Se un principio fondamentale sta sempre alla base di ogni tipo di Stato e se quello che sta a fondamento dello Stato moderno è il principio liberale, occorre trovare quello che identifica lo Stato corporativo. Le discordie cominciano nell’identificazione di tale principio. Nel lavoro di ricerca del principio corporativo noi teniamo presente la forma positiva dello Stato corporativo fascista italiano per due ordini di motivi. In primo luogo è storicamente provato che il primo Stato moderno che si è rivoluzionariamente e quindi coscientemente trasformato in Stato corporativo è stato quello italiano, che era fascista perché instaurato dal movimento rivoluzionario dei “Fasci di combattimento” trasformatisi nel 1921 in Partito Nazionale Fascista. In secondo luogo perché in questo Stato il principio corporativo è insito in tutti gli istituti giuridici e in tutte le istituzioni sociali e politiche, sicché lo Stato fascista presenta apertamente nella sua azione politica e negli istituti giuridici una vasta e unitaria materia nella quale si può cogliere il principio corporativo come il fulcro di tutto l’ordinamento giuridico. Questo principio informava coscientemente gli ordinamenti giuridici di altri Stati come il tedesco, il portoghese, il brasiliano, lo spagnolo. Verso di esso tendevano altre costituzioni come la romena e, seppure non se ne avesse coscienza, gli ordinamenti giuridici di altri Stati. Tale principio, infatti, politicamente si dimostra il solo atto alla soluzione della crisi dello Stato moderno, che non può risolversi senza una profonda trasformazione degli Stati stessi.
E’ erroneo ricavare il principio corporativo dalle corporazioni (1). Prima di tutto è da osservare che le corporazioni istituite dallo Stato fascista sono istituti del tutto diversi dalle corporazioni medioevali e da quelle che nella dottrina giuridica s’intendono per tali. In secondo luogo — e questa è l’osservazione più importante — le corporazioni fasciste riguardano una sola parte della vita collettiva: quella economica. Per quanto importante possa essere ed è questa parte di attività sociale, per quanto gravi possano essere e sono i fenomeni sociali ed i problemi cui essa dà luogo in rapporto all’autorità e alla vita dello Stato, non è mai un fenomeno parziale che può caratterizzare tutto il tipo dello Stato. Se il principio ha carattere universale, come ogni principio che fondamentalmente caratterizza lo Stato, esso deve riferirsi a tutta la vita sociale ed a tutta l’attività dello Stato.
Se un principio caratterizza tutto lo Stato esso deve valere così nel campo economico, come in tutti gli altri campi, ossia in tutti i rapporti fra gli individui, i gruppi e lo Stato; deve valere nell’interno di ciascuna di queste organizzazioni minori e maggiori, come deve agire anche nell’interna psicologia dell’individuo. Avviene talora di sentire affermato il principio come universale ma di vederlo, poi, limitato al solo campo economico (2). Così il Chiarelli definisce il principio corporativo come «il principio della rappresentanza degli interessi collettivi di categoria, diretta all’organizzazione ed alla protezione giuridica degli interessi medesimi ed al contemporaneo perseguimento degli interessi superiori della produzione nazionale » (3). In tal modo il principio corporativo resta limitato al campo della produzione nazionale, che, a stretto rigore, non comprende neanche tutta l’economia nazionale. Nè può dirsi esatto il richiamo che il Chiarelli fa all’autorità del Bottai il quale, invero, ha del principio corporativo un tutt’altro concetto. A tal proposito, infatti, il Bottai così si esprime: « Abbiamo l’ordinamento giuridico corporativo, abbiamo le corporazioni; ma il corporativismo fascista non si limita qui; è una realtà che investe tutta la vita, tutta l’organizzazione, tutte le funzioni dello Stato » (4).
Il principio corporativo è la legge universale dell’unità di comando dello Stato (5). Negli Stati con pluralità di organi costituzionali l’unità di comando si ottiene dando un potere coordinante, direttivo ad uno di essi. Nello Stato corporativo il dualismo fra il legislativo e l’esecutivo è risolto attribuendo la funzione direttiva coordinante al Governo e più precisamente al Capo del governo. La legge dell’unità di comando per la sua universalità si avvera anche nei gruppi interni dello Stato e nei rapporti fra i gruppi diversi. Cosicché il principio corporativo è un principio a due dimensioni: una che lega le unità interiormente, dalla più piccola, la famiglia, alla massima che é lo Stato, e una che lega i singoli e i gruppi allo Stato, il quale ricollegandoli a sè stesso tutti li domina in forza dell’imperium, di cui come Stato è fornito. Si tratta di un principio politico e quindi etico e religioso posto che, come dice il Vico, la vera causa della società umana è data dalla religione. Questo principio pure affermato dallo Stato liberale, ma contraddetto e neutralizzato dal diritto individuale dissolvente dei singoli e dei gruppi, come il divorzio nella famiglia, il recesso dalle associazioni e il diritto elettorale come origine della sovranità, acquista nello Stato corporativo il suo rilievo giuridico come ogni principio politico fondamentale.
