
Le tappe dell’invasione degli Alleati in Sicilia.
Nel 2009 l’associazione “IlCovo” decise di rendere onore al sacrificio del sottotenente di complemento di artiglieria Sergio Barbadoro e dei suoi uomini in forza alla Divisione “Assietta”, distaccati a difesa delle valli antistanti la città di Palermo, che il 22 luglio del 1943 si opposero alle truppe statunitensi, bloccandole e contrastandole per nove ore, fino all’estremo sacrificio. Così collocammo una lapide commemorativa nel luogo dello scontro (qui) e da quel momento per i successivi dieci anni non abbiamo mai mancato di onorare e ricordare il martirio di quei valorosi soldati dell’Italia Fascista, sconosciuto ai più. Inoltre, abbiamo cercato di approfondire le dinamiche reali dell’invasione anglo-americana e soprattutto della risposta effettiva dei militari italiani in quel tragico frangente, così già nel 2016 potemmo constatare in un apposito scritto (qui) come la versione ufficiale ripetuta da oltre settant’anni, inerente la presunta occupazione “indolore” del capoluogo isolano e dell’intera Sicilia occidentale nell’estate del 1943 da parte della Settima Armata americana, costituisse solo una sconcertante e fraudolenta mistificazione storiografica, ancora oggi dura a morire. Difatti, persiste tutt’ora il “mito” fasullo dei soldati “a stelle e strisce” che, occupata Agrigento la sera del 16 luglio dopo una settimana di duri combattimenti – il generale statunitense Patton, in proposito, nel suo diario alla data del 18 luglio scriveva testualmente che “le truppe italiane hanno combattuto con encomiabile accanimento” – (1), successivamente avrebbero fatto, invece, una “piacevole passeggiata” (così la definì il generale Keyes della 3a Divisione di fanteria americana)(2) di qualche giorno per conquistare allegramente la parte ovest dell’isola. In proposito, per comprendere l’origine storiografica di questa versione falsissima dei fatti ma assurta al rango d’incontrovertibile verità ufficiale, è ragionevole attribuirne la paternità alla memorialistica dei militari anglo-americani, in particolare al volume curato dal “Centro di studi militari dell’Esercito degli Stati Uniti” che nel 1965 pubblicò a Washington la prima edizione del corposo volume “Sicily and the surrender of Italy”, nel quale a pagina 254 è scritto testualmente che
…”Con lo sviluppo degli eventi, ci doveva essere un assalto non concentrato e potente su Palermo. Sia la 3a Divisione di fanteria che la 2a Divisione corazzata entro la sera del 22 luglio erano in grado di lanciare un simile assalto. Ma i difensori della città e la popolazione civile ne avevano abbastanza della guerra ed erano disposti a cedere senza combattere. Infatti, una delegazione di civili arrivò al posto di comando del 7° Fanteria nel primo pomeriggio del 22 e si offrì di consegnare la città al Brig. Gen. William W. Eagles, assistente comandante della divisione 3a Divisione. L’offerta venne rifiutata; Il generale Eagles ricevette istruzioni dal generale Truscott che il generale Keyes avrebbe accettato la resa della città. Il generale Marciani, comandante delle forze di difesa italiane, cadde prigioniero dell’82° battaglione da ricognizione, e l’atto finale del dramma spetta al generale di brigata Giuseppe Molinero, comandante della difesa portuale “N” Palermo. Nel tardo pomeriggio una pattuglia del Combat Command “A” tornò con il generale Molinero; la pattuglia si era spinta in città senza incontrare alcuna opposizione. Molinero si offrì di cedere la città al generale Keyes. Insieme al generale italiano, i generali Keyes e Gaffey entrarono a Palermo. Al palazzo reale, poco dopo le 19:00, il 22 luglio, gli ufficiali americani accettarono formalmente la resa di Palermo. Con questo, il generale Patton, cercando di mettersi alla testa degli elementi principali della divisione corazzata, mandò a dire di occupare la città. Alle 20:00, da est e da ovest, le due divisioni americane marciavano nella più grande città dell’isola. Il generale Patton, con il colonnello Perry, capo di stato maggiore della 2a Divisione corazzata, che fungeva da guida, si fece strada a Palermo un’ora dopo. Palermo era sua.”(3)
In realtà, si tratta di una storiella evidentemente gonfiata smisuratamente dalla propaganda bellica Alleata del tempo di guerra, che poi è assurta al rango di verità incontrovertibile da parte di pubblicisti-storiografi supponenti, poco interessati ad una seria contestualizzazione dei fatti storici e più propensi a rifilare al pubblico la versione di comodo dei cosiddetti “vincitori”. Ancor oggi, rispetto a quegli avvenimenti tragici, la realtà rimane seppellita dalla visione farsesca della spensierata passeggiata oleografica illustrata da foto e cine-giornali americani, che volevano le loro truppe sempre circondate da plaudenti “paisà” smaniosi di cioccolata e sigarette, con i militari italiani nel ruolo di comparse sfuggenti, presenti sempre e solamente con le mani alzate in segno di resa. Eppure, partendo dalle stesse fonti militari ufficiali statunitensi, si scopre che solamente alla data del 24 luglio 1943 le truppe di Patton poterono dire di controllare effettivamente “the entire western half of the island ”, dunque, a più di due settimane dall’inizio delle operazioni di sbarco, avendo lasciato sul campo, solamente durante i sei giorni della “tranquilla scampagnata” verso Palermo e la Sicilia occidentale, cominciata il 19 luglio, “appena” 272 uomini tra morti, dispersi e feriti, cifra che si traduce in una media di circa 45 perdite al giorno – in proposito va osservato che fin dal 23 luglio 1943, ossia il giorno dopo la sua occupazione, risulta che gli americani realizzarono un cimitero di guerra provvisorio alla periferia nord di Palermo (4), per seppellire i propri caduti – contro 2900 militari italiani morti o feriti. A dimostrazione del fatto che “qualche italiano” che li combatté e sparò loro addosso i cosiddetti “liberatori” lungo la loro “passeggiata” dovettero incontrarlo (5).

