1 Commento

LA CONCEZIONE DELLA VITA NEL FASCISMO

  1. Il Fascismo non è soltanto una rivoluzione politica. — Il Fascismo è stato ed è una rivoluzione politica. Ma dire questo è dire soltanto la metà, e quindi cadere in un grave errore: nell’errore in cui sono caduti molti giudici del Fascismo fuori d’Italia, anche di grande cultura. La verità intera è questa: che il Fascismo è una rivoluzione etico-politica, ossia una, concezione nuova della vita per l’uomo che vive nel mondo storico. Come tale, il Fascismo è destinato a sorpassare gli avvenimenti della politica contingente, e a improntare di sé un’era nella storia della civiltà umana.
  2. Il Fascismo è un problema anche di pensiero. — La realtà è verità di questa rivoluzione, noi tutti la sentiamo e viviamo giorno per giorno, soprattutto nella parola e nello spirito del Genio che l’ha creata e la guida. Per essere buoni fascisti non c’è bisogno di altro. Il maestro e l’artigiano, l’uomo di studio e il contadino, hanno lo stesso dovere: ognuno al suo posto, marciare sotto il simbolo del Littorio. Fare il proprio dovere con dedizione intera. Far proprio lo spirito della rivoluzione. Ma il Fascismo, come il suo Duce dichiarò dal principio, non è soltanto azione: è anche pensiero. L’uomo colto, e in primo luogo il maestro che deve educare le nuove generazioni, deve farsi del Fascismo anche un problema di pensiero. Deve rendersi conto, dal punto di vista anche dottrinario, di quel che significa questa rivoluzione nella storia della civiltà: di quel che essa apporta di più originale nella concezione della vita umana.
  3. Chiarimento. — Una premessa. La storia della civiltà è la storia stessa della coscienza morale dell’umanità nel suo svolgimento attraverso le grandi tappe del suo cammino che non conosce soste o ritorni. Ma questo non implica che tutti gl’individui appartenenti a un determinato periodo storico abbiano consapevolezza di tale svolgimento. Questo resta un ideale, una norma di vita, che soltanto nelle coscienze superiori si fa luminoso e interamente consapevole: i più ne hanno appena una vaga idea. E, in ogni modo, sta, poi, sempre, alla coscienza pratica e alla libera iniziativa dell’individuo di farsene un motivo di vita interiore, per cui la sua azione non sia soltanto esteriormente con­forme a quella norma, ma sia ispirazione della sua volontà e formazione di personalità spirituale.
  4. I tre periodi di svolgimento della civiltà occidentale.  —  Dividiamo la storia dello svolgimento morale della coscienza, per la civiltà occidentale, nei tre grandi periodi: classico, cristiano, moderno. Ci limitiamo a qualche cenno di ciascun periodo, sufficiente al nostro scopo, ch’è di richiamare l’attenzione su alcuni tratti comuni alle grandi concezioni della vita se­guite sino a noi. Il resto è questione di cultura, storica e dottrinaria, che ognuno di noi possiede.
