Il 21 aprile 2019 rappresenta una data evocativa fondamentale per tutta la Civiltà. Nello stesso giorno, infatti, si celebrano tre ricorrenze spartiacque della Storia umana, poiché si festeggia la Pasqua di resurrezione di Gesù Cristo, redentore dell’umanità; il Natale di Roma, città simbolo dello spirito e perno assoluto della Civiltà in senso lato; la Festa del Lavoro Fascista, poiché, non a caso, il Regime proprio in quella data simbolica, promulgò la Carta del Lavoro, documento cardine della concezione politico-sociale del Fascismo insieme alla Dottrina. Sono giorni difficili quelli in cui viviamo, scanditi dall’attacco senza quartiere e senza alcun limite che il sistema demo-pluto-massonico porta alla Civiltà, minando il futuro dell’intero genere umano per i propri loschi interessi. Sono questi i momenti, più che mai, in cui è davvero vitale sapere chi siamo e da dove veniamo, per ritrovare motivazioni ed energie che ci spronino alla lotta per la vita che è nostro dovere portare avanti contro i nemici del genere umano, che alla fine si riducono ad un solo “gran nemico”!
Auguriamo di cuore a voi tutti che leggete queste nostre pagine, BUONA PASQUA nel segno di CRISTO RISORTO! …per non dimenticare mai che la speranza di vita eterna che EGLI incarna ci obbliga moralmente a non disperare in nessun caso e per nessun motivo!
BUON NATALE DI ROMA! …per non scordare mai quale é il nostro retaggio imperituro di CIVILTA’ che ha dato al mondo l’unico vero modello di convivenza civile tra popoli e nazioni del mondo!
BUONA FESTA DEL LAVORO FASCISTA! …affinché teniamo sempre a mente che è possibile realizzare un mondo nuovo, diverso e migliore di quello attuale, avendo presente l’esempio positivo e davvero grandioso che lo Stato fascista ci ha lasciato in eredità, che proprio nella Carta del Lavoro, atto fondamentale della costituzione fascista dello stato italiano, ebbe il documento concreto di una nuova interpretazione della vita, di una nuova civiltà, per cui la tradizione di Roma si inseriva nella trama di una grande rivoluzione sociale, con la piena e integrale concezione di un popolo che si identificava con lo stato.
LA CARTA DEL LAVORO
– Nella seduta del 7 gennaio 1927 il Gran Consiglio del Fascismo, organo ancora extra legale e rivoluzionario, deliberava di porre allo studio una « Carta del lavoro » nella quale fossero fissati alcuni punti di massima da concretare in regole generali, cui avrebbero dovuto sottostare i rapporti fra le classi nelle diverse categorie delle attività produttrici. Infatti, la legge 3 aprile 1926, n. 563, che a ragione si può considerare la base dell’ordinamento sindacale–corporativo fascista, altro non aveva fatto se non stabilire norme strumentali, cioè di organizzazione. Essa si era astenuta dal disporre in merito al regolamento sostanziale dei rapporti fra i singoli, che attribuiva alla competenza delle nuove istituzioni, preposte alla disciplina dei rapporti di lavoro. L’iniziativa così presa avrebbe potuto condurre a un semplice « capitolato generale », nel quadro di un sindacalismo esteso a tutta la società italiana, se il DUCE non le avesse impresso il valore di un vero e proprio atto costituzionale, dichiarativo dei principi morali e politici del «nuovo ordine nazionale ». La elaborazione della Carta venne preordinata mediante istruzioni dettate dal DUCE stesso per le varie associazioni e organizzazioni e mediante invito a collaborare alla redazione di essa rivolto a eminenti personalità. Fu così che la sera del 21 aprile 1927, annuale del Natale di Roma e festa del lavoro, la « Carta », stesa in trenta paragrafi, riveduti in più punti, in sede di ultima discussione, dal Gran Consiglio, poté essere emanata; non quale testo di una convenzione stipulata fra le organizzazioni rappresentate nel Gran Consiglio, ma come un’alta affermazione politica da parte dell’organo supremo della rivoluzione. Nel testo della deliberazione il Gran Consiglio esprimeva poi il voto che « i principi oggi affermati in via di svolgimento della