Cimitero americano provvisorio di Palermo, 1943.
Ma allora, per quale motivo a distanza di decenni dai fatti, si continua a dare credito ad una ricostruzione faziosa e bugiarda? Il motivo è presto detto, e sono ancora le fonti storiografiche di parte anglo-americana ad evidenziarlo involontariamente. Infatti, citando sempre una pubblicazione ufficiale del “Centro di Storia Militare dell’Esercito Statunitense” è possibile leggere quanto segue:
… “ordinando (il 12 luglio, Ndc.) alla Settima Armata americana di fermarsi prima della Strada Statale 124, (a nord degli obiettivi prestabiliti di Licata e Gela, Ndc.) e deviando la sua avanzata, il generale britannico Alexander perse slancio e fornì all’Asse tempo prezioso per ritirarsi su una nuova linea difensiva tra Catania ed Enna. Date le circostanze, Alexander avrebbe potuto sfruttare meglio la situazione rafforzando il successo e spostando il fulcro principale della campagna sulla Settima Armata. Tuttavia, questa non fu la sua scelta e la sua decisione suscitò una tempesta di polemiche nel campo americano. Patton ed i suoi generali erano furiosi. Avevano sempre pensato che la Settima Armata sarebbe stata autorizzata a spingersi oltre i suoi obiettivi iniziali nella Sicilia centrale e settentrionale per accompagnare l’Ottava Armata britannica nel suo viaggio verso Messina. Dopotutto, i piani pre-invasione di Alexander non lo avevano mai escluso espressamente. Ora quell’opzione era stata eliminata e si sentivano offesi. Non contento di accettare un ruolo secondario, il generale statunitense Patton cercò immediatamente l’opportunità di far giocare al suo esercito un ruolo più decisivo nella campagna. L’oggetto che attirò la sua attenzione era Palermo, capitale della Sicilia. La cattura di questa famosa città non sarebbe stato solo un colpo pubblicitario, ma avrebbe anche dato al suo esercito un importante porto da cui basare ulteriori operazioni lungo la costa settentrionale. La prima mossa di Patton fu di convincere Alexander ad avallare una “ricognizione” verso la città di Agrigento, diverse miglia a ovest dell’attuale linea del fronte della 3a Divisione. Quell’autorizzazione era tutto ciò di cui il generale americano Truscott aveva bisogno per impadronirsi della città (la sera del 16 luglio, Ndc.). Con Agrigento in mano, Patton era in grado di manovrare nella Sicilia nord-occidentale, e il 17 si recò al quartier generale di Alexander per discutere proprio una tale possibilità. Patton voleva liberarsi dall’Ottava Armata e lanciare la sua offensiva indipendente su Palermo mentre contemporaneamente inviava il II° Corpo d’Armata di Bradley a nord per tagliare l’isola in due. Alexander accettò con riluttanza, ma in seguito ebbe dei ripensamenti e inviò a Patton una serie di ordini riveduti che gli dicevano di colpire a nord per proteggere il fianco di Montgomery piuttosto che a ovest. Il quartier generale della Settima Armata ignorò il messaggio di Alexander affermando che era stato “confuso” nella trasmissione, e quando le istruzioni di Alexander avrebbero potuto essere “chiarite”, Patton era già alle porte di Palermo. La Settima Armata incontrò poca opposizione durante la sua corsa attraverso la Sicilia occidentale. Guzzoni aveva richiamato la 15a Divisione Panzer Grenadier nella Sicilia centrale subito dopo l’invasione, e le uniche truppe rimaste nella parte occidentale dell’isola erano italiane che, per la maggior parte, mostravano poca propensione al combattimento. Mentre il II° Corpo d’Armata del generale Bradley si spingeva a nord per tagliare l’isola in due a est di Palermo, Patton organizzò la 2a Divisione corazzata, la 82a Divisione aviotrasportata e la 3a Divisione di fanteria in un “Corpo d’Armata Provvisorio” sotto il maggiore generale Geoffrey Keyes e gli fece percorrere 100 miglia di corsa verso il capoluogo siciliano. Palermo cadde in sole settantadue ore (in realtà, la manovra cominciò la mattina del 19 luglio, mentre il presidio militare di Palermo si arrese ufficialmente solo alle ore 19:30 del 22 luglio, Ndc.) e il 24 luglio la Settima Armata aveva preso il controllo dell’intera metà occidentale dell’isola, catturando 53.000 soldati italiani scoraggiati e 400 veicoli, a fronte della perdita di 272 uomini. Il 23 luglio Alexander ordinò a Patton di deviare verso est in direzione di Messina. ( Andrew J. Birtle, “Sicily – The U.S. Army Campaigns of World War II”, a cura del Center of Military History, 1993, pp. 16 – 17 )

Il Generale americano Keyes intima la resa al Generale italiano Molinero.