  5. La civiltà greca e romana.  —  Il periodo precristiano è dominato dalla concezione della vita che fu propria della civiltà pagana, greca e romana. L’ebraismo non appartiene alla storia della civiltà occidentale: come religione precedette il Cristianesimo in Oriente, ma in Occidente il Cristianesimo non ebbe né derivazione né rapporti con esso, che è rimasto, così, sempre fuori del suo svolgimento. L’idea monoteista, di cui esso può menar vanto, giustamente, in confronto del paganesimo politeista, venne in estimazione da noi quando aveva raggiunto già la sua pienezza e concretezza, umano-divina e divino-umana, nella persona del Cristo. Dopo Tito, e anche prima, per le ripetute ribellioni della Giudea, l’ebraismo, più che una questione religiosa, si pose, di fronte alla civiltà latina, come un problema meramente etnico e politico. La civiltà greca e romana è un monumento imperituro per tutte le forme dell’arte, del pensiero, della cultura in generale. Essa è rimasta fondamentale per tutta la posteriore civiltà occidentale. La concezione della vita da essa elaborata è nota, ed ha il nome comprensivo di umanismo. L’oggetto della sua meditazione è l’uomo: e questo è il carattere che costituisce la differenza perentoria fra il motivo ispiratore della ci­viltà occidentale e quella orientale. Bisogna aggiungere: l’uomo nel mondo, l’uomo nella sua esistenza mondana (anche « l’altro mondo » era pensato come una continuazione, in altra forma, di questo stesso). Quale fu l’ideale, a cui s’ispirò questa concezione? Platone, per primo, scoprì che, alla radice della volontà e della più segreta aspirazione dell’anima umana, è l’idea del Bene: di un bene che appaghi total­mente il desiderio umano della felicità. Ma il suo scolaro Aristotele fece subito notare che quel bene non si conquista per mezzo di un’idea, bensì per mezzo dell’attività propria dell’uomo, il quale è corpo e anima insieme, senso e ragione: nella contemperanza e armonia del piacere con la virtù l’uomo promuove la propria perfezione, in cui consiste anche la sua vera felicità. E non soltanto per l’individuo, ma anche per la comunità: ché per Platone e per Aristotele l’individuo vive umanamente solo nella polis, nella città-stato, dove, nella comunione della vita, ha occasione di esercitare e svolgere ogni virtù, e in primo luogo quella « giustizia » che a entrambi parve la massima fra tutte. La divergenza fra i due è a tutti nota: per facilitare l’esercizio e lo svolgimento della giustizia, il Maestro pensava necessario che la polis fosse come un’unica grande famiglia (di qui, la comunione dei beni e delle donne e dei figli: benché soltanto per le due classi superiori, dei governanti e dei guerrieri: tutt’altra cosa, dunque, anzi del tutto opposta all’idea comunista dei nostri tempi); lo Scolaro protestò che, soppressa la proprietà e la famiglia, è soppresso l’incitamento primo per l’azione e la vita dell’individuo, e anche per la vita e lo sviluppo interno della comunità. In ogni modo, dopo Aristotele, con la conquista macedone, scompare, si può dire, la polis del periodo classico. Quella polis era tutt’altra cosa dell’Urbs. Soltanto Roma possedeva il senso dello Stato, e della sua missione imperiale come portatore di leggi e costumi, di civiltà, nel mondo barbarico. Non la Grecia, ma Roma, con i suoi istituti, ha dato all’Occidente il modello di una vita civile. E fra questi istituti ha in Roma un posto di privilegio quello familiare, in cui è il fondamento primo di quel culto della tradizione che fa presenti i morti nei continuatori della stirpe, e di quel principio d’autorità onde la legge diviene come persona viva, e di quel rispetto della persona umana (vir) ch’è riflesso anche nel modo di considerare la moglie e i figli. Questo complesso forma la civiltà di Roma antica: l’impero non aprì un periodo nuovo, anzi sorse quando già era cominciato il suo periodo di disgregazione, e per arginare questa si sentì il bisogno di definire anche istituzionalmente l’ideale originario della missione imperiale di Roma.(1) Sia in Grecia e sia in Roma, quindi, l’individuo si raccoglie in se stesso, e si pone daccapo il problema della sua esistenza nel mondo. Epicureismo e stoicismo hanno tramandato ai secoli posteriori la questione: se la ragione dell’esistenza per l’uomo nel mondo sia riposta nel piacere o nella virtù. Poiché quell’armonia, che bastò all’ideale platonico-aristotelico, ora è svanita, e l’uomo, non più sostenuto da un forte senso della vita comune, si chiede se sia meglio per la sua felicità affidarsi al senso o alla ragione.
