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LA FANTOMATICA “ONDA NERA”: Il nemico immaginario, la deformazione dei fatti… e la Storia vera degli Squadristi fascisti!

Squadrismo

All’armi! All’armi! … son tornati gli squadristi! O almeno è quel che strepitano ai quattro venti i media servi del sistema pluto-massonico globale, che già dalla scorsa estate  hanno ricominciato con l’ennesima menzognera,  pervasiva e martellante campagna di propaganda antifascista rivolta ad inculcare nella pubblica opinione che la stabilità della traballante repubblichetta delle banane Italy-ota corra chissà quale serio pericolo dovuto alla presenza di una presunta (tanto ipotetica quanto fantomatica!) montante “marea politica nera”! Senza voler ritornare nuovamente sulla pagliacciata invereconda rappresentata dal progetto di legge presentato dal dis-onorevole Fiano & compagni, di cui abbiamo già scritto (qui) e senza passare poi per i numerosi pretesti utilizzati ad arte negli ultimi mesi dal sistema medesimo a mezzo delle sue centrali operative, come le “magliette romaniste con l’effige di Anna Frank tifosa d’eccezione” o il giocatore di calcio col tricolore della R.S.I. nella maglia presente allo stadio di Marzabotto, tutte “trovate propagandistiche ad orologeria” che hanno fatto inorridire a comando i benpensanti dell’informazione mediatica prezzolata, portandola a lanciare l’allarme squadrista, adesso sono bastati un paio di discutibili e trascurabili episodi di infima importanza, aventi per protagonisti le marionette finto-fasciste del radicalismo destrorso nostrano, che abilmente montati ad arte dai media, sono stati motivo sufficiente a far loro gridare, ancora una volta, alla minaccia fascista per la democrazia!

Ma il vero motivo di tali “grida”, non risiede nelle presunte notizie in sé che, come abbiamo detto, costituiscono solo dei risibili pretesti, nemmeno nella consueta strumentalizzazione di gruppi eterodiretti come quelli del radicalismo politico destrorso, che si atteggiano, poiché questo è il ruolo loro assegnato dal sistema, a “punitori del piffero”!  Il “motivo” è molto meno prosaico, come al solito: si tratta di meri espedienti “elettorali” di bassa lega, veri e propri atti di psico-terrorismo propagandistico, volti alla continua lobotomizzazione delle coscienze dei cittadini, ormai avviate al macero da chi ci governa. Basterebbe, infatti, fare una cosa semplicissima: OSSERVARE CON ATTENZIONE! Nell’osservazione risiede il fondamento del discernimento. Ma in una popolazione indotta, a furia di programmi spazzatura e notizie false e tendenziose, verso un elevatissimo tasso di “analfabetismo funzionale allo status quo” (ovvero finalizzato a produrre un cittadino medio incapace di trarre le conseguenze oggettive dalla visione di quel che si para innanzi ai suoi occhi), l’osservazione non si applica nemmeno per scegliere un prodotto ad un prezzo piuttosto che a un altro, facendo semplicemente una operazione di addizione!!! Ma andiamo per ordine! La prima non-notizia, in ordine cronologico, è stata quella in merito all’ “assalto nazi” al “centro immigrati” di una ONG (toh!), che li avrebbe ospitati per “soccorrerli”. Ebbene, sentimmo la notizia in primis dalla radio di regime. Tutto lasciava pensare ad un pestaggio in grande stile, ad una terrificante spedizione punitiva ! Ci siamo subito proposti di indagare, visto il clima di tensione creato ad arte, sicuri che anche in questo caso ci trovassimo di fronte a vere “bufale mediatiche preconfezionate” D.O.C. …manco a farlo apposta, tra il serio e il faceto, andiamo a constatare che l’ “apparato della DISINFORMAZIONE” continuava a sfornare “perle informative” a profusione! I titoli di giornali e telegiornali nazionali parlavano di “Assalti!”, “Violenze!”, mentre i pupazzi del Parlamento-Parlatoio iniziavano la consueta sceneggiata, con tanto di indignazione a orologeria, condanne “bi-partisan”, “unione trasversale”, ecc, ecc. Ma poi, grattando “l’assalto”,  cosa abbiamo trovato……. ASSOLUTAMENTE NIENTE! Vi invitiamo a constatare di persona : qui e qui. Ebbene, davanti a questi titoli, soprattutto se ascoltati in radio e nella rassegna stampa televisiva, cosa pensereste? Ma ovviamente quello che DOVEVATE pensare, poiché il risultato è voluto dal sistema pluto-massonico antifascista! Ecco l’ “orda nera” (?) che assalta dei poveracci dentro un casolare, che li pesta per la loro pelle (?), esempio lampante di “xenofobia” (altro termine che non significa nulla)!! Ecco le povere ONG, emblema stesso della “filantropia” in questa epocale “emergenza migranti” (!!!!), prese di mira da un gruppo di Neonazi de noantri!!! Insomma: il solitò cliché quotidiano propinato da questa repubblichetta da quattro soldi, etero-diretta dal patronato a “stelle e strisce”! In realtà cosa è successo ? Eccovi i FATTI VERI!: qui. Come vedete, l’ “orribile spedizione squadrista” si è tradotta in una “irruzione” (ma si tratta di un “ingresso non previsto”, le irruzioni fanno pensare a una forza esercitata per entrare!), in cui un gruppo di “pupazzi rasati” si limita a leggere un comunicato, terminato il quale, saluta e se ne va, mentre i “terrorizzati” astanti sono talmente “impauriti” dall’accaduto che, tra uno sbadiglio e l’altro, chiedono gentilmente di non fare rumore all’uscita!!! Capita “la verità democratica e antifascista” confezionata dalla repubblichetta delle banane Italy-ota? …si, proprio quella che si dovrebbe opporre presumibilmente alle tanto strombazzate “bufale della rete” che  la gente come noi cerca di opporle !!

