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24 – 28 aprile 1945, GLI ULTIMI GIORNI DEL DUCE! …ecco la Verità dei fatti!

Mandanti morte del Duce - Biblioteca del Covo

“…IO SONO IL BUE NAZIONALE CHE SOTTO IL PUNGOLO DELLA NAZIONE TIRERA’ L’ARATRO SINO ALL’ULTIMO… E POI… E POI PAGHERO’ PER TUTTI!” 

Benito Mussolini, 13 settembre 1944, al Federale di Milano Vincenzo Costa.

La fine dell’esperienza politica e umana di Benito Mussolini è discussa ininterrottamente da decenni. Egli stesso lo aveva presentito nel 1932 quando – nel concludere il libro sulla “Vita di Arnaldo” dedicato al proprio fratello da poco deceduto – scrisse testualmente …“Sarei grandemente ingenuo se chiedessi di essere lasciato tranquillo dopo morto. Attorno alle tombe dei capi di quelle grandi trasformazioni che si chiamano Rivoluzioni, non ci può essere pace”. Tuttavia, essendo tutt’ora vigente da ben 78 anni il cosiddetto “ordine demo-pluto-massonico” a trazione politica anglo-americana, che è un potere incondizionatamente antifascista, la questione viene dibattuta il più delle volte secondo tesi preconcette, interessate al fine esclusivo di denigrarne e demonizzarne la memoria storica, all’interno di un preciso schema ideologico. Eppure, sono presenti ormai da parecchi decenni testimonianze e ricostruzioni storiografiche ampiamente documentate, atte a smentire tutte le animose e falsamente tendenziose ricostruzioni pregiudizievoli che l’antifascismo di Stato (di ogni colore politico e orientamento ideologico) tenta pervicacemente di inculcare a forza nella popolazione, a mezzo di una martellante campagna propagandistica che non trascura mai qualsiasi pretesto o espediente pur di conseguire lo squallido obiettivo che si è ripromesso. Il nostro scopo, dunque, è di mettere a disposizione dei lettori una documentazione essenziale capace di fornire un compendio succinto ma attendibile e puntuale dei fatti inerenti gli ultimi cinque giorni di vita del Duce, che vanno dal 24 a 28 di aprile del 1945. Un breve resoconto concretamente redatto “a più mani”, giacché trattasi di più brani (estratti direttamente o comunque riassunti, provenienti da differenti testi) di autori diversi, sebbene tra loro complementari, capaci cioè di completarsi vicendevolmente e fornire così un plausibile e veritiero quadro organico d’insieme delle vicende in oggetto, che finalmente faccia piazza pulita di tutti i luoghi comuni falsi ma diffusi artatamente per generazioni dai megafoni al servizio dell’arbitrario sistema politico di potere demo-liberale attualmente dominante, che negli ultimi anni ci appare sempre più in difficoltà nella propria opera di mistificazione storico-politica (poiché ormai palesemente squalificato da tutti i punti di vista agli occhi dei cittadini in possesso di una coscienza desta) ma che concretamente non ha – né mai ha posseduto – alcun vero titolo di superiorità morale per dare lezioni di etica a chicchessia. La documentazione da cui abbiamo tratto la cronaca di quei tragici giorni attiene per la massima parte alla biografia mussoliniana redatta dai ricercatori fascisti Giorgio Pini e Duilio Susmel, “Mussolini, l’Uomo e l’Opera” (quattro volumi e quattro edizioni, di cui l’ultima data 1974 – digitare QUI), che per la ricchezza delle fonti e l’evidente sforzo di obiettività nei giudizi resta ancora insuperata, costituendo a tutt’oggi il lavoro più serio e completo sulla vita del Capo del Fascismo ( digitando QUI potete scaricare il testo estratto dal Volume IV ); da integrare nel caso specifico con la deposizione rilasciata dal giornalista antifascista Carlo Silvestri al processo contro il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani celebrato nel 1949, esposta nel suo libro, “Mussolini, Graziani e l’antifascismo(1) (di già ampiamente citato ed utilizzato nell’opera dei due ricercatori), in relazione