Ebbene, proprio dietro i toni compiaciuti e trionfalistici e al di là di dati e cifre magniloquenti che non è possibile verificare oggettivamente, si nascondono di fatto i gravi errori strategici del comando Alleato. Dove alle incertezze ed alle titubanze del britannico Alexander in merito alla strategia da tenere, faceva da contraltare la vanagloria del “criminale di guerra” americano Patton (qui), che ignorando gli ordini del suo comandante in capo, dividendo le proprie truppe e distogliendo un cospicuo contingente (furono tre le divisioni che vennero da lui inviate ad occupare la parte ovest dell’isola) non permise così di completare al generale Bradley (rimasto con due divisioni su cinque) la manovra a tenaglia per raggiungere la costa nord prima del 22 luglio.

Linee del fronte nella Sicilia occidentale, 1943.
Precisamente grazie a questo errore tattico, le agguerrite truppe statunitensi dirette verso Palermo e Trapani, in quel frangente non dovettero misurarsi direttamente con le divisioni mobili italiane, Aosta ed Assietta, né tantomeno con la divisione tedesca Sizilien, che invece, con una difficile manovra di sganciamento tesa ad evitare l’accerchiamento, anche in virtù dell’errore tattico degli statunitensi, riuscirono tutte a ripiegare verso la zona orientale dell’isola, sulle linee di difesa predisposte dal comandante della 6a Armata italiana, il Generale Alfredo Guzzoni (montagne Madonie prima, Nebrodi poi) (6); truppe che avrebbero avuto un ruolo centrale nella sanguinosa battaglia di Troina e nelle successive operazioni militari (che costarono migliaia di perdite agli statunitensi!), riuscendo persino a reimbarcarsi riparando in Calabria al termine delle operazioni avvenute il 17 agosto, sottraendo così alla cattura da parte degli Alleati un’intera Armata italo-tedesca di oltre centomila uomini e di svariati mezzi ed armamenti, realizzando così una prodigiosa “Dunkerque” meglio riuscita di quella inglese del 1940. Gli americani, invece, nella loro “scampagnata” ad ovest si scontrarono, per lo più, contro piccoli presidi isolati del Regio Esercito, composti nella maggioranza dei casi dalla difesa costiera o da addetti ai servizi e non già da unità mobili combattenti, che poi rappresentarono la massima parte dei 53.000 prigionieri di guerra catturati in zona, di cui poi si vantò il generale Patton per giustificare la sua patente insubordinazione. Una “tranquilla passeggiata” dove i cosiddetti autoproclamatisi “liberatori”, va doverosamente ricordato, dopo aver fatto precedere il loro sbarco dalla famigerata pratica dei bombardamenti di saturazione (7), che si tradusse a partire dal 9 maggio 1943 in quasi due mesi d’ininterrotti bombardamenti a tappeto, indiscriminati e volutamente terroristici, diurni e notturni (non solo su obiettivi militari ma anche e soprattutto su obiettivi civili) che avevano letteralmente lo scopo di “terrorizzare” la popolazione – dal 2 giugno 1943, significativamente il nome in codice della Sicilia nei messaggi del Quartier Generale degli Alleati fu “horrified”(8) – seguiti dalla costante guerra psicologica dei messaggi che invitavano civili e militari alla resa immediata in cambio della sospirata pace! (9); dopo aver già consumato nei primi giorni dello sbarco numerose stragi a sangue freddo, massacrando centinaia di militari italiani e tedeschi colpevoli di essersi arresi solo dopo aver strenuamente combattuto, o aver fucilato uomini e ragazzi solo perché indossavano una camicia nera (10), si avvalsero certamente, oltre che dell’incomparabile superiorità quantitativa e qualitativa del loro apparato bellico, anche di mezzi tanto squallidi, come l’appoggio dei mafiosi locali prontamente liberati al fine di sabotare le truppe italo-tedesche e indurre la popolazione a collaborare pacificamente con gli invasori (11), quanto vigliacchi, quali l’utilizzo di prigionieri italiani come scudi umani per costringere alla resa le truppe locali che essi fronteggiavano di volta in volta (12). E’ in questa cornice, tutt’altro che edificante per gli “invasori democratici”, che va collocata l’occupazione di Palermo avvenuta tra il 22 ed il 23 luglio 1943. Al riguardo, la versione ufficiale è categorica… la città cadde senza combattere! Persino a detta del maggiore dell’esercito britannico Hugh Pond, che pure fu uno dei pochi autori anglosassoni che scrisse un resoconto dettagliato sulla campagna militare di Sicilia sforzandosi (ma senza esagerare!) di essere obiettivo, “Palermo non fu difesa”(13). Addirittura, nella versione dei reporter di guerra Alleati, fatta propria incondizionatamente, in modo acritico e senza alcuna riserva dagli storici “nostrani” e anglosassoni, si scrive di “folla in delirio” all’ingresso degli americani in città (14); senza che nessuno ricordi minimamente come il capoluogo siciliano, in realtà, fosse quasi deserto poiché la maggior parte della popolazione era ormai sfollata a causa dei bombardamenti (15), dimenticando poi che le foto ritraenti i cosiddetti “bagni di folla”, sapientemente sceneggiati dalla propaganda Alleata, non ritraggono affatto Palermo, bensì alcuni piccoli centri periferici della provincia come Campofelice, Giacalone, Monreale, dove mafiosi e dissidenti locali (16) orchestravano appositamente la scena, pronta per essere ripresa dai cinegiornali e dai reporter Alleati per l’immancabile propaganda.