Ma non finisce qui! Siccome siamo in clima elettorale e la marea  astensionista di cittadini che non vanno più a votare schifati dalla farsa dei partiti (di tutti i partiti, senza distinzioni fasulle di alcun genere) monta e cresce sempre più (questa si in modo realmente concreto!), allora per porvi rimedio, da parte dei pupari che reggono i fili, si è pensato che più carne al fuoco si mette e meglio è …si sa, gli elettori vanno stimolati! Ovviamente si tratta di carne avariata, ma tanto il sistema antifascista pensa che si possa propinare qualsiasi fetida melma, facendola passare poi a mezzo di giornali, radio e teleschermi per “profumo di rosa”! E così, i soliti “pupazzi a comando neonazi” (ma tu guarda come questi tizi si muovono sempre e solamente vicino alle scadenze elettorali! Sarà un caso?), si presentano alla sede di due “testate” pennivendole prezzolate quali “la Repubblica” (delle banane!) e “l’Espresso“(…avariato!), che li conoscono benissimo non solo perché i “nazi all’amatriciana” sono parte integrante di questo sistema marcio e lurido, ma anche perché i giornalisti di De Benedetti hanno spiattellato a comando quello che i servizi “segreti” nostrani sanno benissimo da tempo immemore, ovvero del giro dei finanziamenti del gruppo politico radical-destroso “Forza Nuova”, pienamente inserito nelle logiche del sistema partitocratico ed il cui fondatore, Fiore, è uomo ben introdotto negli stessi servizi succitati, con tanti buoni “amici” in Inghilterra! E così va in scena la “punizione squadrista” con i giornali che sfornano dei titoli a dir poco fantascientifici: qui. Anche in questo caso si sproloquia di “attacchi squadristi”, razzismo e dell’immancabile “gran nemico” per eccellenza che viene in malafede riconosciuto nella raccogliticcia banda di “tifosi contestatori”: ecco che si grida al Fascismo, vero e unico bersaglio della propaganda e delle sceneggiate di questa “repubblica di servi da operetta” etero-diretta da oltre atlantico. Ovviamente, come negli altri casi, l’ “inaudito attacco alla libertà” di fatto si è concretizzato in una patetica chiassata da osteria, posta in essere da 4 gatti mascherati da “vendicatori” di non si sa chi o cosa, sbandieranti striscioni e agitanti candelotti fumogeni, in tutto degni della tifoseria calcistica al derby dell’oratorio (qui)!!!!

L’evidenza di questi fatti appena descritti, mette in risalto ancora una volta i punti qualificanti della nostra reiterata denuncia. Da un lato, vi sono i gruppi politici delle marionette dell’estrema destra, perfettamente inseriti nella fetida logica della partitocrazia espressa dalla repubblica antifascista, che si atteggiano a “redentori martiri” di non si sa quale “patria”, nel ruolo di pedine “violente” assegnato loro dal sistema demo-plutocratico che dicono di contestare,  ma di cui oggettivamente costituiscono una espressione infima e marginale, lontana anni luce dalla verace realtà rivoluzionaria anti-sistemica espressa invece dallo squadrismo fascista degli Anni 20 del Novecento. Dall’altro lato è presente direttamente l’intera oligarchia parlamentare, da destra a sinistra, il gendarme tronfio asservito anima e corpo agli interessi stranieri della plutocrazia usuraia, che utilizza qualsiasi mezzo senza scrupoli pur di ossequiare i desideri dei propri padroni per etero-dirigere la volontà dei cittadini e per continuare a colpire l’unico vero ideale politico che si contrappone a tale caos istituzionalizzato, ancorché fisicamente inesistente come soggetto politico ma comunque da esorcizzare anche solo sul piano delle idee, la loro grande ossessione: il Fascismo!

Ancora non ci credete? Allora guardate cosa è successo all’indomani delle suddette sceneggiate, sulle televisioni pubbliche della repubblichetta Italy-ota da quattro soldi:

Ecco allora che, sempre ossessionati dalla statura politica dello Statista Benito Mussolini e dalla sua creatura politica (che con tutti i limiti del caso, giganteggia sempre e comunque sulla corrotta, marcia e ignobile realtà servile del traballante stato fantoccio antifascista, messo in piedi dal governo degli Stati Uniti nel dopoguerra per meglio servirlo e che oggi dopo 70 anni di scandali, intrallazzi, ladrocini consumati da tutta la sua criminale classe politica sempre a danno del popolo, con una nazione sull’orlo del collasso priva di alcuna sovranità ed una società poltiglia priva di veri vincoli sociali, non gode più [chissà perché mai!] di alcun credito da parte della maggioranza dei suoi stessi cittadini), i “bravi” ( in senso manzoniano!) al soldo della repubblichetta delle banane che cosa vanno ad  organizzare? Sull’ “onda” delle suddette “terribili” e inesistenti “azioni squadriste”, vanno persino fin dentro la tomba dell’ “terribile dittatore” per propalarvi il loro fango! Tutto è propedeutico per questi sciacalli pur di spargere il loro veleno astioso, finanche sulle spoglie dell’Uomo inventore del Fascismo, resti che invece testimoniano con l’amore ed il rispetto tributato loro da milioni di visitatori, l’impotenza, l’incapacità, l’inefficienza, lo squallore e la criminalità del sistema democratico antifascista. E gli atti vergognosi dei manutengoli di tale orrendo sistema politico senza onore, che non si fermano nemmeno davanti alle tombe nei cimiteri, qualificano l’indegnità senza scusanti sia di chi li compie, sia la bassezza del perché di tale squallida e maramaldesca trovata. In breve, siamo di fronte alla medesima propaganda di guerra usata dagli anglo-americani durante l’ultimo conflitto mondiale e dai loro lacchè, la stessa retorica FALSA e i medesimi fatti INVENTATI. Ma noi fascisti de “IlCovo” siamo consci di tutto questo e del perché tutto ciò avviene, sappiamo bene che l’antifascismo, a dispetto della sua propaganda martellante, è un prodotto artificiale di importazione “anglo-sassone”, lautamente sovvenzionato per essere tenuto in vita artificialmente, perché il Fascismo è parte dell’anima del Popolo italiano, poiché costituisce l’apice della CIVILTA’ ITALIANA; così come sappiamo benissimo cosa fu davvero lo squadrismo !