legislazione fascista sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro e sulla organizzazione corporativa dello stato fossero promulgati legislativamente », e il proposito che fosse fatto presente come « il regime fascista, al di fuori al di sopra e in antitesi alle assurde e criminose demagogie socialistiche, oramai dovunque fallite, screditate, impotenti, tende ad elevare il livello morale e materiale delle classi più numerose della società nazionale, consapevolmente entrate di diritto e di fatto nell’orbita dello stato fascista ». Successivamente, con legge 13 dicembre 1928, n. 2832, il « governo del re » veniva autorizzato ad emanare le necessarie disposizioni legislative per la completa attuazione della Carta e la relazione che accompagnava il disegno di legge affermava solennemente che s’ intendeva con quell’atto legislativo, « ricevere a tutti gli effetti la Carta del lavoro nell’ordinamento giuridico dello stato ». Col delegare al governo le potestà occorrenti all’attuazione della Carta, la legge 13 dicembre 1928 assumeva come presupposto della delegazione stessa che la Carta fosse già entrata a far parte dell’ordinamento giuridico dello stato. Infatti, la materia contenuta nella Carta è una materia essenzialmente costituzionale, e, poiché in materia costituzionale non si può ammettere che la potestà costitutiva possa essere delegata, per quanto ampio concetto si voglia professare dell’ istituto della delegazione, bisogna dedurre che, indipendentemente dalla legge 13 dicembre 1928, la Carta avesse già di per se stessa piena efficacia giuridica. Né alcun argomento si può trarre dalla pretesa « antinormatività » delle dichiarazioni contenute nella Carta, fatta eccezione soltanto per quelle che espongono un semplice programma legislativo, come ad es. in materia di previdenza e di assistenza. E, invero, è concetto inesatto che la giuridicità della norma si possa riconoscere soltanto nella eventualità che dalla norma stessa derivi la definizione di un diritto soggettivo dell’ individuo, giusta la tesi a lungo sostenuta dalla dottrina individualista. E concetto inesatto è che le « dichiarazioni dei principi » non abbiano valore positivo e necessario in un sistema di diritto costituzionale. Senza di esse, una costituzione si risolverebbe in nulla: da un lato si ridurrebbe, infatti, a mere formule letterarie, più o meno sensate; dall’altro a una quantità di disposizioni senza nesso logico. Sono invece proprio le dichiarazioni di principio che assicurano l’unità dell’ordinamento giuridico, con lo stabilire i principi generali del diritto e col determinare l’abrogazione, per incompatibilità, delle norme anteriori ad esse contraddittorie. Esse hanno valore positivo a questo effetto e all’effetto delle interpretazioni delle leggi, sicché vere leggi costituzionali sono appunto le leggi di principio. La Carta del lavoro, sotto un certo profilo, concreta quella tale aspirazione al « cartismo sociale », che, di fronte al « cartismo costituzionale » le agitazioni delle masse operaie avevano espresso, in modo più o meno consapevole, durante il secolo XIX. A partire dal movimento inglese che si appellò col nome stesso di «cartismo » (v.) (1831-32), fino alla cosiddetta « Carta di Amiens » del 1924, vi è nella storia della civiltà occidentale una serie di rivendicazioni alle quali pretese di dare definitiva consacrazione la «Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato», premessa alla prima costituzione sovietica del 10 luglio 1918. In sostanza era il mondo del lavoro che insorgeva contro lo «stato di diritto» escogitato dalla borghesia del secolo scorso, a guarentigia principalmente del diritto di proprietà. Il Fascismo, scaturito da una delle più gravi crisi che la storia annoveri nell’anima di un popolo, e inteso a ricostruire lo stato nella sua pienezza sociale, non poteva non assumere l’ iniziativa di una carta destinata a segnare, come segna infatti, la più formale e solenne consacrazione della uguaglianza dei gruppi sociali di fronte allo stato