Lascia un commento

AUTORITA’ E GERARCHIA NELLO STATO FASCISTA!

Autorità e Gerarchia nel Fascismo - Biblioteca del Covo

“La gerarchia fascista è fondata tecnicamente sull’ordine e sulla disciplina e spiritualmente sulla fede e sul consenso del popolo… la gerarchia fascista è sostanzialmente democratica, nel senso che tutto il sistema fascista deve necessariamente basarsi sul consenso del popolo”.

Non intendiamo soffermarci a lungo nell’esposizione dell’essenza dello Stato Fascista (qui). Vogliamo, invece, soltanto mettere in rilievo i lati spirituali dell’essenza dello Stato attinenti soprattutto al sistema autoritario e gerarchico affermatosi con il Fascismo. Per individuare questa essenza autoritaria e gerarchica dello Stato Fascista bisogna partire dall’esame della dichiarazione prima della Carta del Lavoro: 

“La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. E’ una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato Fascista”.

Il Fascismo concepisce, dunque, la Nazione non come una nuda esistenza naturale, bensì come una realtà morale che viene creata dagli uomini, giorno per giorno, con il loro continuo, indefesso lavoro. Un popolo si erge a Nazione, se sente profondamente la propria storia e lavora sempre per edificare la Patria; se crea la volontà attiva e dinamica indirizzata costantemente al raggiungimento degli ideali comuni. La Nazione, nella concezione fascista, non è geografia o storia o fatto compiuto o interesse contingente della collettività, ma missione, sacrificio, programma sempre da compiere. L’unità nazionale non esiste in un tempo determinato, ma ha le sue radici nel passato e nel presente e si protende orgogliosamente verso l’avvenire; la Nazione è l’unità riassuntiva della serie indefinita delle generazioni. La Nazione è un’anima, una persona, una volontà possente, consapevole dei suoi fini, che non sono quelli di ciascun cittadino particolare, né tanto meno della massa o somma totale degli individui viventi nel suo territorio, ma sono esclusivi ed indivisibili. A creare la Nazione concorrono il divino, la morale, la forza intima dell’evoluzione organica, la volontà del popolo. La Nazione ha una volontà, un’anima, un modo di essere ed una passione nel mondo.

NAZIONE E STATO

La morale individuale non basta a sé stessa, ma raggiunge il suo perfezionamento nella vita comune, la cui forma superiore è data dalla Nazione. Nella Nazione si realizzano le aspirazioni politiche del popolo attraverso lo Stato. Al concetto dello Stato concepito come l’insieme degli individui il Fascismo ha opposto l’idea dello Stato-Nazione, ossia dello Stato come volontà e persona, cosciente dei propri fini e dei propri mezzi e tesa nell’affermazione nel mondo della propria autonomia come centro di attività consapevoli, essenzialmente morali, ispirate ad un santo ideale. Lo Stato-Nazione è al disopra degli interessi particolari e trascina l’individuo a sentire come suo l’interesse generale ed a volere come volontà generale. Lo Stato è anche sostanza etica e come tale è la base dell’individualità e personalità umane, è la coscienza di ogni cittadino che si realizza internamente come coscienza nazionale che trova nell’attività politica e nella forma giuridica la sua dinamica concretezza. A creare lo Stato concorrono, nella serie successiva degli avvenimenti della storia, il divino, la filosofia, la