IlCovo

 

E siccome i fascisti de “IlCovo” fanno informazione storica sul Fascismo, rivendicando orgogliosamente il merito di spezzare il monopolio della fasulla propaganda politica antifascista, denunciandone le menzogne interessate, ebbene, se permettete ve lo diciamo NOI cosa fu davvero lo Squadrismo fascista! Ecco cosa rappresentò nel bene e nel male e quale fu il prezzo che pagò “la meglio gioventù italiana” degli Anni 20 del secolo XX per portare la Rivoluzione in Camicia nera al comando e dare una speranza concreta al popolo italiano e al mondo intero:

Doc. 1

 SQUADRISMO. – I limiti storici, se non proprio cro­nologici, dentro i quali è giusto contenere tutta la vita dello squadrismo, sono il 15 aprile 1919 e il 14 gennaio 1923. Il 15 aprile 1919, a Milano, dove il mito della rivoluzione sociale e la febbre della vendetta contro gli « interventisti» avevano acceso le moltitudini operaie, ci fu lo sciopero generale, rappresaglia e protesta contro un conflitto fra sovversivi e agenti della forza pubblica avvenuto due giorni prima, e un immenso comizio all’Arena. Poi, allo sciogliersi del comizio, i sovversivi più fanatici e turbo­lenti, alcuni armati di rivoltella, molti di randelli e di paletti di ferro (strappati alle aiuole dei giardini), con i vessilli rossi e neri, con i ritratti di Lenin e Malatesta levati in alto come immagini sacre, marciarono sul centro della città, travolsero i pochi carabinieri fatti impotenti dagli ordini equivoci e ipocriti delle autorità, inondarono via Dante, piazza Cordusio e via dei Mercanti, imprecando all’Italia e ai responsabili della guerra, ebri e feroci per il numero, per la loro stessa esaltazione e la tolleranza del governo. Ma, intanto, in Galleria e in piazza del Duomo, nell’agonia di quegli istanti, pochi discorsi e poche parole di ammonimento e di coraggio: « Ricordatevi dei nostri morti! Viva la guerra! Viva la patria! ». Quindi pochi uomi­ni (fascisti, arditi, ufficiali dell’esercito), radunato intorno a sé qualche centinaio di persone, si ordinano (gli studenti del Politecnico si uniscono a loro) e marciano compatti con il tricolore alla testa, caricano il nugolo di poliziotti che sbarrano a loro la via («A noi! Savoia! ») e li disper­dono. Sono ormai soli a contatto con la folla dei sovver­sivi, sono cinquanta uomini « pallidi, muti, feroci », che affrontano una valanga! Ma da questo manipolo di eroi un grido si leva: «Viva l’Italia! »; poi un attimo di silen­zio, l’urlo della folla, un colpo di rivoltella, e il tremendo grido di combattimento: « A noi!». In pochi istanti, una piccola squadra di uomini, con le rivoltelle fumanti nel pugno, arrivano ansanti e splendenti di gloria e di letizia in fondo a via Dante: il grande esercito della rivoluzione è fuggito. Ma il quadro non sarebbe completo senza un altro particolare che è degno di alto rilievo: questi magna­nimi, quando si erano messi in marcia contro la folla dei sovversivi, a quei « borghesi » che li guardavano inerti e curiosi, come se andassero a un giuoco, non andassero a uccidere e a morire, a immolarsi per tutti, avevano gettato sul grugno la più eloquente delle ingiurie italiane; vi­gliacchi! Era un grido di angoscia e di furore. Ora, dopo la vittoria, si avventarono ancora, assalirono e bruciarono l’Avanti ! , consumarono il furore e l’angoscia, e, rivelando a se stessi di essere invincibili, sentirono l’Italia ch’era in loro e che non poteva morire. E forse, più del coraggio di fronte alla morte, che pur dovette apparire a loro certa e desiderabile davanti a tanta vergogna, è giusto esaltare la forza dell’animo e la tragica risoluzione ad affrontare la lotta. Il conflitto del 15 aprile 1919 fu il primo atto della nostra guerra civile, l’ inizio irreparabile della lotta fra la vecchia e la nuova Italia, l’invocazione scritta col san­gue dell’imminente giudizio di Dio: l’una o l’altra doveva perire. Potevano evitarlo i fascisti? Se i fascisti erano coloro che avevano voluto e imposto la guerra con volontà rivo­luzionaria a tutto il popolo italiano, ora non potevano più ritrarsi, dopo il fiume di sangue che fecondava la nuova storia della patria, o sarebbero stati traditori di tutti i morti. In questo episodio fatale, in questa prima scena del dramma, è la genesi storica dello squadrismo, e qui sono tutti racchiusi i caratteri essenziali della sua vita breve e affascinante: quell’essere pochi contro molti, anzi soli contro tutti, non soltanto contro il numero infinito degli ignavi, ma contro la forza truculenta dell’avversario; quell’essere così risoluti, da assumere sopra di sé, senza un momento di esitazione, senza un attimo di pietà per se stessi, la più grave responsabilità della storia, ed essere così coraggiosi da non temere, non tanto il nemico manifesto che pareva soverchiante come una brutale forza della natura, ma il nemico più sottile e micidiale, quell’invisibile e inafferrabile nemico, che in Italia aveva avuto il massimo peso ed ancora prevaleva: i perpetui disertori della storia, gl’ipocriti, le persone « per bene », che, vivendo a spese degli eroi, pur li avvelenano ed opprimono con la calunnia e l’indifferenza allorché a testa alta vanno ad affrontare il sacrificio per la salvezza comune e per quegli stessi vantaggi che proprio i disertori sapranno procacciarsi dopo il pericolo, come sempre avvenne per tutta la storia del Risorgimento; infine quella veemenza generosa, ardita e quasi paradossale, che sempre si rin­nova, nei momenti più tragici della nostra storia, e sempre provoca nuova stupefazione e un senso di religioso mistero. Oltre a ciò, in questi fatti di Milano, apparve non solo l’esteriore e quasi fisica necessità di fermare il passo al