  6. La civiltà cristiana e la Chiesa di Roma.  —  Chi ben consideri, troverà qui, in questi molteplici e vari motivi, o modi di sentire e di pensare, della concezione classica della vita, il germe di questioni anche moder­ne. Ma è anche vero ch’essi sono motivi e modi totalmente tramontati, impossibili a rivivere, oggi, in quella forma e in quel preciso significato. Il tramonto definitivo della civiltà pagana è stato segnato dal sorgere e diffondersi del Cristianesimo. La concezione cristiana della vita è dominata dal pensiero che l’uomo vale in sé e per sé, come figliuolanza spirituale di Dio, indipendentemente dal mondo in cui pure è stato da Dio destinato. La sua persona ha il suo valore nella pura interiorità, solo a Dio aperta sino in fondo: solo a Dio, che ne è il giudice ogni ora presente. Giudice severo, ma anche amoroso. Per amore dell’uomo Dio sacrificò il suo stesso Figliuolo. La nuova legge è, quindi, questa: amore e sacrificio. Platone e Aristotele, dunque, avevano ragione, ma il Bene e la felicità vera non sono per l’uomo finché vive in questo mondo. E non è in questo mondo l’ultimo destino, il fine supremo dell’esistenza. E non è questione di senso e di ragione semplicemente: senso e ragione, in quanto dati da Dio all’uomo, sono buoni entrambi. Il Cristianesimo volge, sì, allo stoicismo per il suo principio di sacrificio e di svalutazione della vita mondana, ma non è la stessa cosa. Non è neppure, veramente, contrario al senso lieto della vita: è scritto, anzi, di servire Domino in laetitia. No, il punto è un altro: ed è che le virtù pagane, meramente umane, non bastano. C’è una virtù che le supera tutte : la fede. Per la fede l’uomo affronta ogni prova, ogni rischio dell’esistenza. L’esistenza in questo mondo è, anzi, la prova, il rischio, a cui l’uomo è sottoposto a dimostrazione della sua fede. Un’interpretazione del Cristianesimo è stata (ed è sempre) quella del misticismo. Ma non è questa la più penetrante : il cristiano ha il senso della vita come milizia, ossia della vita come lotta, come una guerra continua contro il male per far valere nel mondo — in cui Dio stesso in persona è intervenuto — una giustizia superiore a quella soltanto umana. Per instaurare questa giustizia su la terra, e quasi per anticipare qui, in qualche modo, quel Regnum Dei che si schiuderà alla chiusura della storia, al termine dei secoli, sorge la Chiesa e comincia la sua opera di conversione del mondo al nuovo ideale religioso. Col dissolversi dell’Impero Romano, e nella conseguente confusione barbarica, la Chiesa salvò ciò che si poteva e doveva salvare della civiltà pagana: santificò l’istituto familiare; diffuse un senso nuovo, spirituale, della persona umana, sì che la schiavitù scomparve; prese le redini, essa stessa, della vita civile. Si dovette, quindi, essa stessa, istituto divino, mondanizzare. Diventò una potenza temporale, che improntò i secoli del Medioevo, insieme al feudalesimo. Ma per dominare il mondo dovette evocare dalla tradizione di Roma, di nuovo, l’Impero, che definì sacro pensando di averlo ligio al suo volere. Di qui, lentamente, il suo tramonto come potenza mondana. Lentamente : ché soltanto oggi la Chiesa di Roma ha ripreso il suo compito puramente spirituale. Il compito puramente spirituale della Chiesa è quello di tener desta negli animi la fede : la fede nel valore dell’esistenza al di là di quella che si esaurisce nel mondo.
  7. La civiltà moderna: sua reazione al Medioevo; sua caduta nel materialismo storico. — Il mondo moderno è caratterizzato dalla rivolta, nel pensiero e nella vita, contro il Medioevo. L’uomo esce di tutela, vuol fare da sé. Licenzia la Chiesa, e mette da parte il dogma, riguardante, in ogni modo, un’altra vita. Invece, egli vuole affermare e svolgere liberamente la sua esistenza in questo mondo. Farne un mondo degno dell’uomo. Il Medioevo, tutto preso dal nuovo ideale religioso, aveva trascurato di dare all’individuo e al mondo sociale uno svolgimento umano. Il che è pur necessario: se l’uomo è stato posto nel mondo, deve qui, dentro di esso, portare e svolgere tutto il senso della sua umanità. Risorge la concezione umanistica : sembra quasi che si ritorni ad una concezione pagana della vita. Ma l’intenzione polemica tradisce lo spirito del tutto diverso: c’è stato, infatti, il Cristianesimo in mezzo. La questione è del tutto diversa. Sorge la cultura laica, con l’arte, con la scienza, con la filosofia che prende il posto della teologia. Viene dimostrato che l’uomo ha nella sua coscienza naturalmente, senza bisogno di nessuna rivelazione, i principii che gli servono di norma nella vita etico-sociale. Con la Rivoluzione francese trionfa la democrazia : che è società di uomini giuridicamente uguali. Anche lo Stato, demoliti i suoi