Ciò che dà veramente unità alla molteplicità dei fenomeni in esame e ce ne fa avere coscienza piena è l’unità teleologica o finalistica che dir si voglia, sulla quale si basano l’ordinamento della vita sociale e il giudizio sulle azioni interindividuali e in genere sui rapporti spirituali, religiosi economici e politici (6). È appena da avvertire che lo scopo dell’unità teleologica non è da confondere con l’interesse, che può essere compreso dallo scopo ma che nè lo esaurisce, nè lo identifica. Noi parliamo di quella unità teleologica che collega il complesso delle azioni umane nel loro ininterrotto susseguirsi, costituente l’espressione di una molteplicità di moti spirituali. Anche l’unità dello Stato non sfugge a questa legge unificatrice degli scopi. Le pluralità degli uomini che formano lo Stato si presenta alla nostra coscienza unificata dagli scopi costanti, durevoli, coscienti che li legano fra di loro. Quanto più intensi e sentiti sono questi scopi tanto più forte è l’unità. Quanto più elevati essi sono nella scala spirituale tanto più duratura è l’unità dello Stato. Quanto più omogeneo è il substratum dell’unità tanto più resistente all’erosione dei secoli è l’unità dello Stato. Tale omogeneità è principalmente costituita da una origine comune e da una comune religione ossia dal costituirsi di una comune tradizione religiosa, etnica, politica. L’unità dello Stato esteriormente si esprime mediante una organizzazione, cioè per mezzo di organismi costituiti da uomini, che sono unità umane collettive, destinate ad assicurare l’unità degli scopi attraverso la molteplicità dell’agire umano. Possiamo, quindi, definire l’unità dello Stato come unità di fini e di organizzazione. Lo Stato fascista viene, difatti, definito nella prima dichiarazione della Carta del lavoro come la realizzazione integrale della Nazione italiana concepita come unità morale, politica ed economica. E la Nazione è concepita come una organizzazione composta di individui e di gruppi aventi fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli delle parti che la costituiscono.
L’unità della quale parliamo si suole ritenere circoscritta in maniera esclusiva agli scopi della organizzazione o della associazione, di modo che l’individuo, scrive Jellinek (7), e con lui tutta la dottrina liberale, mantiene una duplice posizione come membro dell’associazione e come individualità libera dall’associazione. Ora ciò non sempre è vero. Se noi esaminiamo per esempio la famiglia, che è un’associazione tipica, fondamentale, primaria di ogni società, costituita liberamente e costituente un’evidente unità di scopi, osserviamo che l’individuo non mantiene affatto riguardo a questa associazione una duplice posizione: egli permane membro della famiglia per tutta la vita e anche quando costituisce un’altra famiglia egli non perde la qualità di parte della famiglia di origine. La sua individualità finche dura la famiglia non è libera dall’associazione e organizzazione familiare, ma innegabilmente vincolata economicamente, moralmente, religiosamente, spiritualmente. Questo concetto della libera posizione dell’individuo dall’associazione e dall’organizzazione della quale si fa parte, da quegli organismi, cioè, che formano il tessuto sociale, enunciato in maniera cosi assoluta e categorica, appare come il principio stesso della disgregazione di quegli elementi che formano l’unità dello Stato e serve a spiegare la crisi nella quale a lungo andare dovevano cadere tutti gli Stati informati alla dottrina liberale. Insomma il principio liberale è un principio disgregatore delle unita sociali e quindi statali. Il movimento di trasformazione dello Stato per superare la crisi doveva essere diretto verso un principio unificatore e questo è appunto il principio corporativo. Ma è indispensabile conoscere quale è il fine assegnato allo Stato. Il Montesquieu nella sua opera « Esprit des lois» (lib. XII, cap. VII) aveva espressamente avvertito che non era possibile far ricorso all’ordinamento da lui vagheggiato qualora si fosse assegnato come fine allo Stato la potenza dello Stato stesso e non la pura e semplice