bolscevismo insorto all’improvviso, ma una più profonda esigenza: quella di eliminare la causa di questa insurre­zione, ch’era paradossale e sinistra, perché esplodeva dopo una guerra vinta, dopo la più grande vittoria che il popolo italiano avesse conquistato nella sua storia, a conclusione del suo Risorgimento, affermandosi anche politicamente uno degli artefici più nobili della civiltà umana. E la causa fatale di questo orrore disumano e incredibile, di questa rivolta contro la vittoria redentrice della patria, prima ancora che in una idea o in un istituto (sarebbe stato un male effimero e superficiale!), risiedeva nella nostra classe dirigente, che da cinquant’anni governava l’Italia. Classe dirigente di uomini abili ed esperti di affari, ma logori e scettici la maggior parte, facenti capo a quel ceto parlamentare di cui erano clienti e padroni, vittime e car­nefici; una classe immeritevole del suo posto di comando per chi voglia riguardare senza spirito fazioso l’epopea del Risorgimento che essa aveva disprezzato e ignorato, e la guerra del 1915-18, ch’essa non aveva voluto preve­dere, e s’era lasciata imporre, e aveva mal diretto, e peggio stava per concludere, come se fosse stata un terremoto distruttore, al quale conviene, poiché è avvenuto, porre riparo, seppellendo in fretta e furia i cadaveri e facendo pulizia dei rottami di triste memoria. Il conflitto di Milano pose in alto rilievo non tanto la vergogna di quella povera e sciagurata folla fusa e dispersa, quanto la bassezza del governo, che tollerava, discutendo gli affari supremi della Patria e dell’Europa a Parigi, che fosse rinnegata la guerra e diminuita l’autorità sua a profitto dell’egoismo straniero, nella grande metropoli lombarda, presenti i mutilati, i decorati, i reduci di tanta gloria, ancor vivo il ricordo dei morti, non tutti ancora sepolti nei campi di battaglia, dove gl’Italiani avevano vinto a forza di sangue: tollerava que­sto crimine, lo assecondava con l’ostentazione di idealità che rinnegavano sostanzialmente la guerra, suscitava la rivolta della plebe incosciente con la prova provata della impreparazione e della indimenticabile deficienza morale ai compiti che la storia gli imponeva. Lo squadrismo nacque in quel giorno del 1919, idealmente, poiché le stesse idee e passioni dei fascisti e l’indomabile propaganda di MUSSOLINI non sarebbero diventate carne senza l’azione e il sacrificio e il tremendo esempio. E bisognava rompere l’incantesimo di una legalità posta ed imposta dai vigliacchi, che avevano voluto impedire la guerra ed ora si vendicavano perché gl’interventisti avevano la « responsabilità » dei morti e delle spese; bisognava insorgere col fuoco e col sangue contro la prepo­tenza o selvaggia o ipocrita del disfattismo di tutti i clericali, giolittiani e socialisti; bisognava mostrare agli stra­nieri che l’Italia non avrebbe tollerato mai, non avrebbe riconosciuto mai la violazione dei diritti conquistati dal nostro popolo con una generosità, con un valore e un’abne­gazione incomparabili, con una vittoria che decideva di tutta la guerra mondiale e risparmiava all’Europa un’altro anno di sangue. Tutto questo significò lo scontro del 15 aprile, e fu come una leale e dura intimazione, che spazzando ad un tratto ogni ipocrisia legale, impose il problema italiano ai bolscevichi ed ai giolittiani in questo modo: o la vecchia Italia vince con le armi alla mano, o deve scomparire; che era il modo di risolvere il problema radicalmente, con una infallibile ed onestissima pedagogia. Tutti questi elementi caratteristici, lo squadrismo non ebbe chiari ed espliciti in virtù di un’analisi trascendentale di filosofia politica, ma li accolse per sentimento, e furono la sostanza e il lievito dell’anima sua. Discussioni lo squadrismo non ne volle fare né sentire, poiché gli squadristi, nauseati da quelle ch’esso chiamava « le discorse », esa­sperati dall’esempio di tanta viltà, quanta i letterati e i politici d’Italia avevano dimostrato di possedere, ebbero in odio la discussione, e vennero anzi identificando, eccesso opposto all’eccesso, ogni uomo intellettuale con l’uomo vile e disertore: già da allora il credo implicito dei cuori era « credere obbedire combattere », che un giorno MUSSOLINI avrebbe fatto esplicito e chiaro. E, del resto, chi non si sentiva in quel momento l’anima straziata, e s’indugiava nelle logomachie o nelle manovre parlamen­tari, mentre la nostra Patria soggiaceva a una crisi mortale, era giustamente sospetto. Difficile piuttosto è determinare le origini dello squa­drismo in senso cronologico, com’è difficile farlo per ogni moto sorgente in più luoghi e da simili condizioni e neces­sità; perché quando i tempi sono maturi, e poi, quando è fatto vasto e potente, e la lotta è tutta accesa, si crede sorto all’ improvviso così, come appare, e l’attenzione è rivolta a ben altre cose che alla ricerca della sua umile nascita. Ed è naturale che, per buona parte del 1919 e del 1920, la vita dello squadrismo non si possa distinguere dalla vita del Fascismo. Le prime squadre d’azione furono quelle che i fascisti triestini crearono, nella loro città, il 12 maggio 1920. Le inquadravano i veterani della grande guerra, tutti ufficiali (alcuni non ancora congedati), e quasi tutti volontari di guerra, delle nuove e delle vecchie province; i gregari, in prevalenza giovani (alcuni erano ragazzi!) e di ogni ceto e condizione, ma più numerosi i popolani e i figli della piccola borghesia. Quindi si costi­tuirono e crebbero di forza sulla fine di questo stesso anno e sull’inizio del 1921, a Bologna, a Ferrara, a Modena, dal sangue dei fascisti uccisi nel Palazzo d’Accursio, davan­ti al Castello Estense, nei funerali