all’episodio della “cattura del Duce da parte dei partigiani”, che più opportunamente deve essere riqualificato come “consegna pattuita tra SS tedesche e partigiani” (2). In verità l’unico “neo” nell’opera di Pini e Susmel, di certo indipendente dalla volontà degli autori, può essere rappresentato dalla mancanza di informazioni più precise sulle modalità con cui avvenne realmente l’uccisione del Capo del Fascismo e sui veri mandanti di tale delitto, la cui versione ufficiale sbandierata per decenni dal Partito Comunista Italiano era comunque già stata messa ampiamente in discussione anche dai due ricercatori, a causa delle palesi contraddizioni e omissioni in essa presenti sin dal principio. A sopperire però verso tale “mancanza” ha provveduto nel 1996 la ricerca durata oltre quarant’anni realizzata dal giornalista fascista Giorgio Pisanò, pubblicata nel libro “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”, il quale, grazie alle testimonianze inedite raccolte tra gli abitanti del luogo, presenti nel giorno in cui il Duce venne ucciso, è riuscito a ricostruirne gli ultimi drammatici momenti (3). Infine, sulla vera matrice politica inerente gli effettivi mandanti dell’assassinio, anche se tutt’ora non è possibile aver alcuna ammissione ufficiale di responsabilità, le notevoli prove indiziarie di cui siamo in possesso, convergono tutte oggettivamente verso l’attribuzione di tale omicidio alla volontà ed all’azione di uno specifico Governo, ossia quello inglese (con il placet “ufficioso” di quello statunitense) (4). In tal senso, risulta ormai storicamente provato a livello documentario come il cosiddetto “comitato insurrezionale di Milano” capeggiato da Luigi Longo, Leo Valiani, Sandro Pertini ed Emilio Sereni, che già il 27 aprile 1945 (in barba alle clausole armistiziali ufficiali, che prevedevano la consegna di Mussolini agli Alleati) si proclamava fautore dell’esecuzione immediata del Capo del Fascismo, fosse ampiamente infiltrato proprio da agenti al “servizio di sua maestà britannica” come Leo Valiani (5), nonché fosse presente sul luogo del delitto con propri uomini, essendo stato riconosciuta direttamente, nel frattempo, la persona di Luigi Longo (numero due del Partito Comunista italiano) nel cosiddetto “Colonnello Valerio”, il cui lasciapassare per arrivare sul luogo di detenzione del Duce, era stato rilasciato dal Capitano americano Daddario (6). Inoltre fu lo stesso Susmel a raccontare per primo in modo particolareggiato in un apposito articolo, modalità e motivazioni dello strano soggiorno del Primo Ministro britannico nella tarda estate del 1945 nei medesimi luoghi dove era avvenuta la cattura e l’uccisione del Duce, al fine di recuperarne la documentazione (7). In breve, il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (C.L.N.A.I.), lungi dal voler agire illegalmente rispetto alle direttive formali emanate dal Governo del Luogotenente di casa Savoia, a sua volta ligio alle clausole dell’armistizio di Cassibile, firmato con il Comando Alleato anglo-americano nel settembre del 1943, concretamente fu messo di fronte al fatto compiuto, cioè all’avvenuta uccisione di Benito Mussolini e di Clara Petacci ad opera dei servizi britannici e così, per legittimare l’accaduto, se ne assunse ufficialmente la responsabilità a cose fatte, con tutti i relativi strascichi a base di sceneggiate e false versioni di comodo diffuse in pubblico per decenni. Dunque, per chi vuol davvero conoscere la realtà dei fatti storici al riguardo, i tasselli del mosaico ci sono tutti e chiaramente ricomponibili nel loro insieme, capace a sua volta di restituire finalmente quella verità storicamente coerente che per troppi decenni è stata occultata di proposito. A noi non resta che augurarvi una buona lettura della copiosa documentazione messa a vostra disposizione e presente nelle numerose note seguenti!