Carri armati americani in provincia di Palermo.
In realtà, proprio a dispetto della propaganda di guerra anglo-americana, a dispetto persino di quel che pensarono in quei giorni caotici e drammatici in piena campagna militare in corso tanto lo Stato Maggiore del Regio Esercito Italiano quanto lo stesso generale Guzzoni, comandante delle forze dell’Asse in Sicilia (17), il capoluogo non cadde senza che per ore si fosse combattuto per difenderlo. Nel corso degli ultimi anni, infatti, grazie al crescente interesse per i fatti storici attinenti la campagna militare siciliana del 1943, suscitato in virtù dell’impegno profuso nello studio effettuato da ricercatori indipendenti e al di fuori dei circuiti ufficiali o da semplici appassionati, cui abbiamo direttamente contribuito come associazione “IlCovo” non secondariamente ma in prima persona (qui e qui), le nostre conoscenze al riguardo sono considerevolmente aumentate. In tal senso, un lavoro di sicuro interesse è quello elaborato dal ricercatore Francesco Signorile, che col suo articolo “Sotto il sole di Sicilia noi combattemmo” (qui), sebbene le rispettive idee politiche non coincidano affatto, è meritevole di attenzione, anche in virtù dello sviluppo sempre più articolato che egli ha voluto dare nel corso degli anni al suo scritto, arricchendolo ed integrandolo, manifestando quella giusta e doverosa attenzione alle operazioni condotte dalle truppe italiane, che per decenni è sempre stata colpevolmente trascurata, appositamente nascosta se non addirittura premeditatamente negata a causa di indicibili convenienze politiche. Ebbene, anche grazie alle testimonianze che egli ha raccolto e pubblicato e di cui in parte ci avvarremo, siamo oggi in grado di integrare quel che già scrivemmo in proposito anni addietro, avendo così un quadro più chiaro ed abbastanza esaustivo sulle vicende militari che portarono all’occupazione da parte degli statunitensi del capoluogo siciliano, smentendo clamorosamente la vulgata corrente. Infatti, la manovra di attacco predisposta dagli americani, che nella prima mattina del 22 luglio partirono e avanzarono alle ore 6:00 verso Palermo su due colonne principali, prevedeva che il capoluogo isolano venisse attaccato su tre differenti direttrici: la 3a Divisione di fanteria proveniente da Lercara Friddi avrebbe attaccato in modo compatto da sud, scontrandosi col presidio di Portella di Mare, nel territorio del comune di Ficarazzi; la 2a Divisione corazzata, a sua volta, proveniente da Alcamo e divisasi invece in due differenti colonne, avrebbe attaccato sia attraverso la strada montana che passava per il presidio di Portella della Paglia, a nord del paese di San Giuseppe Jato, che da Nord-Ovest, passando per i paesi di Partinico e Terrasini, superando il presidio di Portella della Torretta, vicino il paese omonimo (18); l’appuntamento per il ricongiungimento delle tre colonne attaccanti era fissato per le ore 12:00 del 22 luglio in città!

Le portelle attaccate dagli americani il 22 luglio 1943.
Come riporta il generale Emilio Faldella, nel suo fondamentale testo sulle operazioni militari in Sicilia nel 1943…
“La difesa di Palermo, (affidata al generale Molinero, Ndc.) era costituita da: 4 battaglioni costieri, 1 gruppo appiedato di cavalleria, 2 compagnie mitraglieri, 1 compagnia mortai da 81, 4 batterie costiere, 17 batterie controaeree, delle quali 3 a doppio compito contro‑aeree e antinave, il I° gruppo da 100/27 del 25° artiglieria « Assietta ». Il fronte a terra era stato organizzato col criterio di sbarrare le rotabili convergenti sulla città; ogni Portella era presidiata da una compagnia di fanteria con pezzi sciolti d’artiglieria in funzione controcarro. Non appena era giunta notizia dello sbarco nemico autorità e personalità avevano chiesto al generale Molinero, comandante della Difesa Porto « N » (Palermo) i lasciapassare per abbandonare la città. Nella notte sul 20 luglio il prefetto ed il segretario federale partirono da Palermo di nascosto e nella giornata del 20 metà del personale delle batterie controaeree abbandonò il proprio posto. Poiché nella giornata del 21 truppe americane avevano catturato il comando della 208a div. costiera ad Alcamo, il gen. Molinero rinforzò la difesa di Portella della