di Mario Ruini, dal sangue dei legionari fiumani che Giolitti fece uccidere, con insolita energia e più turpe vergogna, ponendo a loro di contro i reparti del nostro esercito che il governo aveva già vituperato e offeso, dopo Vittorio Veneto, con un armi­stizio insipiente e vile, con la ritirata dall’Albania, con i denegati onori della vittoria. E si avverò quel che aveva evangelizzato Gabriele d’Annunzio, a Fiume, nel discorso per la festa di S. Sebastiano (20 gennaio 1920): « per rivi­vere conviene ch’io muoia ». Crebbero e si propagarono per tutta la valle del Po, nelle Puglie, durante la rivolta anar­chico—comunista della Toscana culminante negli orrori cannibaleschi di Empoli (marzo 1921), durante le elezioni politiche di quell’anno, che fu l’ultimo tentativo usato da Giolitti per salvare il regime, il suo regime, vissuto sempre, come ogni cadente organismo, con le manovre tattiche dell’astuzia anzi che per virtù di quella energia che esso non possedeva più, mancandogli la fede in un’alta missione politica e storica del nostro popolo. E dovunque sorgessero queste formazioni volontarie, e sorgevano come per incanto, quasi per una esplosione vasta e ano­nima di energie enormi, accumulate, esasperate dalla infinita gloria della guerra e dal disonore della diserzione postuma e della rivolta senza idee, senza capi e senza coraggio, mostravano, queste squadre d’azione, la stessa composizione sociale, la stessa gerarchia di veterani dell’Isonzo, degli Altipiani del Piave, e di giovanissimi, che il fascino dell’epopea italiana aveva inebriato, e parevano gelosi di quella grandezza che ammiravano nei fratelli maggiori. Una fusione commovente e potente di esperienze dolorose e gloriose e di sognante fantasia, di memorie e di speranze, di intrepida energia e di generosa passione, sotto una disciplina spontanea e forte, dove agiva l’orgo­glio degli anziani e l’emulazione dei giovani, che volevano essere combattenti e veterani ad ogni costo, anche nella divisa, negli usi, nei simboli, nelle regole, nell’azione, nel gergo, e finanche nelle bestemmie. I veterani erano quasi tutti interventisti, volontari di guerra, decorati al valore, erano arditi e legionari di Fiume, il fior fiore spirituale del grande esercito. E, dagli arditi, le squadre d’azione presero appunto quella gioia orgogliosa di essere temerari, di non contare il numero dei nemici e dei propri morti, di sperare tutto dall’urto e dall’assalto quando ogni cosa è disperata; presero la divisa, e le insegne; presero i canti, fra i quali primo fra tutti Giovinezza, il mirabile inno della gloria, dell’amore e della morte, che essi guardavano in faccia senza timore e senza rimpianto, rappresentavano nelle fiamme nere, e ricordavano nei canti, superbi di essere i più forti di lei e di sentirsi padroni della vita. Invero, nessuno può intendere il canto Giovinezza, se non rievoca quei tempi, e non li vede come in sogno, que­sti ragazzi, sfilare « così radiosi di corpo e di anima che si scambierebbero per dei giovani Dei »; se non li ricorda in quell’atteggiamento di fierezza prepotente, gioiosa, sicura di sé, impavida, apparire su tutte le vie e le piazze d’ Italia, sulle strade polverose, isolati dall’odio o dal mala­nimo, dalla calunnia e dal vituperio di tutti, e avventarsi dove c’è un caduto da vendicare o un dominio di vio­lenza e di paura da distruggere; se non li sente ancora cantare, gettando alla morte imminente, ignoti e sdegnosi, il loro grido di sfida. Certo, le rappresaglie degli squadristi furono terribili (rappresaglie sugli uomini e sulle cose) e, talvolta, non senza eccessi, che MUSSOLINI denunciò pubblicamente e pubblicamente condannò. Ma, oltre la nota considera­zione che un grande torrente trascina con sé sterpi e sassi e fango, bisogna pur dire che il furore delle Camicie nere fu provocato e alimentato dall’assassinio e dalle imboscate sistematiche fatte dagli avversari con una bru­talità così fredda e selvaggia, che i nomi dei Sonzini, dei Berta, dei Bisagno, resteranno sempre il documento del martirologio fascista e della triste eredità che ci grava dai secoli neri della nostra storia; bisogna porre in rilievo che quegli eccessi furono purificati e redenti dalla nobiltà della causa, e dalle sofferenze, dalle persecuzioni, dalle stragi che i fascisti sostennero, da Modena a Sarzana, con una generosità che non ha precedenti, fuorché nella gesta garibaldina. Lo squadrismo era una vasta e incoercibile eruzione vulcanica: divenne l’esercito volontario del Fascismo, e dall’uno all’altro fu un rifluire e un circolare perenne di linfa, ricca di energie e di idee, di iniziative e disciplina; ma solo la sapienza politica e il prestigio di MUSSOLINI operarono la trasformazione, e fecero degli squadristi, così spregiudicati e veementi e avventurosi, un organismo solo e un’anima sola, lo strumento della battaglia che si proponeva di rinnovare la nostra classe dirigente e costituire a dignità di stato il nuovo popolo italiano, nato dalle trincee. Basti ricordare le battaglie fasciste in Alto Adige nel 1921, le occupazioni di Ferrara, di Bologna, di Cremona, la mobilitazione delle Camicie nere contro lo sciopero gene­rale « legalitario », la seconda azione su Bolzano nel 1922, e la Marcia su Roma. Il 14 gennaio 1923 MUSSOLINI creò la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: l’esercito volontario della Rivoluzione fascista diventava l’esercito volontario dello stato fascista, l’esercito del sacrificio, dell’ardimento e della fedeltà. Nel ventennale della Rivoluzione l’intatto spirito dello squadrismo si è rivelato nella grandiosa adunata dei vecchi membri delle squadre il 23 marzo XVII, a Roma, nel Foro Mussolini.