IlCovo

NOTE

1) Al processo penale intentato contro il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani nel 1949, il teste Carlo Silvestri espose tali dichiarazioni alla Corte, che così vennero messe a verbale:
…“Anche, nella predisposizione di quello che doveva essere la meta del viaggio che Mussolini iniziò da Milano la sera del 25 aprile, la preoccupazione principale si riferì alla tutela degli interessi storici dell’Italia, vale a dire all’integrità dei nostri confini territoriali verso la Germania e l’Austria. E’ semplicemente ridicolo sostenere che, se il viaggio fu interrotto a Dongo il merito spetti a quella ventina di partigiani, o sedicenti tali, che sbarrarono la strada con il tronco di un albero e che, per tutto armamento, disponevano di un fucile da caccia e di alcune rivoltelle. Se il viaggio fu interrotto è perché la colonna tedesca sì disinteressò della sorte di Mussolini. I miei accertamenti mi hanno condotto, a confermare l’assoluta esattezza di ciò che ha scritto Ferruccio Lanfranchi nel suo ‘libro: “La resa degli ottocentomila”. Ove l’avessero voluto i tedeschi avrebbero rimosso lo sbarramento in pochi minuti e avrebbero potuto riprendere la marcia verso Bolzano senza alcuna difficoltà. Non lo fecero perché non volevano combattere. Prima di partire essi avevano avuto l’ordine per il quale dovevano in ogni caso rimanere del tutto estranei allo sviluppo delle questioni interne italiane, cioè, all’estremo conflitto tra Repubblica sociale e C.L.N.A.I. Nessuna istruzione particolare era stata data al maggiore che comandava la colonna circa la tutela della persona di Mussolini e quella dei collaboratori viaggianti con lui. Poiché non avevano avuto l’ordine di combattere in difesa di Mussolini, essi non combatterono. Tutte le altre versioni sono arbitrarie. Non è vero che Mussolini si proponesse di raggiungere la Svizzera. Assolutamente non è vero. Aveva calcolato e sperato che, in Svizzera si potesse rifugiare la famiglia ma aveva escluso che questo progetto già accarezzato nel settembre 1943, potesse ora, estendersi alla sua persona. Se avesse voluto, nascondersi in Svizzera l’avrebbe potuto agevolmente fare: un insigne religioso gliene offrì la possibilità. Se avesse voluto recarsi in Spagna un aereo ve l’avrebbe condotto. No, il proposito di Mussolini fino al 24 aprile fu di consegnarsi all’esecutivo del Partito socialista di Unità proletaria affinché la disponibilità della sua persona potesse valere la concessione di quella contropartita che sostanzialmente si poteva condensare in questa invocazione: « Fate di me quello che volete ma risparmiate coloro che hanno creduto in me e i loro familiari ». Nella mattinata del 25, a seguito del resoconto che gli feci del colloquio con Riccardo Lombardi, già rievocato innanzi alla Corte, Mussolini dovette convincersi che il Partito socialista contava meno di zero in seno al C. L. N.A.I.; questo era completamente dominato dal. P.C.I., cioè da Mosca. Nella giornata del 24, gli erano giunte gravissime informazioni da Bolzano: esse lo avvertivano che il prefetto Tinzl e il Gauleiter Hófer preparavano una notte di San Bartolomeo per i patrioti italiani come premessa ad una manifestazione plebiscitaria promossa dai capi della “Andreas Hofer”, che avrebbe dovuto proclamare la restituzione dell’Alto Adige all’Austria. Non è dunque vero che Mussolini partendo da Como intendesse presentarsi alla rete di confine con la Svizzera per chiedere ospitalità e protezione alla Confederazione elvetica, e neppure è vero che egli volesse ritirarsi nel R.A.V. (Ridotto Alpino Valtellinese). A questo R.A.V. Mussolini aveva creduto, ma proprio io mi ero incaricato di persuaderlo che esso era assolutamente inconsistente. E che non aveva altro valore che quello di una invenzione letteraria del letterato e fanatico Alessandro Pavolini. Il programma di Mussolini era di percorrere la sponda occidentale del lago di Como, poi la provinciale valtellinese fino a Sondrio. Ivi sarebbe stata presa la decisione se proseguire verso Tirano e Bormio per percorrere la strada dello Stelvio e scendere in Val Venosta verso Merano e Bolzano oppure, giunti a Tresenda, deviare a destra verso il passo dell’Aprica, di qui scendere ad Edolo, da Edolo risalire a Vezza d’Oglio e Ponte di Legno e quindi al Passo del Tonale, da questo scendere a Ossano e a Malè, raggiungere Cles e per il Passo della Mendola, pervenire a Bolzano. Alla colonna, nella quale viaggiava Mussolini, avrebbe dovuto farsi incontro, o nei pressi di Tirano o all’inizio delle rampe che portano al Tonale, una colonna proveniente da Bolzano non numerosa ma potentemente armata composta di truppe sceltissime e largamente provvista di carburante. Mussolini sperò con la sua presenza di impedire l’attuazione del piano della lega “Andreas Hofer” per l’annessione dell’Alto Adige all’Austria. Allo svolgimento di tale piano egli era deciso ad opporsi a « qualunque costo ». La mia affermazione di testimone è basata sopra una convinzione che, dentro di, me, è divenuta dogma. L’ultima speranza che sorrise a Mussolini e che si spense a Dongo due giorni prima della morte, fu di non essere ucciso da mani italiane. L’ultimo suo sogno, che nella disperazione, gli diede momenti di estrema felicità consolatrice, fu quello di potersi immolare per affermare, anche con questa immolazione, l’imprescrittibile diritto italiano sull’Alto Adige. Non c’è l’ombra di un piccolo dubbio sulla mia convinzione: Mussolini sperò che i suoi esecutori fossero i fanatici e anti-italiani della lega « Andreas Hofer » e non dei comunisti o socialisti italiani”…
(Carlo Silvestri, “Mussolini Graziani e l’antifascismo”, Milano, 1949, Longanesi, pp. 244 / 248)