ultimi puntelli feudali ed ecclesiastici, perde il suo assolutismo di derivazione teocratica, e acquista l’ufficio di soltanto salvaguardare la libertà degli individui e di amministrare gl’interessi comuni. È l’età del liberalismo, per il quale lo Stato è l’incarnazione giuridica della società nazionale. Ma, intanto, mentre la borghesia con le industrie e i commerci, e la scienza con la tecnica e le invenzioni, spandono il benessere e danno uno splendore impensato alla vita dell’uomo in società, si affaccia minaccioso il socialismo, con il proletariato che di quel benessere e di quello splendore è l’artefice (per lo meno, materiale) maggiore, ma non quello che più ne gode. La concezione giuridica va bene per chi possiede, non per chi non possiede. Il proletariato obbliga la borghesia a riconoscere che fondamento primo della giustizia sociale deve essere il lavoro, e che la questione economica viene prima di quella giuridica. Si arriva, anzi, ad affermare che, risolta la questione economica, è risolta, insieme, la questione morale. Questa concezione si definì da se stessa come materialismo storico. Così, l’uomo, partito nel Rinascimento col proposito di sottrarsi ad ogni imposizione ecclesiastica e dogmatica, per creare un mondo degno della sua umanità, nel pensiero e nella vita, è arrivato a questa conclusione che è la negazione esatta di ogni valore della cul­tura e della personalità. Questo mondo del materialismo storico ha per ideale supremo una convivenza umana fondata su principii meramente utilitari. L’uomo è, bensì, superiore agli animali, perché non si contenta di quanto la natura mette a sua disposizione, e con l’intel­ligenza e il libero arbitrio sa crearsi un mondo suo proprio, ma lo scopo ultimo è quello stesso delle formiche nel formicaio: far coincidere l’utilità e il benessere del singolo con l’utilità e il benessere comune. In questo equilibrio degli interessi e dei liberi arbitrii consisterebbe la moralità dell’uomo che si è spogliato di ogni presupposto religioso. Umanismo, ideale religioso, concezione giuridico-economica della vita sociale : queste sono le tre grandi tappe percorse dalla civiltà europea prima del Fascismo. Il Fascismo le presuppone e, in certo modo, le accetta tutte, ma insieme tutte le trasforma e invera in una concezione nuova. Come?
  8. La civiltà fascista prosegue la civiltà moderna trasformandola.  —  Da alcuni anni si parla, in tutti i paesi di questa civilissima Europa, di « crisi di civiltà » : la sua civiltà, infatti, è diventata una forma della più raffinata barbarie. Andare innanzi — l’hanno sentito le anime migliori — è andare incontro alla rovina definitiva. Pure, tornare indietro è impossibile : impossibile, tornare al Medioevo. La concezione fascista della vita non torna indietro, va innanzi : ma va innanzi riprendendo e trasfor­mando il punto di partenza del pensiero moderno. Non solo rinuncia al motivo polemico contro la fede religiosa, ma anzi, vede in questa il presupposto primo di quel senso spirituale della persona umana che deve essere portato anche nella vita sociale. Questa non è soltanto una convivenza, non è soltanto una vita in comune regolata da norme utilitarie. Non basta la concezione giuridico-economica o economico-giuridica: la quale, del resto, anche prescindendo dalla sua conclusione materialistica, è una concezione astratta che livella tutti gl’individui in un’universalità vuota, ugualmente valida per tutti i paesi. Gl’interessi economici legano, certamente, gl’individui alla terra e sono fondamentali per l’esistenza dell’uomo nel mondo. Ma gli individui sono legati fra loro anche da un sentimento, nel quale confluiscono tutte le tradizioni d’idee e di costumi, di modi di sentire e di pensare, che dànno una fisionomia propria a quell’unità viva, anche per i caratteri fisici della razza, che è una nazione. Quando questa unità di sentimento e di tradizioni assume un’importanza decisiva, si ha, allora, un popolo portatore di civiltà. La storia umana, in quanto esprime il progresso della coscienza nel mondo, è storia di civiltà : è il risultato del conflitto e dell’armonia delle grandi civiltà dei popoli che abitano la terra. Ma il popolo è soltanto il corpo: chi dà a esso un’anima e lo fa consapevole della sua missione è lo Stato. Lo Stato è l’interprete e la guida suprema che porta la civiltà di un popolo nel mondo della storia : la promuove all’interno con la giustizia sociale, con la cultura e l’educazione, e la fa valere all’esterno, nel confronto con gli altri Stati, occorrendo, anche con le armi. Non per prepotenza, ma per dovere : ché il dovere di un popolo, come quello della persona umana, è di potenziare nel mondo storico la propria esistenza, dove Dio e il destino gli hanno assegnato il suo posto.