nuovo. Ma l’assunzione del proletariato alla vita del diritto non poteva essere concepita dal Fascismo come una semplice estensione ad esso dei principi dell’ordine individualistico, quali la socialdemocrazia si era illusa di consacrare col sistema della libertà sindacale. Occorreva immettere organicamente la massa nello stato. Occorreva ritornare alla concezione romana che soltanto entro lo stato e per lo stato l’individuo può affermarsi e svolgersi come « persona ». MUSSOLINI aveva commentato la legge del 3 aprile 1926 sulla disciplina giuridica dei rapporti del lavoro con la affermazione categorica: «Noi viviamo nello stato fascista; abbiamo sepolto il vecchio stato democratico liberale. Noi siamo uno stato che controlla tutte le forze che operano nel seno della nazione; noi controlliamo le forze politiche, le forze morali, le forze economiche ». Erano dunque principi del tutto nuovi, derivanti da una nuova concezione dello stato, e destinati ad essere realizzati unicamente attraverso il diritto dello stato, i principi che giustificavano la compiuta riforma. Per tal modo, la Carta del lavoro ebbe, per primo proposito, quello di fissare in modo definitivo un nuovo principio di legalità, una nuova regola di politica legislativa, un nuovo canone di interpretazione delle leggi e, soprattutto, nuovi principi di condotta civile. Il concetto dell’uguaglianza dei gruppi sociali doveva essere integrato e condizionato dal concetto della dipendenza di tutti i gruppi e di tutte le categorie sociali dallo stato. Il che giuridicamente imponeva che le formazioni organizzative dei gruppi e delle categorie dovessero trasformarsi in pubbliche istituzioni; cioè in istrumenti dell’azione dello stato. In ispecie la Carta ebbe il compito di rilevare a coerenza della concezione fascista, la quale si era già manifestata nella formula premessa al primo statuto del Partito fascista il 7 novembre 1921: « La nazione non è la semplice somma degli individui viventi, né lo strumento dei partiti per i propri fini, ma un organismo comprendente la serie delle generazioni, di cui i singoli non sono che elementi transeunti, e la sintesi suprema di tutti i valori materiali e immateriali della stirpe ». Esattamente tale coerenza concettuale del Fascismo mise in rilievo il primo commentatore francese della Carta (Dupeyroux, La charte du travail en Italie, in Revue du droit public, 1928), il quale, ammettendo «l’ardimento, la logica, il realismo » della Carta, constatava che « tutto dal punto di vista logico è ammirabilmente dedotto in questa riforma ». Infatti, la Carta del lavoro è un documento eccezionale di pensiero politico che investe non pure l’assetto dei rapporti economici e sociali nell’interno della comunità nazionale, ma il tipo stesso dello stato, dalla definizione reale del quale essa deriva e desume la regola generale per tutto il sistema delle istituzioni pubbliche e in particolare dell’ordinamento sindacale corporativo. In questo senso la Carta del lavoro raggiunge il più alto grado di valore costituzionale, come quella che viene a identificare lo stesso principio costituzionale dell’ordine nuovo. Esattamente Rocco (La trasformazione dello stato, 1927, p. 412), aveva scritto a proposito della legge 3 aprile 1926: « Altri sviluppi ancora avrà il sistema che il Fascismo ha creato. Prevederli tutti non è possibile; ma è possibile fin d’ora affermare che da essi non solo lo stato ma tutta la società italiana usciranno rinnovati profondamente ». Il principio costituzionale del nuovo ordine è dichiarato nella prima parte della Carta, che tratta dello stato e delle istituzioni corporative, nel principio della « subordinazione » dell’ individuo allo stato. Le altre parti dell’atto riflettono invece l’applicazione del principio così dichiarato al regime del rapporto di lavoro subordinato; oppure riguardano le funzioni dell’assistenza e della previdenza, nonché i servizi del collocamento della mano d’opera. Vi è forse sproporzione di concetto tra la prima parte e le altre. Ma