2) Singolare il fatto che l’unico a dichiarare di una presunta e mai dimostrata volontà di fuggire in Svizzera da parte di Mussolini, contraddetta da tutti gli altri testimoni italiani dei fatti, fosse il Tenente Fritz Birzer delle SS tedesche (nel libro di Silvio Bertoldi “I tedeschi in Italia”, S&K editori), ossia uno dei tre ufficiali germanici a capo della sua scorta; gli stessi che pur avendo gli uomini ed i mezzi per reagire manu militari al posto di blocco messo su dai partigiani, prima parlamentarono privatamente con gli stessi partigiani per sei ore, poi insistettero con Mussolini, anche contro la sua volontà, affinché li seguisse travestito da tedesco senza altri italiani, infine, senza colpo ferire, lo cedettero ai partigiani.

3) La ricostruzione di Pisanò si basa principalmente sulla testimonianza di Dorina Mazzola, che all’epoca dei fatti aveva diciannove anni ed era la vicina di casa dei De Maria. Ma oltre alle dichiarazioni della signora Mazzola, riuscì ad ottenere anche la testimonianza di Savina Cantoni (moglie del partigiano “Sandrino”, colui che era di guardia in casa De Maria) e quella di un amico del marito, tale signor Vanotti, che aveva raccolto molte confidenze fattegli dal partigiano; il tutto contornato da altri testimoni che riportarono le mezze dichiarazioni di Giuseppe Giulini, (sindaco per molti anni di Gera Lario, paesino del comasco), che ebbe in affidamento da Sandrino un memoriale in cui il partigiano rievocava i fatti di quel 28 aprile, svelando nomi e dinamiche inerenti alla morte del Duce.