tutela della libertà dei cittadini. Per il tipo di Stato fascista, che si assegna come scopo la potenza della Nazione, l’ordinamento costituzionale vagheggiato dal Montesquieu, e seguendo la sua teoria realizzato nel tipo dello Stato moderno, deve essere respinto. Valga tale autentico richiamo come argomento efficiente nei confronti di coloro che persistono nel volere applicare allo Stato fascista i medesimi principii elaborati per un tutt’altro tipo di Stato e che lo stesso enunciatore riconosceva inapplicabili appena appena fosse mutato il fine dello Stato. Che il fine dello Stato fascista è diverso da quello dello Stato liberale è difficilmente oppugnabile. La costituzione più moderna degli Stati liberali, quella degli Stati Uniti d’America viene così sintetizzata dal Tribunale supremo di quell’unione: «Lo Stato è un corpo di persone libere, unite insieme dal comune benefizio di godere pacificamente ciò che è di loro pertinenza e di fare giustizia agli altri » (8). Lo Stato fascista, invece — nuovo tipo di Stato — è la realizzazione integrale della Nazione italiana, considerata come una unità morale, politica ed economica avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono: donde si ricava, come è dimostrato dal complesso di tutta l’attività statale, che il fine dello Stato corporativo è « la potenza della Nazione » (9).
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IlCovo
NOTE
1) Nota il Bottai (La concezione corporativa dello Stato, in « Arch. di st. corp. , anno I, n. 1, p. 7): Sia per colpa della parola, o dipenda dall’uso, che ne è stato fatto appena diffusasi, certo è che per « corporativo » s’intende comunemente quanto attiene ai rapporti fra le categorie dei datori di lavoro e dei lavoratori. Si è creduto che l’ordinamento corporativo avesse nome dal fatto che le rappresentanze delle categorie lavoratrici fossero riunite in organi di collegamento detti corporativi: O dal ricordo delle antiche corporazioni, suscitato dallo spirito collaborazionistico che permea le associazioni fasciste d’imprenditori o di operai ».
2) Lo Zanobini nel suo Corso di diritto corporativo, Milano, 1936, distingue tre principi: il principio di nazionalità, il principio totalitario e il principio corporativo economico (pag. 28). Qualifica, poi, corporativo lo Stato “in quanto adotta il sistema corporativo principalmente per realizzare i suoi fini economici, secondariamente o indirettamente anche per molti altri fini” (pag. 38).
3) Chiarelli: Lo Stato corporativo. Cedam, 1936, p. 101.
4) G. Bottai : « Lo Stato Corporativo, ed. del Diritto del Lavoro », 1937- p. 7. Cfr. anche lo studio di Ercole Coppola: La Norma corporativa, ed. Aequa, Roma, 1936, nel quale a pag. 16 è affermato che il principio corporativo fascista «presuppone il riconoscimento del nesso inscindibile vincolante i termini dell’ordine giuridico, dell’ordine sociale e dell’ordine politico e, quindi, il riconoscimento della realtà totalitaria dello Stato con la coincidenza degli elementi di natura sociale, collettiva e pubblica (senso dello Stato) ».
5) Opinione concorde a quella espressa nel testo è esposta nel saggio Orientamento di Nino Guglielmi pubblicato nella Rassegna « Fascismo », n. 2 – 3, del 1938, il quale afferma: «Sbaglia, quindi, chi concepisce il corporativismo come un fatto economico; il corporativismo fascista è una visione universale e totale della vita e del mondo; visione essenzialmente spirituale, morale, che tutto informa e dirige; politica e diritto, economia e filosofica, scienza e arte.
6) Cfr. per la concezione della società come unità di scopo, Jellinek, La dottrina generale dello Stato.Soc. Ed. Libr., 1921; Filomusi Guelfi, Enciclopedia giuridica, Napoli, 1904; Orlando, Principii di diritto costituzionale, Firenze, 1921; Ranelletti, Principii di diritto amministrativo, Napoli, 1912; Presutti, Introduzione alle scienze giuridiche e Istituzioni di diritto pubblico, Campobasso, 1926.
7) Jellinek, op. cit., pag. 368.
8) Holland, The elements of jurisprudence, Oxford, 1886.
9) Cfr. 1a e 2a dichiarazione della Carta del lavoro italiana emanata il 21 aprile 1927.