R. Farinacci

( Dizionario di Politica a cura del P.N.F., Roma, 1940, Vol. IV, pp. 445 – 447.)

Doc. 2

…così scrive lo storico antifascista Emilio Gentile:

Al fascino dei fascisti in para­ta non si sottrasse neppure un’antifascista come Anna Kuliscioff. Il 26 marzo 1922, scriveva a Turati, si era «buscata un discreto mal di testa, volendo assistere dal balcone lo sfilare del corteo fascista», dopo aver sperato «che Domeneddio almeno lui non fosse fasci­sta, e per l’ora della grande adunata avrebbe fatto diluviare come tutta stanotte e anche stamattina. Macchè! A mezzodì comparve il più bel sole di primavera, e la grande mobilitazione delle forze fasciste si è fatta con la benedizione del Signore, ma con scarso pubblico attorno».

Il corteo però come tale è riuscito grandioso, imponente, ordi­nato. Vi parteciparono 20-30.000 persone; chi potrebbe valutarne il numero? Tutti quei giovani dai 17 ai 25 anni, gagliardi, agili, bei ragazzi inquadrati militarmente, se non si sapesse a che turpi scopi è rivolta la loro azione, fanno un effetto magnifico di bellezza e di forza. Il corteo per sfilare nella sua totalità impiegò almeno un’ora e mezzo di tempo; le rappresentanze più numerose furono quelle di Cremona, Mantova e Lomellina; la radunata lombarda di oggi sarà un coefficiente di gloria per cingere la crapa pelata del «duce», il quale apriva il corteo in piena tenuta fascista, tronfio e gongolante di gioia di fungere da generalissimo di un esercito baldo e giovane davvero. Si vede che per certe mire del suo arrivismo egli ci teneva moltissimo a far vedere che ha un esercito, e questo come tale è una forza civile e disciplinata. Come generale moderno, non abbandonò i suoi bravi neppure all’ora del rancio all’Arena, a cui parteciparono il «duce» e gli altri deputati intervenuti, e li licenziava in Piazza della Stazione con un discorso di elogio e di gratitudine. Appena finito il corteo in piazza del Duomo, si scatenò un temporale con un acquazzone e grandine da far scappare tutti, salvo i fascisti, che l’a­vevano preso con tutta la violenza. Domeneddio, per farsi perdonare le varie ore di sole primaverile concesse, credette però alla fine di infliggere loro una piccola mortificazione. Chissà che apoteosi con­terà martedì mattina il «Popolo d’Italia». No, no, non è da illudersi: è un vero esercito militarizzato, disciplinato e pieno di ardore che si è costituito in Italia, è un esercito da muovere all’assalto non solo di qualche cooperativa o qualche Camera di Lavoro, ma per colpire molto più in alto. Non mi meraviglierei affatto che fra non molto s’impossessino del potere, creando una repubblica oligarchica, con Mussolini presidente e papa-re d’Italia.

Il fascismo usò la sua forza militare anche fuori dei confini nazionali, come fece il 3 marzo, per effettuare un colpo di Stato a Fiume, che con il trattato di Rapallo aveva assunto la condizione internazionale di Stato libero. Il governo provvisorio della città era affidato all’autonomista Riccardo Zanella, eletto dalla mag­gioranza dei fiumani presidente della Costituente, ma osteggia­to dai fascisti e dagli altri partiti annessionisti. Il colpo di Stato fu organizzato da un comitato militare costituito dal Fascio di combattimento fiumano. In seguito all’uccisione di un fascista da parte della polizia, i fascisti capeggiati da Giunta diedero l’assalto al palazzo del governatore, dopo averlo sottoposto a cannonate, e costrinsero Zanella a cedere il potere a un comitato di difesa nazionale e a lasciare la città. Lì si recarono subito Balbo, alcuni deputati fascisti e membri della direzione del PNF. D’accordo con gli altri partiti, i fascisti proposero la nomina a governatore della città del fascista Giovanni Giuriati, che era già stato il primo capo di gabinetto di D’Annunzio a Fiume: ma il governo Facta non volle ratificare la nomina e invitò Giuriati a rinunciare, cosa che egli fece il 15 marzo . Il 5 aprile, il governo italiano riconobbe come capo provvisorio dello Stato fiumano il vicepresidente della Costituente . La soluzione accettata dal go­verno italiano deluse i fascisti. Il 15 marzo Balbo ordinò la smobi­litazione: «Noi possiamo ormai andarcene da Fiume», annotava nel diario: «Non abbiamo nulla in comune con questa gente […] L’avventura di Fiume è finita. […] Il destino di Fiume è uno solo: uno sbocco: l’annessione. Torniamo dunque al compito maggiore, anche noi, che stiamo per lasciarla con un fondo di amarezza in cuore: andiamo a combattere per la conquista dell’Italia. Fiume si redime redimendo Roma».