Ecco dunque un breve riassunto della ricostruzione di Pisanò…

Intorno alle nove del mattino giungono a Bonzanigo di Mezzegra, Luigi Longo, scortato da Moretti, il capitano Neri, Dante Gorreri e Piero Mentasti. Moretti e altri due salgono le scale ed entrano nella stanza dove riposano Mussolini e la Petacci. Il partigiano Sandrino, che si trovava fuori sul pianerottolo e al quale venne ordinato di rimanere fermo sul posto, testimonierà di aver sentito uno dei partigiani esclamare: “Adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi!”, ma subito dopo uno degli altri ribatté, gridando: “No, vi uccidiamo qui!”

A quel punto nacque una colluttazione e si sentì la Petacci gridare, poi partirono due colpi d’arma da fuoco che ferirono Mussolini al fianco e all’avambraccio destro. Il Duce venne trascinato con forza giù per le scale e portato a basso in cortile, sempre all’interno della proprietà dei De Maria. La Petacci, che nel frattempo s’era affacciata alla finestra di una stanza, gridò: “Aiuto! Aiutateci!” ma in quello stesso istante qualcuno l’afferrò con forza facendola rientrare.

Poco dopo, circa verso le 9:30, Mussolini venne legato al catenaccio del portone della stalla di casa De Maria, e qui Luigi Longo [alto dirigente del Partito Comunista Italiano; ne diverrà in epoca successiva il presidente] esploderà contro di lui una sequela di sette colpi, che lo uccideranno all’istante.

Successivamente all’omicidio del Duce, giungono a Bonzanigo anche Lampredi e Mordini, accompagnati da due dirigenti del partito comunista di Como, Giovanni Aglietto e Mario Ferro.

Intanto il cadavere di Mussolini venne sorretto a braccia da due uomini e portato giù per le stradine circostanti, nel tentativo di occultarne il corpo, o comunque di portarlo via; ma in strada c’è anche la Petacci, che piange ed urla disperata: “Ma perché? Perché? Cosa vi hanno fatto! Come vi hanno ridotto!” intralciando i partigiani che a quanto pare sembravano avere una certa fretta…

Dopo un paio d’ore, intorno alle 11:30, non appena la Petacci si allontana dai partigiani, scendendo da via del Riale verso via Albana, all’altezza di casa Mazzola, verrà improvvisamente colpita alla schiena con una raffica di mitra. Morirà sul colpo. A quel punto scoppia un putiferio: tutti i partigiani inveirono fra di loro, gridando e bestemmiando, tanto che Dorina Mazzola, nascosta dietro la tettoia di casa (e che vide la Petacci pochi istanti prima di essere colpita) udì questi esclamare: “Pezzo di merda! Guarda che cos’hai fatto!” mentre un altro, più alterato urlò: “Chi è quel pezzo di merda che ha sparato?! Da dove è arrivato? Non ti fare vedere da me, che ti lego le budella attorno al collo!”

Le cose allora si complicano. Longo dà ordine di portare via i corpi, che puntualmente verranno nascosti dai partigiani nel bagagliaio di una 1100 nera, parcheggiata per alcune ore nel garage di un albergo lì vicino (l’albergo Milano).