l’inconveniente appare lieve quando si rifletta che l’avvenire della civiltà appunto dipende dalla possibilità d’inserire nell’ordine superiore dello stato la vita delle masse e i problemi della produzione, per risolvere quel conflitto tra lo stato e la società in cui si era smarrito il pensiero costituzionale del secolo scorso. Piuttosto è opportuno aggiungere che dalle diverse dichiarazioni contenute nella prima parte della Carta emergono non soltanto le caratteristiche dello stato nuovo del Fascismo, quelle di un’unità morale, politica ed economica; ma altresì le regole direttive del nuovo diritto privato, vale a dire i principi della concezione « sociale » del Fascismo. Non è quindi possibile rifiutare alla Carta del lavoro il valore di atto fondamentale della costituzione fascista dello stato italiano, e nemmeno quello di documento di una nuova interpretazione della vita, di una nuova civiltà, per cui la tradizione di Roma si inserisce nella trama di una grande rivoluzione sociale, con la piena e integrale concezione di un popolo che si identifica con lo stato.
Carlo Costamagna – 1940
(In Dizionario di politica a cura del P.N.F. – Antologia, Volume unico, a cura di Marco Piraino e Stefano Fiorito, 2014, Lulu.com, pp. 58/59, qui)
Il Testo ufficiale definitivo
La sera del 21 aprile 1927, sotto la presidenza dell’Ecc. il Capo del Governo e Duce del Fascismo, si è riunito a Palazzo Chigi il Gran Consiglio Fascista. Erano presenti, oltre a tutti i membri del Gran Consiglio, anche i presidenti delle Confederazioni fasciste dei datori di lavoro e dei lavoratori. Il Gran Consiglio ha adottato il seguente
ORDINE DEL GIORNO
Il Gran Consiglio, approvando il seguente testo della “Carta del Lavoro”
esprime il voto
che il Governo, per iniziativa del suo Capo, Ministro per le corporazioni, di concerto con gli altri Ministri interessati, predisponga i provvedimenti di legge necessari a promulgare i principi oggi affermati in via di svolgimento dalla legislazione fascista sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro e sulla organizzazione corporativa dello Stato e
delibera
che entro il corrente anno 1927 vengano conclusi, rinnovati o modificati i contratti collettivi di lavoro, in base alle clausole contenute nella presente Carta v, e che la durata dei contratti debba essere tale da consentire alle imprese la possibilità di un ampio margine di tempo necessario per adeguarsi alla nuova situazione finanziaria e alle difficoltà della concorrenza internazionale. Nel momento poi di promulgare questa Carta, che è un documento fondamentale della Rivoluzione fascista, in quanto stabilisce i doveri e i diritti di tutte le forze della produzione
ritiene
opportuno di richiamare su di essa l’attenzione di tutto il popolo italiano e di quanti nel mondo si occupano dei problemi sociali contemporanei
poiché
con questo suo atto di volontà e di fede il Regime delle Camicie Nere dimostra che le forze della produzione sono conciliabili fra di loro e che solo a questa condizione esse sono feconde. Il Regime fascista dimostra inoltre, che esso, al di fuori, al di sopra e in antitesi alle rovinose e assurde demagogie socialistiche oramai dovunque fallite, screditate e impotenti, tende ad elevare il livello morale e materiale delle classi piú numerose della società nazionale, consapevolmente entrate di diritto e di fatto nell’orbita dello Stato fascista.
LE DICHIARAZIONI
Dello stato corporativo e della sua organizzazione. –
I. La nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori per potenza e durata a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. E’ una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello stato fascista.
II. Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo stato. Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.
III. L’organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito: di tutelarne, di fronte allo stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre loro contributi e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.