(Emilio Gentile,  E fu subito Regime, il fascismo e la Marcia su Roma, Roma – Bari, 2014, pp. 52 – 53)

Doc. 3

I caduti della Rivoluzione fascista. — Per dare alla nazione nuovo volto, il suo vero volto, cioè, che i sacrileghi nega­tori della vittoria avevano tentato svisare, il Fascismo ha lasciato lungo la via della rinnovata vittoria numerosi caduti, eroi puri quanto gli altri che caddero di fronte al nemico. Se la rivoluzione è una guerra interna; e se la nostra rivoluzione ha avuto l’incomparabile merito di aver fatto, finalmente, l’Italia una e grande negli spiriti e nella sostanza; i martiri del Fascismo, tutti volontari assertori di un’idea, che, specie alle origini, era patrimonio di pochi eletti, vanno onorati con fede e con riconoscenza imperitura, con la coscienza di identificare in essi i migliori artefici della riscossa nazionale, che, arrossata di sangue, appare ed è più santa, più sublime, più eletta. Numerosi cotesti martiri dell’ idea e della fede fasci­sta; una schiera di luminosi eroi di tutte le età, di tutte le condizioni, giovinetti appena ed uomini già maturi, stu­denti ed operai, ex combattenti e padri di famiglia. Due giovanissimi aprono la serie del martirologio fascista. Pierino Delpiano, vittima dei sovversivi a Torino il 3 dicembre 1919 e Ferruccio Barletta, diciannovenne, caduto l’11 aprile 1920 a Minervino Murge. Stupenda la figura di Giacomo Schirò, medaglia d’oro, crivellato, in una impari lotta con i comunisti, a Piana dei Greci il 23 luglio 1920, da cinquantatré colpi. Non meno gloriosi i nomi di Vittorio Podestà e Luciano Priori caduti sotto i colpi dei comunisti il 6 settembre a Cremona; e quelli di Costan­tino Scimula e Mario Sonzini trucidati il 22 settembre a Torino. Il 21 novembre a Bologna, nella tragedia di Palazzo d’Accursio, trova luminosa morte Giulio Giordani. Il 20 dicembre, in un agguato teso dalle guardie rosse, trovano la fine, a Castello Estense di Ferrara, numerosi giovanissimi fascisti. A queste prime vittime del sovversivismo, sulla fine del 1920 seguono altri morti non meno gloriosi, per la riconquista della città olocausta, Fiume. Per i quaranta legionari immolatisi davanti al Carnaro, nel Natale di sangue fiumano, MUSSOLINI scriveva: « Sono gli ultimi caduti della grande guerra, e, come gli altri, non invano!» (II, 135). In Italia nelle campagne, nei borghi, nelle città, la schiera delle vittime della barbarie rossa s’infittisce nel 1921: Aldo Milano, caduto 1’8 gennaio ad Albano Ver­celli; Augusto Baccolini e Orlando Antonini, massacrati il 24 gennaio a Modena; Riccardo Barbera, caduto il 23 febbraio; Valentino Schiavon, ferito il 28 febbraio a Badia di Rovigo e morto poco dopo. Lo stesso 28 febbraio veniva trucidato selvaggiamente, le mani mozzate sul ponte a Firenze e poi colpito furiosamente, il giovinetto eroe Giovanni Berta. Non meno nobile il sacrificio, avvenuto in vilissime imboscate ed in selvagge aggressioni, di numerosi altri martiri del Fascismo. Così vanno ricordati i marinai caduti nell’ imboscata di Empoli il 10 marzo del 1921; Luigi Sca­raglio, Costantino Brioglio e Antonio Strucchi, vittime di un’aggressione a Casale Monferrato il 6 marzo. MUSSOLINI Il 3 aprile a Bologna evocava « il ricordo di tutti i nostri morti, che sono la nostra religione » (II, 164). Ma la fero­cia rossa non conosceva requie. Aldo Rosselli, Dante Rossi e Tolemaide Cinipi sono trucidati nell’eccidio di Foiano della Chiana il 17 aprile, Rino Moretti cade eroi­camente il 28 marzo a Portomaggiore; Tito Manichetti a Ponte a Moriano il 25 marzo; Gigino Gattuso il 24 aprile a Caltanissetta; Amos Maramotti il 29 aprile a Torino; Angelo Boccolo Bragadin, Gian Vittore Mezzomo e Gian Battista Fumei il 6 maggio a Cittadella, presso Padova; Dino Suigo e Giuseppe Torti il 15 maggio a Castelnuovo Scrivia, presso Alessandria; Pio Pischiutta il 10 maggio a Pordenone; Arrigo Caleffi e Giuseppe Morandini il 15 maggio a Soave, presso Mantova; Giuliano Rizzato, Giuseppe Bandonna e Francesco Giachin, anche il 15 maggio, a Maresego d’ Istria, sopraffatti da un’orda di comunisti allogeni; Nando Gioia il 16 maggio a Bilegno presso Piacenza; Luigi Platania, il 19, a Rimini; Nello degli Innocenti e Gino Giannini il 22 maggio, sotto i macigni rotolati dall’alto delle cave di Sesto; Antonio Macerati l’11 giugno a Piacenza; Spartaco Bello, dicias­settenne, il 14 giugno a Venezia; Gilberto Cibarti il 25 giu­gno a Massa, Rino Daus il 29 giugno a Grosseto. Stupende le figure dei caduti nell’eccidio di Sarzana (21 luglio); non metaforicamente eroici, ma sostanzialmente grandi per il loro comportamento ed il loro coraggio i caduti dell’estate e dell’autunno del 1921: Domenico Serlupi e Giovanni Zoccoli (21 luglio); Raffaello Aliboni (8 agosto); Ernesto Curcumi (10 agosto); Settimo Leoni, ferito il 16 agosto e deceduto il 12 ottobre; Sigifredo Priori (4 settembre); Luigi Frigeri (11 settembre); Romolo Boselli (2 novembre), Andrea Vercesi (12 novembre). Un posto a parte spetta ad Emma Gherardi, moglie e madre di camicie nere, trucidata il 29 agosto a Baragazza di Casti­glione. Ma i caduti di quel periodo non possono nominarsi tutti. Particolarmente commovente il ricordo della morte di Franco Baldini (14 novembre) e di Giuseppe Barnabei caduto nell’agguato di Castel S. Pietro. Il Barnabei, ope­raio, padre di cinque