  9. Il Fascismo dà una concezione etico-politica della vita che presuppone una concezione etico-religiosa.  —  La vita sociale moderna, nella foga di sottrarsi all’autorità della Chiesa e del dogma, ha creduto di poter fare a meno di ogni guida e di ogni fede. E però s’è disorientata. Mussolini ha dato a essa un orientamento. In questa concezione etico-politica, che lascia intatto, anzi favorisce, il presupposto etico-religioso, ritengo sia la nota più originale portata dal Fascismo e dal suo creatore nella moderna concezione della vita.(2) Il popolo italiano, in particolare, aveva perduto la sua fisionomia. Mussolini gliel’ha ridonata. Lo ha ricongiunto alla sua prima origine nella grande tradizione di Roma, dalla cui civiltà derivò la civiltà di tutta l’Europa. Tradizione, per l’appunto, etico-politica, fondata su i principii di ordine, di disciplina, di rispetto alle gerarchie e all’autorità. Ma tradizione antica ch’è ritornata arricchita di tutti i sentimenti e principii di vita sociale propri dell’età moderna. Arricchita, in primo luogo, del sentimento nazionale, ossia di tutta la nostra storia di cultura, di modi di sentire e pensare, dei secoli scorsi dopo il Medioevo. E messa all’avanguardia nella questione sociale-economica con il Corporativismo, che dà un senso nuovo al problema della giustizia sociale anche per questo rispetto. Tutto, infine, è trasformato nel senso nuovo dello Stato, in cui anche la persona umana trova tracciata la via per esplicare la sua missione nel mondo. Coloro che all’estero, anche intellettuali, definiscono il Fascismo come una dittatura e un ritorno all’assolutismo statale, in cui la libertà dell’uomo viene soffocata e con essa la migliore conquista dell’età moderna, non hanno ancora compreso nulla. A essi sfuggono i valori spirituali, i valori della personalità umana, che il Fascismo ha immesso dentro la concezione politica. Il Fascismo si presenta, per questo rispetto, come un principio nuovo di educazione e di vita morale. Fa appello alle più profonde scaturigini della persona umana: al carattere e alla volontà, al coraggio intrepido e al senso eroico del sacrificio. Riporta l’uomo all’idea della vita come milizia e alla necessità di una fede.(3) Porta la sua esistenza al limite estremo del mondo storico, dove l’uomo si rivela a se stesso. Credere, Obbedire, Combattere: qui, in questa rivelazione dell’uomo a se stesso, viene posto a lui il problema della fede religiosa come sorgente nascosta anche di quella etico-politica.

(Armando Carlini, SAGGIO SUL PENSIERO FILOSOFICO E RELIGIOSO DEL FASCISMO,  Roma, 1942, I.N.C.F.; ristampa a cura di Marco Piraino e Stefano Fiorito, 2013, Lulu.com, pp.177 – 184)

NOTE

1) Cfr. P. DE FRANCISCI, Augusto e l’Impero(Quaderni dell’I.N.C.F., serie VII, 1937), e op. cit., pp. 135 ss.

2) Cfr. E. BIGNAMI, Stato e Chiesa: lineamenti di pensiero fascista(Milano, 1932) : « La premessa, da cui partì Mussolini per la sua opera di rinnovazione della coscienza politica italiana, fu di natura nettamente religiosa » (p. 72).

3) Cfr. A. CHECCHINI, La politica religiosa del Fascismo(Cedam, Padova, 1937): « Il Fascismo non può non considerar necessaria la fede in un principio superiore che santifichi il sacrificio conferendogli l’impronta di obbedienza religiosa » (p. 16).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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