spirituali della nazione, convergendo, generano un eminente volere, che’ è unità e forza. La forza di cui qui parliamo non è fatto fisico, ma energia del volere, potenza morale. L’idea romana, che è credenza nella continuità di un principio di vita, tradizione, opera attivamente in quanto suscita la fede in un destino comune, addita un’altissima meta, la realizzazione della quale è missione ai cittadini tutti, cui domanda dedizione intera, fino al sacrificio. Lo stato, che rappresenta l’unità vivente in funzione di tale valore da raggiungersi, conosce quindi il cittadino lavoratore e altresì il soldato. Cittadino lavoratore e soldato si convertono assolutamente. Si spiegano alla luce di tal principio concreti ordinamenti militari, che con quelli corporativi dànno il carattere allo stato dal fascismo creato. Lo stato fascista è stato forte, non solo in quanto « autorità che governa e dà forma di legge e valore di vita spirituale alle volontà individuali o, ma anche in quanto « potenza » « fa valere la sua volontà all’esterno », la fa riconoscere e rispettare », « dimostrandone col fatto l’universalità in tutte le determinazioni necessarie del suo svolgimento », infine soprattutto in quanto, « organizzazione ed espansione », intende segnare nel mondo un momento decisivo di civiltà. L’Impero, che è il segno oramai raggiunto di tale indefettibile volere, rappresenta l’efficienza di un più saldo potere a scopo di difesa e di offesa, e soprattutto una fede sentita come missione di civiltà tra i popoli. La concezione fascista dello stato in tal modo attinge i suoi ultimi e più vitali motivi nella umanità. Alto senso di umanità, che meglio si intenderà quando l’esigenza fondamentale della dottrina, che è quella corporativa, apparirà suscettiva di fecondi sviluppi nell’ordine internazionale, oltre che in quello interno. La corporatività, come ha sottratto l’uomo all’isolamento e lo ha portato ad essere uomo e lavoratore nello stato, che le difformi società ha vincolato nello stato, vincolerà ognora più gli stati, non già paritariamente intesi, bensì concretamente qualificati nelle storiche condizioni di civiltà e di potenza, in rapporti economici e morali, in una parola politici, il cui senso corporativo sempre più sarà chiaro in avvenire. Come lo stato vero è tutto negli individui, tanto più ricco della vita dell’individuo quanto più questo corporativamente è organizzato, e quindi non può non riconoscere nell’individuo il suo principio, parimenti la società degli stati, quale il pensiero fascista promuove, sarà nella più piena ricognizione degli stati non come entità uguali ma come ineffabili e concrete sintesi spirituali dalle varie nazioni, quali la storia ha definito, nella loro solidarietà organizzata, epperò nel pieno rispetto di esse o delle funzioni di civiltà che sono chiamate a svolgere nella storia.
BIBL.: Per le dottrine dell’idealismo contemporaneo: A. Ravà, Lo stato come organismo etico, Roma 1914; B. Croce, Elementi di politica Bari 1925; id., Aspetti morali della vita politica, Bari 1926; G. Gentile, Discorsi di religione, Firenze 1920; id.. I fondamenti della filosofia del diritto, Roma 1923; id., Lo stato e la filosofia, in Introduzione alla filosofia, Milano 1933; F. Battaglia, La concezione speculativa dello stato, estratto dalla Rivista italiana per le scienze giuridiche, Roma 1935, con ampia bibl. cui rimandiamo. Sui fini dello stato: R. Schiattarella, La missione dello stato, in Bibl. di scienze politiche, VII, pp. 429-73; A. Falchi, I fini dello stato e la funzione del potere, Sassari 1914; A. Bonucci, I fini dello stato, Roma 1915. Sulla concezione fascista dello stato: B. Mussolini, in Enciclopedia Italiana, XIV, p. 847 segg.; A. Rocco, La trasformazione dello stato. Dallo stato liberale allo stato fascista, Roma 1927; G. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, ivi 1929; G. Del Vecchio, Stato fascista e vecchio regime. Contro il medievalismo giuridico, 2° ed., Città di Castello 1932; F. Battaglia, Le carte dei diritti, Firenze 1934; F. Ercole, Il contributo del pensiero italiano alla formazione dello stato moderno, in Civiltà fascista, III (1936), pp. 396 – 416.
Felice Battaglia ( estratto da “Enciclopedia Italiana”, vol. XXXII, 1936, pp. 617 – 619 )