forza organica, la volontà del popolo. Lo Stato è un organismo speciale, che non è l’assieme dei cittadini che in esso vivono, perché ha bisogni ed interessi che non sono quelli dei singoli e perché ha una volontà, un’anima, un modo di essere ed una posizione nel mondo. Lo Stato è una istituzione risolventesi né in una pluralità di individui, né in una lunga serie di rapporti intercedenti fra gli individui. Esso ha una struttura che assorbe tutti gli elementi che lo compongono; è una unità ferma e permanente; ha una esistenza tutta a sé, in modo che non può perdere la sua identità. Lo Stato è l’individualità di un popolo capace di sentire se stesso nella propria continuità e nell’opposizione con gli altri popoli; nella coscienza dello Stato-Nazione sono egualmente vivi i morti e i non nati, coloro che iniziarono la sua storia e quelli che la compiranno. Mentre lo Stato Liberale non si è preoccupato del problema del lavoro ritenendo questo come una prestazione volontaria del cittadino e disinteressandosi dello sviluppo enorme che esso andava assumendo e del pericolo politico rappresentato dalle Associazioni che andavano sorgendo, lo Stato Fascista ha affrontato appieno il problema sociale non con la lotta, bensì assorbendo nel proprio seno ed elevando a propri organi le Associazioni dei produttori. Il sindacalismo ribellista e così sboccato nel corporativismo collaborazionista e lo Stato Fascista ha assunto a principio essenziale della sua vita la corporatività: può così parlarsi di Stato Fascista Corporativo. Lo Stato Fascista Corporativo, Ente morale, economico e giuridico che non ammette contro di sé altre forze pari o limitatrici, con il ricomporre i disgiunti elementi sindacali nell’unità corporativa, ha superata ogni antitesi di classe, dovendosi subordinare ogni questione economica alle esigenze supreme della Nazione, ed ha provveduto alla tutela della solidarietà sociale ed all’assistenza delle varie categorie produttive. All’uopo si va creando un originale ordinamento che, basato sul potere sovrano, intelligente e onniveggente dello Stato Fascista, trova nelle Corporazioni gli organi di unità, di difesa e di sviluppo delle forze spirituali ed economiche del popolo italiano. Questo principio corporativo ha influenze decisive anche nel campo squisitamente costituzionale poiché impone il concetto della partecipazione dei cittadini-produttori al potere politico dello Stato in diretto rapporto al concreto contributo che si porta al corpo sociale. Le categorie professionali debbono intervenire alle attività politiche secondo l’importanza delle loro funzioni economiche nello Stato e le persone singole debbono intervenire in tante categorie quante sono le funzioni economiche che espletano nello Stato. Gli individui vanno fatti compartecipi alla vita politica proporzionalmente alla loro importanza intellettuale ed economica nella vita dello Stato. Si avrà, così, uno Stato forte, lo Stato Unitario, che ha una sola volontà e che, grazie al principio corporativo, ha tutte le attività e gli interessi ben controllati ed indirizzati al supremo bene della Nazione. Questa corporatività dello Stato Fascista precisa ancora meglio l’eterno concetto che lo Stato è anche ordinamento giuridico e che pertanto lo Stato Fascista, come tale, ha un’essenza speciale che può essere individuata nel principio autoritario.