Intorno le 15:00, un capo partigiano locale, tale “capitano Roma” (alias Martino Caserotti) ordinò ai suoi di bloccare le strade e di far scendere tutta la gente delle tre frazioni di Mezzegra lungo il bivio di Azzano, per veder passare sulla via Regina, Mussolini prigioniero. Mentre i partigiani eseguirono gli ordini di svuotare tutte le case dei tre paesi, alcuni uomini uscirono con l’auto contenente i cadaveri, e dall’albergo salirono per via Albana, girando a sinistra per via Nuove; più avanti svoltarono sulla destra, percorrendo fino in fondo il viale delle Rimembranze, dove esisteva una fontanella. Qui si fermano e scaricano il corpo di Mussolini per lavarlo dalle macchie di sangue e dallo sporco di terra; l’auto intanto tornò indietro col cadavere della Petacci, proseguendo per un tratto di strada di via 24 maggio, dove si fermerà al punto di congiunzione con via delle Vigne.

Una volta lavato il corpo, i partigiani portarono giù a braccia il cadavere del Duce lungo la via delle Vigne, dov’era in attesa l’auto col cadavere di Claretta; qui caricarono di nuovo il corpo di Mussolini nel bagagliaio e l’auto proseguirà per alcune centinaia di metri, giungendo davanti al cancello di villa Belmonte, dove i corpi furono a quel punto scaricati.

Da lì a poco arriveranno Lampredi, Moretti e forse anche Audisio, per la finta fucilazione delle 16:10, dove il partigiano “Guido” (Lampredi) si occuperà di sparare “in nome del popolo italiano” su due cadaveri… (dal libro di Giorgio Pisanò “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”, Ediz. Il Saggiatore)

https://www.ticinolive.ch/2020/04/28/28-aprile-1945-benito-e-claretta-uccisi-a-colpi-di-mitra/

4) Il ricercatore storico Alessandro De Felice (nipote del più conosciuto Renzo!) ebbe a raccontare una confidenza che gli fece Leo Valiani: « La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così… Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo! ». Non a caso ebbe ad affermare l’altro celebre storico, il Renzo De Felice: « La documentazione in mio possesso porta tutta ad una conclusione: Benito Mussolini fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su sollecitazione dei servizi segreti inglesi. C’era un interesse a far si che il capo del fascismo non arrivasse mai ad un processo. Ci fu un suggerimento inglese: “Fatelo fuori”, mentre le clausole dell’armistizio ne stabilivano la consegna. Per gli inglesi era molto meglio se Mussolini fosse morto. In gioco c’era l’interesse nazionale legato alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il premier britannico avrebbe scambiato con Mussolini prima e durante la guerra ». Inoltre egli riporta il contenuto di una conversazione transatlantica radiotelefonica del 29/07/1943 intercettata dagli esperti dell’intelligente germanica tra il Presidente statunitense Roosevelt ed il Premier britannico Churchill, indicando il primo con la iniziale Roo, ed il secondo con la Ch, pubblicata negli Stati Uniti nel 1995, in cui i due Capi di Governo affermano che era per loro preferibile che Mussolini fosse eliminato senza alcun processo politico.   https://www.storiologia.it/mussolini/chivolevalamortedim.htm

5) Il ruolo di Leo Valiani ( nato a Fiume da famiglia ebraica ed il cui vero nome era Leo Weiczen) come agente dell’organizzazione britannica Special Operation Executive (S.O.E.), specificamente in relazione alla tragica fine occorsa al Capo del Fascismo, è ormai ufficialmente acclarato, come riportato dai ricercatori storici italiani Eugenio De Rienzo (digitare QUI) ed in modo assai più articolato da Roberto Festorazzi (digitare QUI).

6) Nel 1993, Urbano Lazzaro, già vice commissario politico della Brigata partigiana Garibaldi con il nome di Bill, alla quale, di fatto, venne consegnato Mussolini dai tedeschi, pubblicò il libro “Dongo, mezzo secolo di menzogne”, nel quale dichiarò che il personaggio presentatosi a Dongo il 28 aprile 1945, con il nome di battaglia di “Colonnello Valerio”, altri non fosse che Luigi Longo e non già Walter Audisio, come comunemente sostenuto nella versione ufficiale del P.C.I.

7) Potete scaricare il Pdf. dell’articolo di Susmel digitando QUI .

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