Torretta, sulla strada per Alcamo, con una compagnia di fanteria ed una batteria del 1°/25°art. e fece brillare le interruzioni stradali a “Portella della Torretta” e “Passo Renda”. Alle 4,30 del 22 luglio il colonnello tedesco Mayer, comandante di batterie tedesche controaeree che avevano messo in posizione i loro pezzi da 88 in funzione controcarro, si presentò al Comando Difesa Porto ed assicurò che avrebbe condiviso le sorti del presidio italiano; viceversa, dopo poco, inutilizzati i pezzi, si allontanò dalla città con i suoi dipendenti. Il personale della Capitaneria di Porto si imbarcò per Napoli ed il comandante dell’aeroporto, ad insaputa del generale Molinero, fece incendiare depositi di benzina e bombe. Questi avvenimenti imprevedibili allarmarono la popolazione e depressero lo spirito delle truppe.”(19)
Fin qui il resoconto di Faldella. Ma grazie al lavoro pubblicato da Signorile, adesso, in virtù della testimonianza scritta di uno degli ufficiali in comando nella zona delle operazioni, il Maggiore Ernesto Ipavec, conosciamo l’esatta collocazione e disposizione del sistema difensivo apprestato dagli italiani comandati da Molinero:
1) il comando di gruppo e il reparto munizioni e viveri a Pioppo;
2) la 1a batteria del tenente Millone:
– una sezione agli ordini del sottotenente di complemento Vittorio Boncompagni a Casa Giordano-Case Piccole, alture a ovest di Pioppo, col compito di sbarramento rotabile Partinico-Pioppo-Palermo e carreggiabile Montelepre-Passo Renda;
– un pezzo agli ordini del sottotenente Callegari a Ponte di Sagana (Passo Renda), col compito di azione controcarro sulla rotabile di Partinico;
– un pezzo agli ordini del sottotenente di complemento Sergio Barbadoro nella gola di Portella della Paglia (sbocco posteriore), col compito di azione controcarro sulle provenienze da San Giuseppe Jato;
3) la 2a batteria del tenente in s.p.e. Giovanni Rovella:
– una sezione agli ordini del sottotenente di complemento Giorgio Raffi a Casa Bassano (Portella di Mare) rotabile di Misilmeri, col compito di azione controcarro provenienza da Misilmeri, in appoggio alla già presente 1° batteria del capitano di complemento Giuseppe Squadroni del CCXVIII° gruppo obici Skoda da 100/22;
– una sezione a Gibilrossa col compito controcarro sulla rotabile Misilmeri-Gibilrossa-Palermo;
4) la 3a batteria del tenente di complemento Arnaldo Tomei Albiani Carli, a Portella della Torretta, sulla rotabile Montelepre-Palermo e Torretta-Palermo, con il compito di sbarramento rotabili Montelepre-Palermo e Carini-Torretta-Palermo”… (20)
La mattina del 22 luglio, la 3a Divisione di fanteria americana attaccò per prima, ma solo dopo alcune ore di combattimento riuscì ad impadronirsi alle 13:00 di Portella di Mare, entrando così alla periferia di Palermo.
“Truscott aveva attaccato Portella di Mare alle 09,00 del mattino del 22 luglio e nonostante la forte resistenza opposta a Casa Bassano dal fuoco d’artiglieria della 1° batteria di Squadroni del CCXVIII° gruppo e della 2° di Rovella del I°/25° col supporto delle fanterie della 3° compagnia del capitano di complemento Ugo Calatroni dell’DXXXIX° battaglione costiero (147° reggimento della 208° divisione costiera), che l’aveva bloccato sino all’una del pomeriggio, alle 17,00 era comunque giunto alla periferia sud-est di Palermo… (21)
“Alle 17:00, il gen. Molinero, impiegò la propria riserva, composta dalle compagnie mitraglieri e dal gruppo squadroni appiedato, che erano già stati comandati dal maggiore Mistretta di fungere da estrema resistenza. Questi opposero successive resistenze, riuscendo a ritardare l’avanzata americana fino alle 18:00″… (22).
“Qui (Truscott) aveva dovuto affrontare un ultimo ostacolo, le riserve predisposte dal solito maggiore Mistretta prima che venisse catturato a Portella della Paglia, la 3° compagnia del suo DCCCXXV° costiero agli ordini del capitano di complemento Marcello Vallese, la 4° compagnia motomitraglieri del capitano della riserva Vincenzo Carulli, la 519° mitraglieri G.aF. del capitano di complemento Mario Borgioli (CV° mitraglieri G.aF.) ed il XXX° gruppo squadroni del maggiore di complemento Arturo Rodanò, che ne ritardarono l’avanzata”… (23).

Memoriale a Sergio Barbadoro, Portella della Paglia, luglio 2021.