figli, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, disse: « Hanno fatto male a ferirmi, ma perdono loro ». MUSSOLINI, commentando in un discorso alla Came­ra la meravigliosa fine di questo eroe, soggiungeva: « Come dice Maeterlink, quest’oscuro eroe ha fatto un gesto di gran­dezza, ha pronunziato una parola di grandezza» (II, 216). Stupende figure di martiri dell’ idea fascista novera il 1922: i fratelli Renato ed Eugenio Picciati caduti in una imboscata a Bergiola (Carrara) l’8 gennaio; Umberto Ferrari aggredito a Rovere il 22 gennaio; Federico Guglielmo Florio, il debellatore della lega rossa di Prato. «Appartiene, scriveva MUSSOLINI di Florio il 20 gennaio, alla schiera degli eletti » e soggiungeva: « un vincolo sacro, infrangibile tiene serrati i fedeli del Littorio: il cemento, il vincolo sacro dei nostri morti. Sono centinaia. Adole­scenti, giovinetti, uomini maturi. Nessun partito d’Ita­lia, nessun movimento nella storia recente italiana può essere confrontato al Fascismo; nessun ideale è stato, come quello fascista, consacrato dal sangue di tanti gio­vinetti » (II, 233). Ma a Federico Guglielmo Florio seguono altre vittime: Alberto Landini a Lerici (16 feb­braio); Natale Tovaglioli a Cavalvolone presso Novara (19 marzo); Ettore Buriani a Boschi di Baricella presso Bologna (16 aprile); Guglielmo Veroli a Tivoli (21 aprile): Ugo Pepe a Milano (24 aprile); Augusto Barbetta, Luigi Barolo e Pietro Zogno, tre fieri lavoratori, a Megliadino, presso Padova (1° maggio); Alfeo Giaroli a Tabiano di Viano presso Reggio Emilia (7 maggio); Camillo e Felice Mortarotti a S. Lorenzo di Vignale (26 maggio), Armando Fugagnollo a Gazzo Padovano (7 luglio); Angelo Ridono a Casalino presso Novara (9 luglio), Michele Falcone da Serracapriola di Foggia a Viterbo (23 luglio) e poi ancora, in agosto, Odoardo Amadei a Sala Baganza (Modena), Edoardo Crespi, Emilio Tonoli e Cesare Molloni a Milano, Primo Martini a Genova; ed alla vigilia della Marcia su Roma, Mario Brumana a Cardano al Campo, Guido Michelassi a Controguerra presso Teramo. MUSSOLINI nel discorso di Udine, il 20 settembre, esortava a « raccogliere lo spirito degli indimenticabili morti e farne lo spirito ardente della Patria immortale» (II, 332); ed il 4 ottobre aggiungeva: « Quando una causa è santificata da tanto sangue puro di giovani, questa causa non deve venire in nessun modo infangata » (II, 328). Poi venne la riscossa, che ebbe ancora i suoi morti, nelle giornate d’ottobre; Gian Carlo Nannini a Bologna, Oscar Paoletti a Sulmona, Giacomo Apollonio a Verona, Feliciano Bignozzi a Milano… Il martirologio non si ferma con la Marcia su Roma. Cadono numerosi altri martiri del Fascismo anche dopo; il diciottenne Duilio Guardabassi il 10 agosto 1923 a Roma; Armando Casalini il 12 settembre 1924 anche a Roma, Giovanni Villana a Nicastro, Antonio Mandolini a Ficulle presso Terni, il 3 novembre 1924; e nello stesso anno, Giulio Benedetti ad Albegno (Bergamo) il 10 otto­bre e Pietro Salvatori a Montecelio il 25 dicembre. Tra i caduti all’estero va ricordato, trai tanti altri, Nicola Bonser­vizi, magnifica figura di giornalista e di propagandista, assassinato a Parigi il 20 febbraio 1924. Un esercito, dunque, di martiri, di eroi, di artefici immo­latisi per il rinnovamento nazionale. Il 16 settembre 1924 MUSSOLINI poteva ben dire a Napoli che i nostri tremila morti sono la garanzia, la grande garanzia che il Fascismo non mancherà ai suoi destini (IV, 263), e, dieci anni dopo, nel messaggio inviato il 27 ottobre 1934 per la tumula­zione in Santa Croce di 37 caduti fascisti, ammoniva aver essi già adottato il motto gagliardo « credere, obbedire, combattere »; e soggiungeva: « il loro monito solenne è perentorio: guai ai ritardatari, guai ai pusillanimi e guai, soprattutto, agli immemori» (IX, 139)… E non immemore il regime è stato per essi. A parte la sublime atmosfera che è stata creata, nello spirito dell’Italia nuova, attorno ad essi, considerati davvero pre­senti nella vita del Fascismo (non a caso ogni fascio è intitolato ad uno di essi), speciali misure legislative mirano a garantire protezione ed assistenza ai loro figlioli ed ai loro congiunti. Con legge n. 2275 del 24 dicembre 1925 e successivamente con leggi 10 agosto 1927, n. 1519, 24 marzo 1930, n. 454, e 12 giugno 1931, n. 777, venivano estesi agli orfani ed ai congiunti dei caduti per la rivolu­zione tutte le provvidenze emanate in favore degli orfani e dei congiunti di caduti in guerra. Nel giugno del 1924 sorgeva l’Associazione fascista famiglie caduti mutilati feriti per la rivoluzione, ente che ha, tra gli altri, i seguenti scopi: tener vivo ed alto il ricordo dei caduti fascisti ed il sacrificio dei mutilati e feriti per la causa nazionale; assistere moralmente e materialmente le famiglie dei caduti, curando che vengano applicate in loro favore tutte le provvidenze accordate dalla legge; garantire una decorosa vecchiaia ai loro genitori ed un sicuro avvenire ai loro orfani. L’associazione, che è presieduta dal Ministro Segretario del Partito nazionale fascista, in realtà riassume la riconoscenza nazionale per coloro che s’immolarono per la resurrezione della patria.

(Dizionario di Politica a cura del Partito Nazionale Fascista, antologia volume unico, a cura di Marco Piraino e Stefano Fiorito, 2014, Lulu.com, pp. 37 – 39.)

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