IV. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.
V. La magistratura del lavoro è l’organo con cui lo stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia che vertano sull’osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia che vertano sulla determinazione di nuove condizioni del lavoro.
VI. Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento. Le corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le corporazioni sono dalla legge riconosciute come organi di stato. Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate.
VII. Lo stato corporativo considera l’iniziativa privata nel campo della produzione come lo strumento più efficace e più utile nell’interesse della nazione. L’organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale l’organizzatore dell’ impresa è responsabile dell’indirizzo della produzione di fronte allo stato. Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. Il prestatore d’opera, tecnico, impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell’ impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità.
VIII. Le associazioni professionali di datori di lavoro hanno l’obbligo di promuovere in tutti i modi l’aumento, il perfezionamento della produzione e la riduzione dei costi. Le rappresentanze di coloro che esercitano una libera professione o un’arte e le associazioni di pubblici dipendenti concorrono alla tutela degli interessi dell’arte, della scienza e delle lettere, al perfezionamento della produzione e al conseguimento dei fini morali dell’ordinamento corporativo.
IX. L’intervento dello stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata o quando siano in giuoco interessi politici dello stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo, dell’incoraggiamento e della gestione diretta.
X. Nelle controversie collettive del lavoro l’azione giudiziaria non può essere intentata se l’organo corporativo non ha prima esperito il tentativo di conciliazione. Nelle controversie individuali concernenti l’interpretazione e l’applicazione dei contratti collettivi di lavoro, le associazioni professionali hanno facoltà di interporre i loro uffici per la conciliazione. La competenza per tali controversie è devoluta alla magistratura ordinaria, con l’aggiunta di assessori designati dalle associazioni professionali interessate.
Del contratto collettivo di lavoro e delle garanzie del lavoro.–
XI. Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori, che rappresentano. Il contratto collettivo di lavoro si stipula fra associazioni di primo grado, sotto la guida e il controllo delle organizzazioni centrali, salva la facoltà di sostituzione da parte dell’associazione di grado superiore, nei casi previsti dalla legge e dagli statuti. Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro.
XII. L’azione del sindacato, l’opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della Magistratura del lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all’accordo delle parti nei contratti collettivi.
XIII. I dati rilevati dalle pubbliche amministrazioni, dall’Istituto centrale di statistica e dalle associazioni professionali legalmente riconosciute, circa le condizioni della produzione e dei lavoro e la situazione del mercato monetario, e le variazioni del tenore di vita dei prestatori d’opera, coordinati ed elaborati dal Ministero delle corporazioni, daranno il criterio per contemperare gli interessi delle varie categorie e delle classi fra di loro e di queste coll’interesse superiore della produzione.
XIV. La retribuzione deve essere corrisposta nella forma più consentanea alle esigenze del lavoratore e dell’ impresa. Quando la retribuzione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione dei cottimi sia fatta a periodi superiori alla quindicina, sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali. Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in più, rispetto al lavoro diurno. Quando il lavoro sia retribuito a cottimo, le tariffe di cottimo debbono essere determinate in modo che all’operaio laborioso, di normale capacità lavorativa, sia consentito di conseguire un guadagno minimo oltre la paga base.
XV. Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche. I contratti collettivi applicheranno il principio tenendo conto delle norme di legge esistenti, delle esigenze tecniche delle imprese, e nei limiti di tali esigenze procureranno altresì che siano rispettate le festività civili e religiose secondo le tradizioni locali. L’orario di lavoro dovrà essere scrupolosamente e intensamente osservato dal prestatore d’opera.
XVI. Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore d’opera, nelle imprese a lavoro continuo, ha diritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito.
XVII. Nelle imprese a lavoro continuo il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad una indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore.