Lo stesso Maggiore Pond, dell’esercito britannico, confermò che le truppe di Mistretta si opposero agli americani “con una violenta azione di retroguardia” (24). Mentre nella mattinata si sviluppava l’attacco su Portella di Mare, quasi contemporaneamente, alle 9:30 la prima colonna della 2a Divisione corazzata americana si presentò a Portella della Paglia dopo aver attraversato il paese di San Giuseppe Jato, venendo a sua volta attaccata coraggiosamente dalla compagnia comandata dal sottotenente Barbadoro, che col suo pezzo da 100/17 per nove ore, insieme ai suoi soldati e fino all’estremo sacrificio, inchiodava sulla strada il nemico, cadendo eroicamente sul proprio cannone solamente alle ore 18:00, (colpito dal cannone di un cingolato M3 half-track, dopo che la sua posizione era stata circondata dalle fanterie nemiche che avevano scalato le rupi circostanti per aggirarlo) ma non prima di aver lasciato sul terreno insieme alla sua giovane vita ed a quella dei suoi soldati, le carcasse fumanti di ben cinque carri armati M4 Sherman ed un numero imprecisato di camionette nonché di militari americani, (azione che gli valse la medaglia d’argento al valor militare, alla memoria!), sgombrando così a quel punto il passo montano alla colonna corazzata nemica e la via verso Palermo (25). Grazie alla testimonianza del Maggiore Ipavec, adesso sappiamo che l’attacco delle artiglierie italiane proseguì anche dopo il sacrificio di Barbadoro, sparando dalle alture poste sopra il paese di Pioppo in direzione della colonna corazzata statunitense proveniente da Portella della Paglia e diretta a Giacalone, così come sappiamo per certo di almeno un altro carro Sherman messo fuori combattimento. Occupato quest’ultimo borgo, sembra che la resistenza italiana in questo settore sia cessata e da quel momento in poi, dopo aver attraversato il paese di Monreale, sulla città cominciarono ad affluire forze americane, da due direttrici diverse. Alle 19:30 il Comando Difesa Porto N comandato dal Generale Molinero, fu catturato a Palazzo dei Normanni ed ogni resistenza ufficialmente terminò.

Portella Torretta, casamatta.
Stranamente, non esistono notizie precise su quel che avvenne a Portella della Torretta, che pure risultava essere il caposaldo maggiormente rafforzato dal comando italiano dei tre dai quali si accedeva alla città. Al riguardo sembrerebbe che la colonna americana proveniente da Alcamo, lungo la strada provinciale n.1, superati i paesi di Partinico e Montelepre, sia stata bloccata e costretta e tornare sui propri passi, proprio a causa delle interruzioni fatte brillare per ordine del generale Molinero, nonché dalla reazione di un “solitario” pezzo di artiglieria (26). Nelle cartine dell’U.S. Army Center of Military History sull’avanzata militare delle truppe Alleate in Sicilia dal 12 luglio al 17 agosto, é visibile la data del 23 luglio come data dell’occupazione da parte americana di un’area che corrisponde quasi certamente a quella della Portella summenzionata. Ma anche in questo caso, il lavoro di Signorile ci fornisce dei notevoli ragguagli:
…la colonna del C.C.”B” (Combat Command) di Isaac White, mossasi da nord-ovest di Camporeale, dopo aver già incontrato il 22 luglio una notevole resistenza tra Partinico e Terrasini, soprattutto per l’opposizione della 3° batteria del tenente di complemento Carmelo Baglione del CCXVIII° gruppo Skoda da 100/22 e della 518° compagnia mitraglieri di posizione del capitano di complemento Luigi Vegetti del XXII° battaglione mitraglieri G.aF., fu costretta appunto a rallentare anche per la dura opposizione della 3° batteria del tenente Tomei all’incrocio delle rotabili da Montelepre e Carini per Palermo e della 4° compagnia del capitano di complemento Camillo Gatti dell’DCCCXXV° battaglione costiero, fatta anche di tratti di strada saltati in aria, di mine anticarro nascoste e di blocchi stradali, che la costrinsero ad arrivare sull’obiettivo solo intorno alle 11,00 di quel giorno. A conferma del fatto che l’ultima resistenza organizzata di Palermo cessò solo il 23 luglio e fu quella del tenente Tomei e del capitano Gatti c’è l’evidenza che sia il primo che il secondo risultano essere stati catturati e fatti prigionieri quel giorno stesso, il primo a Montelepre, il secondo proprio a Portella della Torretta, come da loro dichiarazioni rilasciate alla Commissione post prigionia. (27)
Tali scontri armati non sono mai stati ricordati ufficialmente né dalle cosiddette istituzioni ufficiali né dai cosiddetti storici professionisti, vuoi perché la città in quel frangente era quasi deserta, sia perché avvenuti fuori dal perimetro urbano vero e proprio, ma anche (e forse soprattutto!) in omaggio alla versione di comodo riportata da vincitori bugiardi e tramandata in modo interessato da ossequiosi storiografi compiacenti e autorità servili. Ma di sicuro, checché ci abbiano raccontato, resta il fatto che storicamente Palermo cadde in mano agli americani la sera del 22 luglio 1943 …SOLO DOPO CHE GLI ITALIANI AVEVANO COMBATTUTO E VERSATO IL PROPRIO SANGUE PER DIFENDERE LA PATRIA FASCISTA DALL’INVASORE ANGLO-AMERICANO!
Noi fascisti de “IlCovo” ben comprendiamo il senso del loro eroismo e siamo onorati di ricordarli, grati per il loro prezioso sacrificio, che rappresenta un esempio positivo di imperituro e incondizionato amore per la nostra Civiltà, degno di essere tramandato di generazione in generazione !
IlCovo

78° anniv. Portella della Paglia – l’omaggio de “IlCovo”. Luglio 2021
NOTE
1) In Ezio Costanzo, Sicilia 1943, Breve Storia dello sbarco alleato, Catania, 2003, p.218.
2) Alberto Santoni, Le operazioni in Sicilia e Calabria (Luglio-Settembre 1943), a cura dello Stato Maggiore Esercito, Roma, 1989, p. 318.