ESSENZA AUTORITARIA DELLO STATO FASCISTA.

Chi rappresenta e sintetizza la coscienza di tutto il popolo è lo Stato, il quale, nella concezione fascista, è l’unico creatore del diritto, nella sua manifestazione concreta di fatto ovvero di evento. Lo Stato manifesta la sua volontà ed agisce a mezzo del diritto, espressione della vita, delle forze e delle idealità dello Stato. A differenza, però della concezione liberale, come già abbiamo rilevato, secondo la quale fine supremo dello Stato è la creazione del diritto, secondo il Fascismo il diritto è l’espressione della volontà dello Stato, è il mezzo con il quale lo Stato mantiene la coesione fra le varie forze sociali e attua i propri fini. Il Fascismo supera l’anarchica concezione della pluralità degli ordinamenti giuridici secondo la quale ogni unione di più uomini, per qualsiasi scopo associati, possa creare il diritto. Il Fascismo riporta in auge il principio classico dell’assoluta statalità del diritto, poiché ritiene che soltanto un ente essenzialmente etico e completamente sovrano com’è lo Stato, abbia la spiritualità e la forza necessarie per creare il diritto con le sue inconfondibili caratteristiche di superiore moralità e di possibilità piena di coazione. Qualità necessaria, indispensabile del diritto è, dunque, la statalità. Ciò, però, non importa, come si sosteneva sostanzialmente dalla concezione liberale che il potere legislativo debba essere esercitato da un solo organo. Secondo il Fascismo, invece, la funzione legislativa viene svolta da vari organi statali, in base al rispetto di ben fissate formalità. Dunque non pluralità di ordinamenti giuridici, ma nemmeno unicità di organo legislativo. Bensì un solo ordinamento giuridico, quello statale, e più organi statali preposti all’emanazione del diritto. Il diritto risiede nella corrispondenza fra le esistenti forme istituzionali ed i complessi bisogni di quel determinato popolo in quel determinato momento storico. Il diritto è il prodotto spontaneo ed organico dell’evoluzione sociale e dei vari elementi di cultura che si accumulano lentamente presso i singoli popoli. Il diritto interpreta lo spirito popolare, sia nel suo contenuto puramente ideale, sia nella sua tensione verso lo sforzo, la lotta, il progresso, la conquista. Il diritto, che è un ordine coercibile dell’attività umana, è fondamentalmente fondato sulla giustizia, in quanto questa e in modo indissolubile legata allo spirito popolare attraverso il principio trascendentale della socievolezza umana. Il diritto, in quanto fondato sulla giustizia, principio essenzialmente etico, non rappresenta un ordine condizionale, ma un ordine assoluto che ha nella sua trascendentale immanenza il proprio fine e trova nella morale le sue vere origini. Lo Stato, unico creatore del diritto, presenta il massimo di unità di fronte a tutti gli altri aggruppamenti. Lo Stato mira a diffondere e far valere nel mondo i principi etici e di civiltà che esso incarna, adempiendo cosi alla propria missione storica. Nello Stato l’ordinamento giuridico è collegato con l’ordinamento del potere. Il diritto è il volere dello Stato e proviene dai vari organi statali. Il volere generale, ossia il diritto, è il volere stesso dei singoli individui nella loro essenza sociale, volere concepito nel suo valore universale e nello stesso tempo concreto, volere che è prima etica e poi diritto ancora prima di concretizzarsi in norme concrete regolanti atti esterni. Infatti la volontà umana, concretatasi nel diritto, non può essere concepita astrattamente nella sua nuda forma esteriore di puro meccanismo di formule e comandi indifferenti, di semplice tecnicismo di costruzioni, bensì dev’essere precisata come la regola generale di condotta, ispirata al principio universale di coordinazione. Tale regola raggiunge la sua piena armonia sociale solo per mezzo degli ideali etici della giustizia coordinatrice. L’ordinamento giuridico risulta, dunque, dall’insieme degli elementi psichici, i quali inducono gli uomini al credere in determinate “verità” e ad accettare, di conseguenza, certe norme comuni di condotta. I bisogni, i sentimenti, le idee, gli atti volitivi degli uomini possono svilupparsi ed armonizzarsi nello Stato a mezzo dell’ordinamento giuridico. Queste idee e questi atti hanno carattere propulsivo e regolatore nel guidare l’attività sociale, presiedendo altresì, ai generali criteri disciplinatori della coordinazione e reciproca subordinazione degli individui. Si ha, così, una comune unità, spontanea, impulsiva, dettata da una comune “credenza”. Questa “credenza” è frutto, più che di elaborati ragionamenti logici ed esaurienti dimostrazioni dialettiche, di una quasi spontanea opinione, di un profondo convincimento, affermatosi rigoglioso nelle coscienze degli individui, direttamente connesso con il loro carattere ed il loro modo di pensare e sentire. Questa “credenza” è fondata sulla coscienza umana che è personale e sociale, è