XVIII. Nelle imprese a lavoro continuo, il trapasso della azienda non risolve il contratto di lavoro, e il personale ad essa addetto conserva i suoi diritti nei confronti del nuovo titolare. Egualmente la malattia del lavoratore, che non ecceda una determinata durata, non risolve il contratto di lavoro. Il richiamo alle armi o in servizio della M. V. S. N. non è causa di licenziamento.
XIX. Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell’azienda, commessi dai prenditori di lavoro, sono puniti, secondo la gravità della mancanza, con la multa, con la sospensione dal lavoro, e, per i casi più gravi, col licenziamento immediato senza indennità. Saranno specificati i casi in cui l’imprenditore può infliggere la multa o la sospensione o il licenziamento immediato senza indennità.
XX. Il prestatore di opera di nuova assunzione è soggetto ad un periodo di prova, durante il quale è reciproco il diritto alla risoluzione del contratto, col solo pagamento della retribuzione per il tempo in cui il lavoro è stato effettivamente prestato.
XXI. Il contratto collettivo di lavoro estende i suoi benefici e la sua disciplina anche ai lavoratori a domicilio. Speciali norme saranno dettate dallo stato per assicurare la polizia e l’ igiene del lavoro a domicilio.
Degli uffici di collocamento.–
XXII. Lo stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori, indice complessivo delle condizioni della produzione e del lavoro.
XXIII. Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello stato. I datori di lavoro hanno l’obbligo di assumere i prestatori d’opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell’àmbito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloro che appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo l’anzianità di iscrizione.
XXIV. Le associazioni professionali di lavoratori hanno l’obbligo di esercitare un’azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne sempre di più la capacità tecnica e il valore morale.
XXV. Gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla polizia del lavoro da parte dei singoli soggetti alle -associazioni collegate.
Della previdenza, dell’assistenza, dell’educazione e dell’istruzione.–
XXVI. La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, pro curerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti della previdenza.
XXVII. Lo stato fascista si propone: 1° il perfezionamento dell’assicurazione infortuni; 2° il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità; 3° l’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avvia mento all’assicurazione generale contro tutte le malattie; 4° il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5° l’adozione di forme speciali assicurative dotalizie pei giovani lavoratori.
XXVIII. E’ compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentati nelle pratiche amministrative e giudiziarie, relative all’assicurazione infortuni e alle assicurazioni sociali. Nei contratti collettivi di lavoro sarà stabilita, quando sia tecnicamente possibile, la costituzione di casse mutue per malattia col contributo dei datori di lavoro e dei prestatori di opera, da amministrarsi da rappresentanti degli uni e degli altri sotto la vigilanza degli organi corporativi.
XXIX. L’assistenza ai propri rappresentati, soci e non soci, è un diritto e un dovere delle associazioni professionali. Queste debbono esercitare direttamente le loro funzioni di assistenza, né possono delegarle ad altri enti od istituti, se non per obiettivi d’ indole generale, eccedenti gli interessi delle singole categorie.
XXX. L’educazione e l’istruzione, specie l’istruzione professionale, dei loro rappresentati, soci e non soci, è uno dei principali doveri delle associazioni professionali. Esse devono affiancare l’azione delle opere nazionali relative al dopolavoro e alle altre iniziative di educazione.
Il presente testo è stato firmato dal Capo del Governo, dai Ministri e Sottosegretari di Stato intervenuti, dai membri della Direzione del Partito, dagli altri membri del Gran Consiglio e dai presidenti delle Confederazioni professionali dei datori di lavoro e dei lavoratori. [G. U. del 30 aprile 1927 – N. 100.]
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Con decisione del Consiglio dei Ministri del 30 novembre 1940 la Carta del Lavoro viene dichiarata legge costituzionale dello Stato e diventa la premessa dei libri del Codice Civile sulla proprietà e sulla tutela dei diritti.
(In La Dottrina del Fascismo, terza edizione riveduta – 1942, Ristampa a cura di Marco Piraino e Stefano Fiorito, 2014, Lulu.com, pp. 105 / 113, qui)