3) Albert N. Garland, Howard McGaw Smith, Martin Blumenson; “Sicily and the surrender of Italy”, Center of military history of United States Army, Washinghton D.C., prima edizione 1965, p. 254. Nella relazione a cura dell’ U.S. Army Center of Military History viene inoltre specificato che… “The Seventh Army met little opposition during its sweep through western Sicily. Guzzoni had recalled the 15th Panzer Grenadier Division to central Sicily soon after the invasion, and the only troops left in the western portion of the island were Italians who, for the most part, showed little inclination to fight. While General Bradley’s II Corps pushed north to cut the island in two east of Palermo, Patton organized the 2d Armored, 82d Airborne, and 3d Infantry Divisions into a provisional corps under Maj. Gen. Geoffrey Keyes and sent it on a 100-mile dash to the Sicilian capital. Palermo fell in only seventy-two hours, and by 24 July the Seventh Army had taken control of the entire western half of the island, capturing 53,000 dispirited Italian soldiers and 400 vehicles at the loss of 272 men.” Il testo è consultabile al seguente indirizzo: http://www.history.army.mil/brochures/72-16/72-16.htm
4) Ecco quanto riporta al riguardo la testimonianza del diario di Luigi Tumminello, abitante della borgata di Cardillo, periferia nord di Palermo, alla data del 23 luglio 1943: “Nella villa del conte Amari e precisamente nella tenuta chiamata Bonocore gli americani hanno fatto un cimitero di guerra per il seppellimento dei loro Caduti. Questa mattina la messa in Villa Amari è stata celebrata da un prete americano e sono intervenuti anche soldati americani”. Il testo è consultabile al seguente indirizzo: http://www.sergiolepri.it/23-luglio-1943/
5) Alberto Santoni, Op.cit., p.318
6) Emilio Faldella, Lo sbarco e la difesa della Sicilia, Roma, 1956, p.304.
7) Alessandro Bellomo, 1943, Il martirio di un’isola – La guerra aerea sulla Sicilia nei diari Usaaf, Raf, Regia Aeronautica e Luftwaffe, Genova, 2011, pp. 133-137.
8) H.O. Dovey, The unknown war: Security in Italy 1943–45, in “Intelligence and National Security”, volume 3, Issue 2 April 1988, pp. 285-311.
9) Alessandro Bellomo, Op.cit., p. 315-329.
10) Per una panoramica esaustiva sulle stragi commesse in Sicilia durante la campagna militare del luglio-agosto 1943, Giovanni Bartolone, Le altre stragi – le stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1943-1944, Bagheria, 2005. Anche noi, come associazione culturale “IlCovo”, ci siamo occupati dei crimini di guerra perpetrati dalle truppe Alleate in Sicilia, realizzando una raccolta di tutti gli episodi conosciuti sino ad oggi, inseriti in un’apposita discussione nel nostro forum, intitolata “Sicilia 1943: crimini e stragi compiute dagli americani”, consultabile al seguente indirizzo web:
http://ilcovo.mastertopforum.net/1-vt62.html?postdays=0&postorder=asc&start=0
11) Giuseppe Casarrubea, Mario Josè Cereghino, Operazione Husky – guerra psicologica e intelligence nei documenti segreti inglesi e americani sullo sbarco in Sicilia, Roma, 2013.
12) Il primo ad occuparsi dei prigionieri italiani utilizzati come scudi umani dai soldati americani durante la campagna di Sicilia del 1943 è stato il ricercatore gelese Nuccio Mulé, i cui articoli sono stati ripresi dal ricercatore Ezio Costanzo, che sul tema ha pubblicato, a sua volta, un articolo sul quotidiano “La Repubblica” del 23 luglio 2011 intitolato “I segreti dello sbarco – soldati siciliani scudi umani dei marines” (qui). Successivamente alla pubblicazione di tali fatti, il professor Mulè mi ha personalmente riferito di aver ricevuto una lettera scritta dal figlio di un reduce siciliano, il sig. Pietro Mirabile, il quale scriveva che il padre, ormai defunto, tutte le volte che parlava dello “Sbarco” gli spuntavano le lacrime per la rabbia ed il disprezzo che provava per gli invasori. Egli aveva fatto la guerra da richiamato ed era sergente maggiore del 18° Comando Brigata Artiglieria Costiera, il 10 Luglio del ‘43 si trovava tra Palma di Montechiaro e Licata. Raccontava che nella primavera di quell’anno c’erano stati avvicendamenti nella linea di comando degli Ufficiali superiori, e raccontava sempre che tutta la batteria aveva ricevuto l’ordine di non togliere le cappotte ai cannoni quella notte. Preso prigioniero dagli americani, lo avevano usato come scudo umano fino quasi a Leonforte dove c’erano le retrovie tedesche. Un’altra testimonianza di tale indegna pratica attuata dai soldati statunitensi è presente nell’articolo del ricercatore Francesco Paolo Calvaruso dedicato alla figura di Sergio Barbadoro (vedere nota 25 del presente articolo), alla nota numero 60 del suo scritto. Infine, Francesco Signorile, nel suo lavoro “Sotto il sole di Sicilia noi combattemmo” (vedere nota 20 del presente articolo), porta ulteriori prove a sostegno di tale accusa.