essere e divenire. Si ha un processo di convincimento spontaneo; si afferma nelle coscienze una “credenza”, senza bisogno di discussione, la quale ha la forza della fede e forma le idealità collettive che rappresentano la fusione delle coscienze individuali, la sintesi di tutte le aspirazioni. Queste idealità sociali, che sono la sintesi dei sentimenti della personalità, della coordinazione e della reciproca conseguente subordinazione, non sono formazioni stabili, ma in continuo dinamico movimento, trovando la loro base di formazione nel “potere politico” dello Stato e la loro estrinsecazione nella funzione legislativa statale attraverso l’ordinamento giuridico. La norma giuridica deve, dunque, armonizzarsi con la vita, riflettendone le idealità. Ed eccoci alla formazione tecnica della norma giuridica, compito questo degli organi della funzione legislativa, chiamati ad ordinare i vari rapporti, le varie tendenze, le varie aspirazioni, i vari ideali, i vari stati di cultura, le varie categorie economiche, ispirandosi all’indirizzo politico dello Stato dettato dal potere politico. Questo indirizzo politico si basa soprattutto sul principio corporativo, dal quale sostanzialmente dipendono l’etica e l’economia fascista e al quale si ispira tutta l’azione dello Stato Fascista, fondata pertanto su di un sistema organico-gerarchico. Gli organi della funzione legislativa sono, quindi, chiamati a ricercare i rapporti da regolare e ad elaborare le varie norme trasformandole in leggi. Nella formazione della legge ha per tanto assoluta prevalenza la “capacità” oltre che la perfetta comprensione spirituale di coloro che detengono sia il potere politico che la funzione legislativa. Questa “capacità” deve essere “individuale”, ossia dettata dal valore dell’individuo e dalle sue attitudini e possibilità a comprendere le tendenze e le aspirazioni umane, e “sociale”, cioè dettata dal valore che lo Stato sa dare all’indirizzo politico. La capacità presuppone quindi “autorità”. Questa “autorità” viene determinata da idee e sentimenti di superiorità, da credenze in forze di ordine superiore, da necessità di convivenza, da abitudini di disciplina e ubbidienza. Eccoci così alla logica assoluta preminenza del potere politico su tutte le altre funzioni dello Stato. A questo punto è bene chiarire che l’interferenza del “potere politico” sulla “funzione legislativa” va considerata non come sostitutiva bensì essenzialmente come ispirativa e correttiva, non potendo detta funzione legislativa essere ridotta ad un semplice settore di tecnica esecuzione della suprema volontà del potere politico; gli organi statali nell’esplicazione della funzione legislativa rappresentano, quindi, soprattutto, la volontà, i sentimenti, le aspirazioni del popolo, pur dovendo, sempre, detti organi, ispirarsi, nell’emanazione della legge, all’indirizzo politico dettato dai supremi organi del “potere politico”. I componenti del “potere politico” sono la personificazione dello Stato, la realtà statale. Essi, con il sussidio della psicologia sociale, debbono ricercare le aspirazioni della coscienza generale, appunto per creare quello stato d’animo favorevole della collettività, quella credenza necessaria per ogni istituzione politica e quindi giuridica; debbono sapere costituire la coscienza giuridica dello Stato. Ora, chi impersona questo “potere politico” o meglio chi impersona questa coscienza giuridica statale, chi dà le direttive per la concretizzazione come fatto e come evento della volontà dello Stato? Secondo gli enciclopedisti la volontà statale nascerebbe da un libero contratto liberamente stipulato fra tutti i componenti della società, contratto non soltanto voluto dai singoli, ma imposto ad ognuno da ineluttabili necessità materiali: i principi ineluttabili delle armonie naturali dominerebbero ogni gruppo sociale ed imporrebbero questi contratti sociali fondati sulle varie necessità e sui bisogni adattati nel tempo e nel luogo. Ma questa concezione enciclopedica non convince non solo e non tanto perché è difficilmente concepibile che un contratto possa creare un supremo Ente creatore e regolatore della personalità e della volontà statale e del diritto, ma anche e soprattutto perché non indica i modi e i mezzi per la libera stipulazione di detto contratto sociale né detta indirizzi e sistemi definitivi per la scelta degli interpreti supremi della volontà dei singoli cittadini stipulanti. Sono più di cento anni che questo sistema contrattualistico — che peraltro trova raffronti e attuazioni, sia pure incompleti, anche in tempi lontani e in paesi i più vari — ha trovato le concretizzazioni più perfette possibili in quanto direttamente ispirate ai principi contrattualistici e tecnicamente attrezzate nei sensi voluti dai teorizzatori enciclopedisti, eppure i fini raggiunti sono tutt’altro che soddisfacenti e le crepe che si rivelano dappertutto ne dimostrano ad abundantiam le incompletezze e la inconsistenza.

Autorità e Gerarchia nel Fascismo - Biblioteca del CovoQuali sono le ragioni della incompletezza ed insufficienza delle concezioni contrattualistiche dello Stato e del diritto? Esse sono profonde e portano senz’altro nell’intima essenza dell’uomo. Queste dottrine mancano proprio lì dove esse credono di trovare il proprio sostegno e la propria base granitica. Invece di essere fondate sulle armonie naturali, esse sono contro la parte più spirituale della natura umana. Può anche essere ammesso il concetto di una libera associazione di uomini fondata sul contratto sociale; può anche essere ammesso, per ipotesi, un gruppo sociale nel quale i singoli componenti abbiano stipulato un accordo in base al quale siano riusciti ad ottenere il massimo possibile di libertà personale. Basterà questo alla natura degli uomini? Noi riteniamo per fermo di no. Oltre che verso la libertà l’anima umana anela anche verso la fede; la storia di tutti i tempi e di tutti i popoli ce lo insegna. Questa fede non si concretizza soltanto nella fede religiosa, ma si estrinseca altresì nell’amore per la propria famiglia e per il proprio lavoro, si manifesta nell’amore per lo Stato e nella fiducia transcendentale in esseri umani superiori che sanno fare vibrare le più intime corde dell’anima umana e sanno costituire un capace, autoritario potere politico. Questa tendenza non è da schiavi, bensì è un’aspirazione ideale verso l’ascetismo ed il superamento di se stessi. Ed eccoci alla libera naturale adesione di tutti i componenti del gruppo Sociale alla volontà degli incarnatori del “potere politico” che riescano a sollevare l’anima umana verso le supreme vette spirituali distaccandola dai concetti materialistici. Le cosiddette « armonie naturali » impongono fatalmente queste situazioni sociali di superamenti spirituali. Vi sono i periodi più o meno lunghi nei quali la carne domina lo spirito, la materia si impone all’anima, ed allora si affermano le concezioni contrattualiste e gli uomini si affannano disperatamente per creare norme giuridiche e quindi Istituti, che, senza un generale nesso connettivo morale, consentano il massimo benessere individuale con il minimo sacrificio fisico possibile. Poi questi periodi materialistici sono superati; gli uomini sentono la vacuità dei beni materiali e tendono disperatamente in alto, chiedendo a Dio il pane spirituale per le loro anime. Ed allora da alcuni uomini scaturisce come un fluido che li sopraeleva, nella conoscenza ed estimazione della collettività, in un alone di forza, di attrazione e di obbedienza. Questi uomini sanno esprimere in modo perfetto e inarrivabile le comuni credenze, i comuni modi di pensare e sentire: essi sono come le voci vere della coscienza collettiva. Allora vediamo i popoli, nauseati da un periodo più o meno o lungo di materialismo, tendere verso mete spirituali ed essere presi appieno dalla riverberazione etica e spirituale di questi esseri eletti, i quali creano nei popoli un superiore spirito di proselitismo e devozione. E questo spirito li innalza in concezioni ideali distaccandoli nettamente dai beni materiali della vita. Mentre la suprema tendenza contrattualistica, l’ideale enciclopedico, è il raggiungimento dello « stato di natura », che rende — checché si possa sostenere in contrario — l’uomo schiavo delle forze fisiche della natura, invece l’ideale della concezione autoritaria dello Stato è il superamento dell’uomo, il suo dominio sulle forze fisiche della natura, il suo compenetramento nello spirito divino, attraverso l’obbedienza e la devozione verso l’eletto, che interpreta per il popolo l’anima e la volontà di Dio. I periodi degli esseri eletti, incarnatori del potere politico, guardati ed ubbiditi dagli uomini con il fervore della fede e con una soggezione che è più vicina alla devozione che all’ubbidienza, sono fatali nella storia dei popoli e segnano ineluttabilmente, checché possa affermarsi in contrario, i periodi aurei, di splendore, i periodi che vengono tramandati dalla storia e fissati nella pietra come epoche eroiche che indicano il continuo progredire e perfezionarsi dei popoli e degli Stati. Oggi, appunto, l’Italia Fascista, offre un esempio meraviglioso, solare di questa verità: la divina potenza del Duce che si impone ad ogni anima ed ogni intelletto. Gli italiani sentono profondamente che il Duce interpreta il loro pensieri, i loro sentimenti, le loro aspirazioni. E’ la volontà, è il pensiero del Duce che dettano all’Italia ed al mondo i fini rinnovatori e universali del Fascismo, creatore di un nuovo diritto: l’eterno diritto di Roma. Precisati questi concetti che fissano e giustificano l’inizio degli Stati Autoritari, con particolare riguardo allo Stato Fascista Corporativo, dobbiamo precisare che proprio nel periodo iniziale occorre fissare le norme costituzionali che consentano vita duratura alla nuova forma statale. Partendo dalla premessa che occorre superare il materialismo elezionistico delle concezioni liberali, ma tenendo anche conto che in genere gli esseri eletti non si succedono senza soluzioni di continuità ma si presentano nella storia a distanza di secoli, bisogna fissare una Costituzione e creare delle leggi che diano vita ad un sistema statale autoritario e gerarchico, cioè fondato sulla forza coattiva degli organi legiferanti e sulla perfetta precisazione delle competenze e dei reciproci rapporti dei vari organi fra di loro e nei riguardi del popolo: il tutto coordinato e guidato dai sovrani organi del “potere politico”. Potrà così sul serio affermarsi che lo Stato Fascista Corporativo, attua appieno il concetto dell’autogoverno del popolo attraverso il principio corporativo; ossia detto Stato consente che tutte le istituzioni statali siano realizzate dalle varie categorie dei cittadini-produttori, rispondendo da una parte alle aspirazioni, idee e interessi del popolo e attuando dall’altra un sistema selettivo gerarchico per cui i supremi dirigenti dello Stato, che si enucleano dal seno del popolo, siano in grado di conoscerne i desideri e di saperne attuare il benessere. Da questa nostra premessa riesce appieno comprensibile il concetto ispiratore della legislazione che va creando il Fascismo in tutti i campi dell’attività umana, legislazione ispirata a sani concetti sociali i quali tengono stretto conto delle necessità e dei desideri del popolo, legislazione basata su di una perfetta scala gerarchica fra i vari organi dello Stato emanatore del diritto.