13) Hugh Pond, Sicilia!, Milano, 1962, p. 286.
14) Ezio Costanzo, Sicilia 1943, Op.cit., p. 143; dello stesso tenore pedissequamente acritico risulta persino la relazione dello Stato Maggiore Esercito curata da Alberto Santoni, Op.cit., pp. 317-318. Peggiore di tutti, poi, risulta essere al riguardo il contenuto della voce dedicata allo “Sbarco in Sicilia” della cosiddetta “enciclopedia libera”, alias “Wikipedia”, che in proposito scrive testualmente: “Dopo aver occupato Corleone, fin dalla mattina del 22 luglio 1943 le avanguardie della 3ª Divisione di fanteria raggiunsero la periferia di Palermo che appariva praticamente indifesa, a parte alcune demolizioni in corso nell’area del porto; alcune ore più tardi arrivarono anche i reparti meccanizzati della 2ª Divisione corazzata. Le difese italiane erano affidate al generale Giuseppe Molinero che tuttavia non era intenzionato a tenere la città: la popolazione appariva favorevole agli Alleati e una delegazione di autorità locali si recò al comando dei reparti americani d’avanguardia per trattare la resa. Nella giornata del 22 luglio alcune unità della 3ª Divisione fanteria e i carri armati del Combat Command A della 2ª Divisione corazzata del generale Gaffey entrarono a Palermo praticamente senza trovare opposizione; in mezzo alla popolazione festante, i mezzi corazzati americani presero rapidamente il controllo della situazione: il generale Molinero fu catturato e portato alla presenza del generale Keyes, che accettò la resa e poco dopo entrò in città insieme al generale italiano e si recò alle ore 19:00 nel Palazzo reale di Palermo”.
15) “Uno dei più efficaci provvedimenti mafiosi fu quello di minacciare pesantemente i militari siciliani di stanza nella loro regione. Venne “caldamente consigliata” la diserzione e il sabotaggio per evitare conseguenze spiacevoli per loro e le loro famiglie.” Cfr. Andrea Cionci, “La vera storia dello sbarco in Sicilia”, La Stampa, 24 febbraio 2017, (qui); “Franco Grasso, oggi novantenne, era un militante del Fronte nazionale di liberazione che trascorreva quegli anni tra il confino e l’attività clandestina. “Il 22 luglio” ricorda “mi trovavo a Lercara Friddi. In sella a un cavallo giravo tutti i paesi della zona per sensibilizzare la gente a non intralciare l’avanzata alleata. Mentre procedevo con prudenza tra le bombe abbandonate dai tedeschi, il cavallo all’improvviso si è imbizzarrito. Il tempo di chiedermi cosa stesse succedendo e scrutai in lontananza i carri armati che avanzavano. Feci cenni di pace e per fortuna non spararono. Ma per qualche attimo mi ero sentito morto”. Cfr. Tano Gullo, “E dopo i bombardieri arrivarono gli Alleati“, La Repubblica, 10 aprile 2003, (qui).
16) Alessandro Bellomo, Op.cit., p.135.
17) A. Santoni, Op.cit., pp. 320-321.
18) Emilio Faldella, Op.cit., p. 225.
19) Idem, p.228.
20) Francesco Signorile, “Sotto il sole di Sicilia noi combattemmo”, vedere articolo presente sul blog “Il forcone del diavolo”: http://ilforconedeldiavolo.blogspot.com/2016/07/sotto-il-sole-di-sicilia-noi-combattemmo.html
21) Idem.
22) Emilio Faldella, Op. cit., p. 229.
23) Francesco Signorile, Op. cit.
24) Hugh Pond, Op.cit., p.287.
25) Francesco Paolo Calvaruso, Sergio Barbadoro: un eroe dimenticato, in Rassegna siciliana di Storia e Cultura n°19, a cura dell’Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici; il testo è consultabile al seguente indirizzo: http://www.isspe.it/news/45-numeri-rassegna-siciliana/rassegna-siciliana-di-storia-e-cultura-n-19/159-sergio-barbadoro-un-eroe-dimenticato-di-francesco-paolo-calvaruso.html
26) Nel mese di agosto 2016 mi sono personalmente recato nel paese di Torretta per raccogliere possibili testimonianze sui fatti summenzionati. Alcuni anziani, all’epoca dei fatti bambini, o poco più che adolescenti, mi hanno confermato che la colonna degli americani provenienti da Montelepre, non poté passare perché la strada era stata resa impraticabile dagli sbarramenti e per “il tiro di un cannone”, che nei ricordi della gente si dice fosse manovrato da “un solitario soldato tedesco”. Pertanto questa era stata costretta a tornare indietro e prendere la strada che passando dal paese di Carini portava a quello di Torretta. Ovviamente si tratta di ricordi non molto precisi, dubito infatti che ad aprire il fuoco vi fossero ancora in loco i soldati tedeschi della locale batteria contraerea, in quanto il comandante Mayer aveva già ordinato in precedenza lo sgombero. E’ più probabile, invece, che si sia trattato proprio del presidio italiano stanziato alla Portella, fatto che, unito al ricordo del funzionamento degli sbarramenti, coinciderebbe perfettamente con la testimonianza riportata nel suo libro dal Generale Faldella.
27) Francesco Signorile, Op. cit.