LA GERARCHIA FASCISTA.

Anzitutto abbiamo la gerarchia delle fonti del diritto. Ma non di sola gerarchia agli effetti del diritto deve parlarsi a proposito degli organi statali, bensì tutta l’attività statale va, grazie al Fascismo vivificatore, gerarchizzandosi. Lo Stato Autoritario, mentre mira a rivalutare appieno le supreme autorità statali sganciandole dell’influsso di assemblee numerose irresponsabili e sottoposte alla possibilità di pressioni deleterie, intende organizzare un sistema gerarchico perfetto fondato sulla responsabilità degli organi inferiori nei confronti degli organi superiori, sul controllo degli organi superiori su quelli inferiori e sul consenso effettivo del popolo. Si tratta di un sistema gerarchico democratico cioè di una scala di posti gerarchici non riservati a categorie speciali o caste precostituite, bensì aperte liberamente a tutto il popolo. Certo ogni inizio porta inesorabilmente con sé molte scorie e incrostazioni del vicino passato. Così, specie sul campo economico, ancora può parlarsi di due specie di gerarchie: quelle di diritto e quelle di fatto; e può affermarsi come il sistema corporativo, sebbene sia sulla buona strada e abbia fatto passi veramente giganteschi, ancora non sia riuscito del tutto ad attuare il concetto gerarchico fascista del dominio della politica sull’economia. A ciò deve aggiungersi che ogni inizio di nuovi sistemi costituzionali offre infinite possibilità di errori e storture, specie, poi, quando si tratti di sistemi come quelli autoritari che, per essere sostanzialmente antielettivi, hanno in se stessi il pericolo di sboccare nell’abolizione di ogni controllo dal basso, con l’accontentarsi esclusivamente del generale consenso del popolo, ottenuto “a priori” una volta tanto, senza alcuna conferma a “posteriori”. Già nei precedenti capitoli ci siamo occupati delle sostanziali garanzie sulle quali basare ogni scelta di gerarchi nonché dei continui controlli dall’alto e delle possibilità periodiche da parte del popolo di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso sull’attività dei più importanti organi lello Stato; qui vogliamo soltanto ribadire ancora una volta il principio che lo Stato Autoritario Fascista — fondato soprattutto sulla grande conquista moderna della certezza del diritto e perfetta conoscenza del dovere — deve offrire ad ogni cittadino piena possibilità di tutela contro ogni atto arbitrario da parte dei gerarchi preposti ai vari organi ed enti statali. Quindi precisatasi ormai la struttura costituzionale fascista, fondata essenzialmente sui salutari principi dell’autorità e della gerarchia, due problemi — che sembrano soltanto pratici ma che hanno una fondamentale importanza sull’effettiva riuscita di tutto il sistema ideologico — si presentano al Regime Fascista per una soluzione benefica: il sistema di scelta dei gerarchi e i modi di manifestazione del consenso da parte del popolo. Pur dovendo necessariamente riconoscere che si sono verificati errori non lievi e storture, possiamo con soddisfazione e fede affermare che il Fascismo sta sul serio affrontando questi problemi e non è lontano il giorno in cui si potrà affermare che la nuova struttura costituzionale creata dal Regime Fascista risolva appieno i predetti due imperativi. Sulla soluzione che sarà data al problema del consenso del popolo e del controllo dal basso ci siamo già, sia pure brevemente, soffermati nei capitoli dedicati alla forma costituzionale generica di Stati Autoritari. Nel successivo capitolo di questo libro ci occuperemo, invece, delle manifestazioni concrete del sistema gerarchico fascista.

(estratto da “Principi di Diritto Fascista – AUTORITA’ E GERARCHIA”, Roma, 1940, Edizioni “Il Diritto Fascista”, pp. 69 – 83)

IlCovo

 

Lascia un commento